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lunedì 18 maggio 2015

#ARK #IMPRESA & SOCIETA' / Il comportamento manipolativo, 1980 (M. Ferrario)

All'epoca in cui l'articolo che segue è stato scritto la questione della 'manipolazione' era all'ordine del giorno: nelle imprese e nella società.
Gli anni caldi della contestazione si erano spenti, ma il tema era rimasto sensibile: non si ripeteva più che ogni relazione, di per sé, fosse automaticamente manipolazione, ma ogni relazione di influenzamento (e ogni relazione, com'è ovvio, non può che essere di influenzamento) continuava a venire guardata con sospetto.
Al di là di questo, però, già all'epoca si annunciava ciò che poi sarebbe dilagato: un modo 'effettivamente' manipolatorio di relazionarsi, soprattutto da parte di chi, per ruolo, era chiamato a esercitare autorità.
Questo scritto, che risale a 35 anni fa, cercava di offrire una possibile 'definizione' del concetto di manipolazione e suggeriva qualche attenzione pratica per evitare di praticarla.
Credo che le considerazioni, anche banali, che qui sono svolte non smettano di avere una qualche utilità. Specie oggi, in cui siamo avvolti dalla manipolazione: ovunque. 
Forse inconsapevolmente. O forse perché in fondo ci piace: manipolare ed essere manipolati.
Qui sta la ragione della ripubblicazione del testo: nella forma in cui era uscito nel 1980. (mf)

° ° °
Premessa
Capita spesso, quando in azienda si tocca il tema della "cultura", degli "stili di leadership", degli schemi di comportamento in genere, di sentire che ancora oggi modi di agire di tipo manipolativo sono abbondantemente presenti e spesso addirittura dominanti nelle più diverse situazioni di lavoro.
Magari vengono usati termini differenti, come "paternalismo" o "relazioni umane"; magari si aggiunge che le pratiche di manipolazione si sono raffinate, al punto da divenire oggi di più diffìcile evidenziazione, magari si ammette l'esistenza, accanto ad esse, di sistemi di gestione più franchi e dialettici. Almeno nella maggior parte dei casi, comunque la confessione è unanime: lo stile manipolativo, quasi fosse un dato strutturale immodificabile o una condanna biblica caduta addosso a chi sta dentro le organizzazioni, rappresenta una categoria insuperata di rapporto capo-dipendente. 
Non esistono ovviamente ricette per risolvere il problema, troppo profonde e complesse essendo le cause che lo originano o i fattori che ne assecondano la persistenza.
Nelle pagine che seguono intendiamo solo proporre un modello di analisi di interpretazione del fenomeno e suggerire operativamente alcune linee di "attenzione" alla questione che, se seguite, forse potrebbero favorire il sorgere di stili di azioni alternativi più aperti e meno strumentali. 
Toccheremo dunque i seguenti punti:
• cosa significa manipolare;
• quali sono le caratteristiche di un processo di manipolazione;
• come fare per evitare, o contenere, i nostri eventuali comportamenti manipolati vi.

Cosa significa manipolazione
Una possibile definizione di manipolazione è la seguente:
«manipolazione significa agire in maniera tale da portare altri a dire o fare cose che essi liberamente o scientemente non farebbero o non direbbero.» 
Quali sono gli elementi fondamentali che conno¬tano una simile situazione? Almeno due, ci sembra:
• violenza
• mistificazione

a) La violenza
La violenza emerge dal condizionamento esercitato sulla persona manipolata. La libertà, la consapevolezza dell'individuo sono ristrette. Se egli fosse libero o pienamente cosciente, probabilmente non agirebbe come è spinto ad agire.

b) La mistificazione
Il comportamento dell'altro è estorto attraverso una modificazione artefatta, realizzata dalla persona che mette in atto la manipolazione, della situazione in cui l'altro si trova. Il manipolato è offuscato nella sua consapevolezza dai dati di realtà inquinati con cui si trova a fare i conti. Le sue decisioni partono da premesse false: l'altro gli ha cambiato di nascosto, le carte in tavolo. I due tratti sono combinati insieme, anche se il secondo, come si intuisce, è quello che maggiormente colora il tutto.

La manipolazione, tuttavia, non è un dato, ma una relazione. Introdurre il concetto di processo, quindi, serve meglio a cogliere la sua caratteristica di "fenomeno che si realizza nel tempo", prodotto dal gioco incrociato di azioni e reazioni di tutti i soggetti coinvolti. Ciò non significa negare a chi manipola il maggior potere di influenzamento del comportamento altrui, ma solo ricordare che anche chi subisce tale condizionamento contribuisce, volente o nolente, a tenere in piedi il meccanismo di manipolazione - talvolta, pur senza poter fare altrimenti, magari anche rinforzandolo.

Le caratteristiche del processo di manipolazione
Ma dove si esercitano questa mistificazione e questa violenza?
Sostanzialmente verso due direzioni:
• l'altro, cioè il soggetto (o i soggetti) da manipolare
• la realtà oggettivamente data.

a) La manipolazione esercitata sul soggetto da manipolare
La strategia è finalizzata a inquinare, attraverso un certo uso della relazione con l'altro, l'atteggiamento e la disponibilità di fondo di questo verso il soggetto che intende manipolare. 
Le modalità possono variare: tutte partono comunque da una falsa attenzione manifestata ai bisogni e ai problemi dell'altro. La collusione, la seduzione, il falso interessamento sono le leve principali utilizzate. Io colgo i lati deboli dell'altro e li sfrutto: se è persona che ama sentirsi gratificata, soddisfo il suo narcisismo; se è individuo che preferisce sentirsi in posizione dominante nei miei confronti, accetto, e anzi accentuo, un mio ruolo di dipendenza.
Insomma, attraverso la gestione sottile di un "certo clima" fingo la concessione all'altro di un potere almeno eguale a quello che io amministro e di fatto invece, proprio utilizzando l'atteggiamento di apertura all'altro che riesco a indurre, accresco il mio potere reale nei suoi confronti.

b) La manipolazione esercitata sulla realtà oggettivamente data
In questo caso il rapporto con l'altro non è toccato, almeno direttamente, perché l'azione di falsificazione è condotta sulla situazione oggettiva in cui l'altro si trova.
Ancora una volta le tattiche possono essere le più varie: la menzogna, la sottrazione alla conoscenza dell'altro di alcuni dati di realtà, la loro confusione, la trasformazione occulta di dati soggettivi -opinioni personali, valori, giudizi, ecc. — in dati oggettivi. Il fine è comunque quello di presentare all'altro un quadro di "cose" non vere, perché egli decida — valuti, agisca — in modo coerente con gli obiettivi di chi sta manipolando. 
Più in dettaglio, la situazione di manipolazione, così descritta, sembra presentare i seguenti connotati:
• innaturalità - La relazione con l'altro è strumentale, inficiata alla base da mancanza di franchezza; l'altro non conta, se non "dentro" gli scopi di chi manipola;
• sperequazioni di potere - Chi manipola ha "in mano" la relazione; il margine di potere dell'altro è ridottissimo, talvolta nullo;
• passivizzazione - Il soggetto manipolato deve "strutturalmente" subire la situazione, perché la manipolazione tanto più riesce quanto più chi manipola è capace di rendere passivo e "inerte" chi è manipolato;
• violenza psicologica - Chi è manipolato è "psicologicamente" dipendente da chi manipola. Le sue capacità critiche sono offuscate e il recupero di una soggettività autonoma e consapevole è difficile perché è proprio su tale vuoto di consapevolezza che è basato il successo della manipolazione;
• assenza di libertà - Se io non conosco gli obiettivi che spingono l'altro a comportarsi con me in un certo modo e ho una conoscenza mistificata della realtà oggettiva sulla base della quale mi muovo e decido, non posso conoscere quanto accade e quindi neppure sono libero di fare le scelte che più ritengo convenienti per me;
• dipendenza dei ruoli - Non solo c'è dipendenza nel soggetto che viene manipolato, ma anche in chi esercita manipolazione. Chi manipola infatti, se vuole raggiungere i risultati che si è prefissato, deve si costringere l'altro in stato di soggezione, ma nel far questo deve recitare appunto il ruolo di manipolazione. Il legame che si instaura, quindi, è bloccante per tutti: innescato il processo, i comportamenti sono prescritti - ovviamente, sinché chi manipola intende continuare a farlo;
• oggettificazione - Dove c'è violenza, ci sono oggetti. Se un rapporto non è libero, ma fissato nei fini e nei ruoli per volontà di una delle parti, l'altro, perdendo ogni autonomia, diviene puro strumento, dunque "cosa".

Per non manipolare
Abbiamo già detto che è impensabile fornire regole. Individuiamo dunque solo alcune linee di riflessione. Qual è il tema centrale attorno cui ruota tutto il discorso di manipolazione? Lo si è evidenziato: l'ignoranza, da parte di uno degli interlocutori della relazione, degli obiettivi "reali" dell'altra parte.
Una strategia di non manipolazione dovrebbe quindi muoversi tenendo conto di ciò: accentuando la diffusione di tutte quelle informazioni che possono meglio chiarire la sostanza "vera" dei fini che una delle parti si propone di raggiungere. Più specificamente, lo sviluppo logico di una modalità di comportamento non manipolativo potrebbe fondarsi sulla seguente strategia:
• dichiaro i miei obiettivi,
• presento la realtà così com'é (come mi appare),
• cerco un rapporto inter-soggettivo. 
Cerchiamo di illustrare meglio. 

a) Dichiaro i miei obiettivi
Si tratta di definire con chiarezza cosa intendo raggiungere, cosa mi aspetto dalla relazione che instauro con l'altro, quale contributo, nella specifica situazione, ritengo di poter dare o di dover chiedere all'altro, come e con quali tempi penso di muovermi per ottenere gli obiettivi che mi propongo.
Ovviamente, un simile approccio implica l'apertura di un "contratto" con l'altra parte, cioè di una relazione paritaria in cui si realizzi in modo esplicito una ricerca sincera fra due soggetti che cercano insieme le aree di dissenso e le possibilità di consenso.

b) Presento la realtà così com'è 
Un'altra condizione indispensabile è un atteggiamento di estrema lealtà verso i fatti. Sappiamo che l'oggettività è un'utopia perché i nostri filtri ideologici, culturali, di personalità ce ne impediscono il pieno raggiungimento. Ma è una sfida da tentare: separare il nostro presunto o auspicato dall'effettivo può essere un modo per capire meglio e soprattutto spiegare meglio agli altri, nel momento in cui noi li interessiamo in qualche progetto, i vincoli e le opportunità esistenti. Spesso questa operazione viene trascurata; talvolta per timore - si ha la paura della reazione dell'altro - talvolta per calcolo - si fida sulla incapacità di analisi altrui - talvolta per insipienza - non si ha noi stessi chiara la situazione - si lascia intendere una realtà tutta possibile e niente vincoli - salvo poi ammettere, una volta guadagnato il coinvolgimento di chi ci interessa, che "certe cose non si possono fare". Da qui spesso nascono le accuse di manipolazione: ci si sente "traditi" perché immersi in un gioco che, se si fossero saputi prima i limiti, forse non si sarebbe accettato.

c) Cerco un rapporto inter-soggettìvo 
Abbiamo accennato a come è ingabbiato dentro ruoli bloccanti il rapporto di manipolazione. Uno sforzo per far affiorare i soggetti nella relazione con l'altro è un ottimo antidoto contro comportamenti strumentali. Trattare l'altro come persona, che agisce e reagisce in maniera autonoma e cosciente e non come un qualcosa - magari anche "risorsa" - da impiegare a piacimento, significa evitare quella violenza che è insita nel modello di manipolazione.
Nessuno pensa che i ruoli possano venire aboliti. Il problema è impedire che il rapporto sia solo un dialogo tra di essi e che questi, anziché essere al servizio di coloro che ne sono proprietari, soffochino i titolari levandogli di fatto la parola.
"Intersoggettività" è un'espressione che vuole sottolineare appunto questo aspetto: capacità di parlarsi "attraverso" i ruoli, con chiarezza e coscienza di ciò che si vuole e si può fare e dei limiti impliciti in ogni situazione.
Mettersi in discussione ne costituisce il logico corollario. Non c'è vera comunicazione se i soggetti interessati non hanno disponibilità reale a comprendersi; ma comprendersi significa anche provare a condividere, e ciò conduce frequentemente a porre in gioco le proprie certezze, magari per cambiarle con altre e rinnovare i propri sistemi di riferimento cambiando se stessi.

Conclusione
Lo schema sotto riportato cerca di ripercorrere visivamente e in estrema sintesi il percorso seguito in queste pagine.
Il modello d'analisi qui velocemente descritto, non vuole certo esaurire l'argomento ma solo proporsi come stimolo per 'approfondimenti concettuali e operativi di più largo respiro.


Un punto tuttavia vogliamo rimarcare ancora una volta: l'importanza di un'analisi di realtà. Troppo spesso la si da per fatta o per nota, ma gli altri - questi "altri" che poi spesso siamo "noi" - non sempre conoscono ciò che noi conosciamo.
Definire i vincoli, le regole del gioco, cosa è consentito e cosa no, può essere spiacevole, specie se si tratta di limiti troppo stretti per coloro cui ci rivolgiamo.
Ma se non è possibile una loro contrattazione, almeno un loro chiarimento e una loro comunicazione, benché non sempre risolvano il problema di una loro piena condivisione, possono comunque essere sufficienti per controllare il rischio di manipolazione.
A tutti forse piacerebbe agire in libertà assoluta, ma tutti noi, in genere, siamo guidati da quel principio di realtà che ci dice che non tutto è possibile: per questo, se non altro, è utile sapere cosa è permesso e cosa no.

*** Massimo Ferrario, Il comportamento manipolativo: uno schema di analisi, 'Impresa e Società', X, 12, 30 giugno 1980. Testo riproducibile citando autore e fonte.



2 commenti:

  1. Caro Massimo,
    mi piace collegare queste tue riflessioni con quanto dice Motterlini in La psicoeconomia di Charlie Brown che tu hai ripreso qualche giorno fa.
    In quel testo Motterlini mette in luce i processi decisionali e quelle che potremmo definire sottili arti manipolatorie. In molti contesti è difficile distingue cosa è manipolazione e cosa non è.
    Perché comunque il modo in cui presenti un dato e la scelta delle parole e la scelta di cosa escludere in crea inevitabilmente una cornice di riferimento che guida il nostro pensiero, lo vincola e quindi lo manipola.
    Motterlini in quel testo lo mette bene in evidenza.
    Il tema diventa di natura etica, quando la manipolazione può essere buona o cattiva?
    Per esempio nella donazione di organi si può scegliere se il silenzio dia l’accettazione all’espianto e ci voglia una richiesta esplicita per “non richiedere l’espianto”, oppure viceversa. Dove l’accettazione è data di default c’è una percentuale molto maggiore di donatori (perché in genere siamo pigri e facciamo fatica a modificare lo status quo). E’ una manipolazione che a me sta bene (perché ritengo che la donazione degli organi sia un qualcosa di “positivo”).
    Chiedere alle persone se andranno a votare è “manipolazione” perché i dati ci dicono che le persone che ricevono questa domanda vanno a votare più delle altre (perché intanto ci pensano e se rispondono si, tendo a mantenere a promessa). Se pensiamo che aumentare il numero di votanti sia importante per l’attuale“democrazia” è una manipolazione buona (su questo però si può discutere).
    Inoltre molti di noi fanno scelte irrazionali che nuociono sia a noi che all’ambiente e se qualcuno mi manipola per cambiare un comportamento che danneggia me e gli altri sono anche contento. Motterlini fa l’esempio delle lampadine o degl ielettrodomestici a risparmio energetico. Se l’informazione è: A costa € 1 consuma 10 kw, B costa € 15 e consuma 5 kw, magari compro A.
    Se l’informazione è A costa € 1 e in un anno costa 100 € di energia, B costa € 15 e in un anno costa 50 € di energia magari compro B, risparmio e la collettività e l’ambiente mi ringraziano.
    Come tu dici giuastsamente Qual è il tema centrale attorno cui ruota tutto il discorso di manipolazione? L'ignoranza, da parte di uno degli interlocutori della relazione, degli obiettivi "reali" dell'altra parte.
    Motterlini mette in luce un manipolazione “gentile”, che ci può incidere in modo ancora più sottile e subdolo sui comportamenti. Ancora una volta tutto dipende dagli obiettivi "reali" dell'altra parte.
    Stefano Pollini

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  2. Sono tutte considerazioni assolutamente ancora valide e utili a definire lo stato delle relazioni, aziendali e no, in questo terzo millennio inoltrato, e concordo pure con il commento che sottolinea come centrale il problema dell' ignoranza, o meglio della non conoscenza della realtà cosi com' è. La complicazione, a mio parere, è che, molto più che negli anni '80 del secolo scorso, la realtà ha assunto caratteristiche di assoluta inafferrabilità, non solo nell' ambito del segmento relazionale "manipolatore-manipolato", bensì all' interno di tutto il perimetro degli "stakeholders"; anzi, è l' insieme "reale" dei portatori di interesse che sfugge da tutte le parti. Quindi, nell' impossibilità a venire a capo di una sostenibile analisi di realtà, non resta effettivamente altro che ricercare le manipolazioni "buone" e rifiutare quelle "cattive", in scienza e coscienza, sia quelle fatte, sia quelle ricevute.

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