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mercoledì 20 gennaio 2016

#SPILLI / Laicità, ma quando? (M. Ferrario)

E' semplice, mi pare. 

Se dicesse che il matrimonio, inteso come sacramento e in un'ottica cattolica, deve essere 'naturalmente' finalizzato alla procreazione, mi andrebbe bene.
Cioè, non me ne potrebbe interessare di meno, visto che sono ateo e libero pensatore e quindi non sono intruppabile in alcuna chiesa. 
Ma ammetto, ovviamente, che un credente cattolico, per giunta un alto prelato, possa avere questa opinione (anche se, pure da cattolico comune, confesso che manterrei qualche dubbio e farei fatica ad accettare di essere 'governato' da chi professa una simile tesi...).

Ma poiché la persona di cui parlo estende questa sua personale opinione al diritto italiano, sostenendo di fatto che il matrimonio o è procreativo o non è matrimonio, reagisco con tutta la forza della mia ragione e dei miei sentimenti. 
E chiamo questa intromissione (una delle tante, troppe, abituali da parte del potere cattolico in Italia: ma a cui almeno io né mi sono mai abituato né intendo mai abituarmi) una vera e propria violenza nei confronti dello Stato di cui sono cittadino: uno Stato che ha il dovere di difendere la propria autonomia e dignità e di legiferare pensando a tutti e non solo a una parte.

Mi riferisco, ovviamente, al cardinal Camillo Ruini, ex presidente Cei.

Sentitelo: 
«A mio parere sarebbe molto meglio che un disegno di legge di questo genere non arrivasse al Senato, o comunque non fosse approvato. Penso così non per ostilità verso le persone omosessuali. Al contrario, fin da quando ero giovane ho avuto rapporti di autentica amicizia con degli omosessuali. Semplicemente, non vedo come possa esistere un matrimonio, o un simil-matrimonio, tra due persone che unendosi non possono procreare e come si possa negare a un bambino il diritto di avere un padre e una madre». (qui)

Sogno il giorno in cui un presidente del consiglio degno di tale nome risponda a tono a simili invasioni di campo.

E ricordo un episodio, storico, del 1952 (*). 

La paura dei comunisti al governo fa auspicare alla Chiesa, nelle elezioni amministrative, un'alleanza con i neofascisti missini. 
Il presidente del consiglio dell'epoca, religiosissimo, si oppone a questa alleanza per ragioni morali, per il suo passato antifascista e per la sua visione laica della politica.
Il papa PioXII fa di tutto per convincerlo ad accettare la linea del Vaticano. 
Lui non si lascia influenzare e dice no.
Nello stesso anno il presidente del consiglio chiede un'udienza al Papa, come privato cittadino, per il trentennale delle nozze.
Il Papa gliela rifiuta.
Ecco la risposta data da quel presidente del consiglio all'ambasciatore che gli ha comunicato il no del papa: «Come cristiano accetto l'umiliazione, benché non sappia come giustificarla. Come presidente del Consiglio italiano e ministro degli Esteri, l'autorità e la dignità che rappresento e dalla quale non posso spogliarmi neanche nei rapporti privati, m'impongono di esprimere lo stupore per un gesto così eccezionale». 

Quel presidente del consiglio si chiamava Alcide De Gasperi.

La mia visione politica resta lontanissima da De Gasperi e dalla Dc dell'epoca. 
Ma non si può non riconoscere che in quei tempi esistevano statisti
Noi ormai ne abbiamo persa pure la categoria concettuale. 
Invasi come siamo dai quaquaraquà.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura - (*) L'episodio del 1952 è noto: l'ho ripreso da Rosetta Loy, 1931, scrittrice, intervistata da Salvatore Giannella, Alcide De Gasperi, politico senza tempo, 'Sette', 31 luglio 2015. Anche in 'Mixtura', qui

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