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lunedì 9 febbraio 2015

#SOCIETA' / Laicità e fine-vita

La questione 'fine-vita' resta in Italia una questione scandalosamente non risolta.
Siamo un paese che non riesce a essere laico.
Dove ancora qualcuno distingue tra laicità buona e laicità cattiva: la prima, di fatto, devota alla Chiesa e la seconda spregiativamente stigmatizzata, dalla maggioranza dei cattolici (o sedicenti tali), con il termine laicismo.
Eppure, a me sembra che, se il tema non è giustamente bianco-nero nella coscienza delle persone, dovrebbe essere invece quanto mai chiaro ed evidente dal punto di vista giuridico.
E mentre lo Stato, appunto per questo, continua ad essere in grave difetto nei confronti di noi cittadini tutti, noi cittadini (e i cittadini, credenti o no, sono necessariamente laici: altrimenti non sono cittadini, ma sudditi) portiamo la colpa di non incalzare a sufficienza lo Stato perché faccia il suo dovere di Stato.
Eppure, il ragionamento dovrebbe essere quanto mai ovvio e banale in un contesto pubblico di convivenza civile.
Provo a ricordarlo.

Ognuno, specie su temi tanto delicati come la propria vita, deve essere libero di decidere secondo coscienza. La sua. E nessuno ha il diritto di interferire. 
Abbiamo invece sempre tutti il diritto/dovere di esprimere il nostro punto di vista, anche per offrire all'altro elementi perché l'altro possa meglio valutare e decidere. A maggior ragione, su questioni 'sensibili' come la vita e la morte, deve valere il diritto/dovere di non tacere. Da parte di credenti e di non credenti. E' così che le rispettive visioni del mondo possono essere 'testate' e, se le nuove idee scambiate sono convincenti, modificate. 
Ma, alla fine, la nostra 'verità' è appunto 'nostra'. E va rispettata. Punto. Benché sia, ovviamente, una verità con l'iniziale minuscola. Perché vale per noi. E se vale per gli altri, lo possono decidere solo gli altri.
Io non discuto se l'altro decide di proseguire una vita che io chiamo funzionamento, ma lui, secondo coscienza e convincimenti personali, chiama vita. Io non discuto se l'altro si riferisce alla vita come a un dono. Non gli impongo la mia visione. Men che meno la mia scelta. 
Ma lui non 'deve' imporre a me la sua visione. E men che meno la sua scelta.
Lui si tiene la sua fede in Dio: libero di propugnarla, ma non di imporla attraverso il braccio secolare delle leggi di Stato.
Io mi tengo la mia posizione, agnostica o atea (o anche di 'diversamente credente'): libero di affermarla, e difenderla, con gli argomenti della ragione che ritengo più appropriati.
Mi sembrerebbe semplice.
E' un modo, nobilmente laico, di convivere. E di far convivere, sul piano pubblico, principi, valori, visioni, fedi differenti.
Relativismo? So che il termine irrita molti. Cambiamolo, se preferiamo. Il contenuto, però, a me sembra non possa essere smentito: non siamo tutti uguali. Per conformazione fisica, caratteristiche psicologiche, modi e contenuti di pensiero.
Gli esseri umani, io credo, sono tanto più umani quanto più sanno governare la diversità. Rispettandosi. 
Usare Dio per imporre i propri convincimenti e comportamenti è peggio che usare la pistola. 
Perché è più subdolo. Più violento.
Dio, se c'è, ha la Verità. Noi, che non siamo Dio, abbiamo le verità. 
Il nostro posto è stare al nostro posto. Non al suo posto. (mf)

Sull'argomento vedi in questo blog la mia Invettiva laica: in morte di Eluana Englaro,
http://masferrario.blogspot.it/2015/02/sguardi-poietici-invettiva-laica-m.html

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