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lunedì 27 aprile 2015

EX LIBRIS / Leadership: arroganza, narcisismo, giullari (Manfred F.R. Kets de Vries)

I pericoli dell’arroganza
L’arroganza è il prevedibile esito di un narcisismo incontrollato. Il narcisismo, una forza basilare che sta dietro il desiderio di leadership e potere, si aggrava spesso una volta che leadership e potere siano stati conquistati. Vediamo allora, come dice Freud, un leader “che non ama altri che se stesso... autoritario, assolutamente narcisista, sicuro di sé e indipendente” (1921). Leader di questo genere, portati a rifugiarsi in un mondo esclusivamente proprio, possono essere miopi, testardi e poco inclini a chiedere o accettare consigli da altri. In molti casi si creano una realtà personale rimanendo incrollabilmente ciechi alle possibili conseguenze negative di questo loro atteggiamento. Questa situazione è ancora più grave quando riguarda i rapporti leader-gregari, rapporti non sempre di natura razionale. A volte si verifica una sorta di regressione reciproca da cui origina un comportamento del tutto incongruo. Causa di questi processi regressivi, nei quali vengono smarrite personalità reali e realtà oggettiva, sembrano essere particolari situazioni di transfert, nelle quali il leader viene idealizzato dai seguaci che si rispecchiano in lui.
Pochi sono in grado di confrontarsi con la realtà senza lasciarsi prendere da primordiali meccanismi di difesa capaci di portare all’arroganza. In genere esiste il pericolo di una folie à deux, o pensiero di gruppo, che porta l’individuo a impegnarsi in decisioni irrazionali. Come accade in situazioni di malattia mentale, la soluzione va ricercata nell’identificazione di possibili distorsioni della realtà.

Il ruolo del giullare
In passato il ruolo di elemento equilibratore nei rapporti con il leader, in genere un imperatore o un re, veniva assunto dal giullare o matto. Naturalmente non uso questo termine per indicare una persona stupida o incapace di giudizio - proprio il contrario -, ma piuttosto una persona il cui ruolo consiste nell’indurre una trasformazione dicendo scherzosamente la verità. In virtù di questo rapporto il destino del leader e quello del suo giullare vengono inestricabilmente accomunati da uno stesso fato. Il giullare crea una certa atmosfera emotiva e in vari modi ricorda al leader il carattere transitorio del potere. Diventa il guardiano della realtà, impedendo paradossalmente decisioni insensate. Si noti che il poeta satirico francese Rabelais definì Rigoletto, il famoso buffone della corte di Francesco I, morosofo. E’ questa una parola composta molto interessante: in greco moros significa “matto” e sophos “saggio”.
I giullari o “matti” costituiscono una vera e propria categoria sociale generalmente riconosciuta. Tutti ne abbiamo incontrati, e qualche volta noi stessi abbiamo assunto il loro comportamento. Ci sono stati presentati da antropologia, mito, folklore, letteratura e dramma sotto nomi diversi: elfi, istrioni, buffoni, pagliacci, giullari, Arlecchini, Pierrot, per esempio. Elaborate descrizioni di tipo antropologico del matto rituale sono presenti in diversi studi sulle comunità africane, asiatiche, oceaniche, nordamericane, mesoamericane e sudamericane. L’elfo, in genere una figura maschile, è dotato di misteriosi poteri di veggenza e profezia. E’ allo stesso tempo un diseredato e un oggetto di timorosa reverenza, uno specchio, un giocoliere capace di trarre ordine dal caos allacciando l’inesplicabile al quotidiano. Jung lo descrive come: “un essere primordiale cosmico di natura divino-animale, da un lato superiore all’uomo per le sue qualità sovrumane, dall’altro a lui inferiore per la sua innocenza e insensatezza” (1954). Se paragoniamo il ruolo svolto da questa mitica creatura nelle diverse culture vediamo come l’elfo diventi un simbolo della condizione umana, parodiando pulsioni, necessità e debolezze umane, combinando astuzia e stupidità, divertimento e in un momento immediatamente successivo terrore. La ricerca antropologica suggerisce che sulla figura dell’elfo è possibile all’individuo riflettere debolezze, ideali e timori propri, conferendole la capacità di svolgere un ruolo significativo presso molte società. Welsford arriva a considerare il giullare un educatore, “in quanto in grado di portare alla luce la follia latente nel suo pubblico” (1935). Per mezzo di un esempio negativo il giullare afferma veri valori e valide azioni.
Indipendentemente dal valore etnografico della figura del giullare o matto, il suo ruolo è stato istituzionalizzato nella professione di clown, di istrione, di buffone di corte. E’ un essere privilegiato in quanto, sotto le apparenze della follia o della stupidità (quindi dell’innocuità) può dire ciò che per altri è indicibile. Per porgere il suo messaggio usa ogni genere di strategia: goffaggine, esagerazione, distrazione, dissimulazione, panto¬mima, imprecisione. E’ stato definito una caricatura vivente. Senza dubbio nel suo rapporto con il re il tradizionale che gli è caratteristico, ber¬retto con campanelli e bastoncino sormontato da un globo, costituisce una trasparente parodia della corona e dello scettro del monarca. [...]
Un esempio, forse il più famoso, del ruolo del buffone come operatore di trasformazione è quello del Matto del Re Lear di Shakespeare. In apparenza un ragazzo mezzo scemo, egli solo fra tutti quelli che circondano il re ha l’acume e il coraggio di riconoscere e proclamare la verità. Per un giudizio sulle figure di buffoni esistenti nel teatro drammatico è importante non perdere di vista l’utilità per il drammaturgo di una figura così ambivalente. Il Matto del Re Lear può essere sfruttato all’infinito per spiegare le dinamiche psicologiche dell’azione. Si tratta di una figura complessa e unica nel suo genere, con una funzione drammatica di grande importanza. Come spiega Muir: «Non è tanto una figura comica, quanto una valvola di sicurezza per il pubblico. Se giudicata con spirito critico, la condotta di Lear appare assurda, e d’altra parte la rappresentazione della follia suscita più il riso che non la simpatia. Il Matto è stato pertanto introdotto per dirottare su di sé l’ilarità del pubblico e conservare così a Lear la sua sublime dignità» (1952).
Oserei affermare che il potere del leader ha bisogno della follia del buffone. L’interazione tiene i due - e con essi l’organizzazione - in equilibrio psicologico. [...] 
L’aspetto duplice del rapporto re/matto mette in ri¬lievo la natura bifronte del potere. Il saggio/matto è spesso l’unica persona in grado di proteggere il re dal rischio di diventare arrogante. Nel contesto di una più generale patologia della leadership, il matto ha una parte molto importante da recitare. Dimostrando la follia di decisioni prese a seguito di una visione distorta, può aiutare il leader a mantenersi salda¬mente ancorato alla realtà. [...]
Nello studio delle organizzazioni si pone in genere grande attenzione ai leader e solo raramente alla parte svolta dai subordinati. Tra i due ruoli esiste invece un rapporto molto stretto: i leader hanno bisogno dei gregari, il re del suo buffone, e viceversa. Non dobbiamo dimenticare che, anche se si suppone che le organizzazioni siano permeate di razionalità, la verità in proposito è spesso qualcosa di molto diverso. Il dominio della realtà e quello dei pii desideri sono divisi da una linea molto sottile. Quando questa linea scompare si possono avere conseguenze devastanti per il buon funzionamento dell’organizzazione. Ed è precisamente allora che il matto organizzativo può svolgere un ruolo cruciale. 
George Bernard Shaw disse una volta che «ogni despota deve avere un suddito sleale che lo aiuti a rimanere sano di mente». E’ questa la funzione del giullare. Una persona che sappia svolgere questo ruolo nell’organizzazione contribuisce a mantenerla sui giusti binari, a non farle perdere il senso della realtà e, cosa più importante di tutte, a tenere sotto controllo la forza distruttiva dell’arroganza.

*** Manfred F.R. KETS DE VRIES, 1942, psicoanalista olandese, saggista, formatore e consulente di direzione, Leader, giullari e impostori (1993), Cortina, Milano, 1994.


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