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martedì 3 maggio 2022

#RACCONTId'AUTORE / Ometti (Massimiliano Caccamo)

“Voglio che la morte mi colga mentre pianto i miei cavoli,
per niente preoccupato per lei
e meno ancora del mio orto imperfetto”
(Michel Eyquem de Montaigne)

ométto s. m. [dim. di uomo]. – 1. a. Uomo di piccola statura, o anche di scarso livello intellettuale e culturale, o incline alla meschineria. b. Bambino giudizioso o che abbia già atteggiamenti da adulto: è un vero o.; che bravo o.!; ormai sei un o. e certe cose devi capirle. 2. fig. a. Nel biliardo, altro nome dei birilli. b. Gruccia per appendere i vestiti, soprattutto del tipo che ha anche il bastone verticale. c. In architettura, sinon. di monaco (v. monaco1 nel sign. 3). d. In alpinismo, rudi-mentale piramide di sassi che viene innalzata su una vetta da chi per primo l’ha raggiunta, o che si pone come punto di riferimento per indicare lo svolgimento di un sentiero.

In casa Guidotti a Busto Arsizio gli ometti erano, per antonomasia, queste singolari realizzazioni in ceramica che fungevano da appendiabiti per gli ospiti.
A chi ne aveva già consuetudine strappavano un mezzo sorriso.
Chi li sperimentava per la prima volta li trovava assai bizzarri e anche un filo inquietanti.
Ma era solo un attimo, perché venivano coperti all’istante da una giacca o da un cappotto.
Tornavano a far capolino, quasi per dare un arrivederci, quando la visita era conclusa e gli ospiti riprendevano giacche e cappotti e lasciavano la casa.

Quella casa cui si è fatto cenno non esiste più da molto tempo ormai, così come casa Caccamo situata due piani più sopra.
Non nel senso che siano state abbattute da qualche cataclisma (il condominio è sempre lì, al suo posto, in via Orazio a Busto Arsizio) ma nel senso che non sono più abitate dai loro originari proprietari tutti passati da tempo a miglior vita.
Ma gli ometti, dopo un lungo peregrinare dalla casa di Busto a quella di Bergamo e da questa a quella di Rho, guardano ancora i nuovi ospiti (sempre più rari) che hanno l’avventura di incrociare il loro sguardo.

E io a volte immagino che queste faccine in ceramica abbiano una macchina fotografica incorporata, cosa che oggi, data la tecnologia disponibile, non sarebbe un grosso problema, ma che negli anni 50 si faceva un po' fatica anche solo a immaginare.
Se così fosse dentro la memoria degli ometti potremmo ritrovare le facce di tutti quelli che li hanno guardati dritti negli occhi giusto quell’istante prima di essere oscurati.

E vi dirò che sono convinto che questa storia sia del tutto verosimile e che andrà avanti così, all’insaputa di tutti, fino al momento in cui non passerà a miglior vita l’ultimo legittimo proprietario, ovvero chi vi sta scrivendo ora.
Perché sarà quello il momento in cui l’ometto registrerà per l’ultima volta la faccia di un uomo.
L’uomo che lo staccherà dalla parete, lo monterà su un furgone e lo depositerà in una discarica.

*** Massimiliano CACCAMO, formatore e consulente di sviluppo organizzativo, saggista, scrittore, Ometti, inedito per 'Mixtura' - Il racconto fa parte di un libro di prossima pubblicazione

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