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lunedì 23 febbraio 2015

#LIBRI PIACIUTI / Maylis de Kerangal, Riparare i viventi

Maylis DE KERANGAL, Riparare i viventi, Feltrinelli, 2015, 
pagine 218, € 16,00, ebook € 9,99


La trama è dolorosamente, tragicamente semplice. 

Un giovane, atletico, sportivo, innamorato del surf e sempre a caccia della magia della nuova onda perfetta, al ritorno proprio dalla ennesima avventura sul mare, si schianta in auto. E’ morte cerebrale. La famiglia sembra impazzire. Con comprensibile affaticato tormento i genitori danno il consenso all'espianto degli organi. E nuove vite rivivono. E il cuore, in particolare, del ragazzo può riprendere a pulsare nel torace di una donna che pareva ormai senza speranza.

Ci sono casi in cui la forma è sostanza e questo libro ne è la conferma. Quello che ti mozza il fiato (e in alcuni momenti avviene davvero, senza metafora) è lo stile con cui tutto è raccontato. Il linguaggio: preciso, microdettagliato, che cerca di restituire, con una ‘oggettività’ impari che però si annega nella ‘soggettività’ assoluta dei personaggi, stati d'animo, emozioni, paesaggi. Ma soprattutto l’approccio: incandescente e distaccato allo stesso tempo, appassionato e freddo come un processo autoptico. Che sopraffà il lettore di parole, sensazioni, atmosfere. Torrentizio, a valanga, ansimante. In alcuni momenti ti senti boccheggiare: certo, il contenuto inquieta, ma è il modo in cui ti viene proposto che non ti dà respiro, ti ‘tira dentro’ la storia, esige il tuo ‘esserci’.

E’ questa la cifra del romanzo: la superba maestria con cui l’autrice sa lavorare con il fiume di pensieri e descrizioni che le offre la materia tormentosa della vicenda. 
E questo, a mio avviso, in alcuni momenti appare anche il limite. La sapienza di scrittura, superata una certa soglia, rischia di diventare pura abilità, gioco letterario, artificio da giocoliere. E in questi momenti la lettura, per quanto continui a restare affascinata dalla destrezza linguistica, fatica a seguire, anche perché invasa dal susseguirsi delle parentesi che vogliono dire tutto, non dimenticare nulla, dettagliare qualunque vissuto e approfondire qualunque mossa medica, scavare ogni recesso di anima e mostrare, nei fatti, come sia indispensabile ‘riparare i viventi’.

Nel complesso, comunque, il romanzo avvince: per la sua freddezza spietata che si unisce ad una ‘pietas’ che diventa, in molti passi, poesia pura. Come in questo frammento finale, in cui peraltro lo stile, di solito ansimante e arrembante, si quieta:
«
Il cuore di Simon migrava in un altro luogo del paese, i suoi reni, il suo fegato e i suoi polmoni raggiungevano altre province, correvano verso altri corpi. Cosa sarebbe rimasto, in quella disseminazione, dell’unità di suo figlio? Come collegare la sua memoria individuale a quel corpo disperso? Che ne sarebbe stato della sua presenza, del suo riflesso sulla Terra, del suo fantasma? Quelle domande le girano intorno come cerchi di fuoco, poi davanti ai suoi occhi si forma il viso di Simon, intatto e unico. È irriducibile, è lui. Sente una calma profonda. Fuori la notte arde come un deserto»

Un libro da leggere. E che non ti abbandona. (mf)


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