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sabato 13 febbraio 2021

#SPILLI / Il modello Draghi e il nuovo esecutivo (Massimo Ferrario)

Siamo arrivati al dunque: restano le ultime tappe di procedura formale e il governo di Mario Draghi, voluto da Sergio Mattarella, una volta ricevuta la fiducia delle due Camere, inizierà ad operare.

La sua composizione, per la parte politica, è un capolavoro di equilibrismo: si vede l’uso di un bilancino da manuale Cencelli con il quale è stato realizzato un compromesso degno della più antica arte democristiana. 
Il potere vero, sulle cose che contano, è ovviamente nelle mani di Draghi, affiancato dalla sua squadra ristretta di tecnici di alto livello. La componente partitica, in alcuni casi di profilo assai basso, è destinata a giocare un ruolo comprimario. L’innaturale  aggregazione di forze ideologicamente contrastanti, e perciò potenzialmente sempre pronte alla dissonanza centrifuga, sarà in ogni momento in grado di minare l’efficacia complessiva dell’intero esecutivo. 

Osserveremo la sua navigazione e valuteremo i risultati.
Siamo di fronte a un esecutivo sostanzialmente in forma di 'ammucchiata', che, se va bene, nonostante l'indubbia guida severa del Presidente del consiglio, rischia di procedere in costante affanno, peraltro focalizzato quasi esclusivamente sulle due esigenze  di assoluta urgenza per cui è nato: il piano vaccinale e il piano di rilancio (tutto il resto, specie per il lasso di tempo limitato da qui alla fine della legislatura, è 'libro dei sogni'). Pericolo costante sarà la tendenza alla disarticolazione, che si accentuerà all'approssimarsi delle elezioni, quando i singoli partiti dovranno recuperare le loro differenze, esasperandole gli uni contro gli altri per conquistarsi i voti imminenti
 
Perché, almeno al termine della legislatura, al voto, cui oggi siamo sfuggiti con argomenti anche validi ma opinabili, si dovrà necessariamente andare. 
Mario Draghi, posto che riesca a 'salvarci' dalla crisi pandemica, economica e sociale, come invocato dal coro unanime (e un po' imbarazzante per la dignità di tutti noi, che in ginocchio lo abbiamo santificato prima ancora di aver visto i risultati), non ci salverà dalla scadenza elettorale. 

Naturalmente le elezioni, come abbiamo visto più volte, non sono risolutive in sé. 
Riconsegneranno, però, a politici e cittadini l'opportunità di far rientrare il sistema dentro una 'normalità' politica non più affidata a chi è chiamato a essere 'l'Uomo' della emergenza nazionale. 
Starà poi al ceto politico, si spera decisamente rinnovato dal voto, farla fruttare.

Non sarà facile. 
Per responsabilità determinante di molti, tra i quali primeggiano campioni di sfascismo abituati ad usare alternativamente il poker e il killeraggio politico, la gestione della cosa pubblica è al collasso: ridotta in macerie e sepolta dall'indignazione e dal disgusto generale. Il suo fallimento, anziché preoccupare noi cittadini, quando non produce una soddisfazione rancorosa, più o meno esibita pubblicamente con gioia che gronda astio vendicativo, alimenta indifferenza, rassegnazione, qualunquismo. Ed esalta le attese salvifiche verso il Super Commissario Tecnico, che benevolmente, ma direttivamente, invitato dal Presidente della Repubblica a spodestare i politici, si accinge a fare ciò che questi non hanno saputo fare, così di fatto essendo autorizzato a spegnere qualunque eventuale anche timido dissenso. 

Per uscire dal momento attuale di interruzione del gioco politico (e quindi, sostanzialmente, di sospensione delle regole che rendono viva e partecipe la democrazia), avremo bisogno di una profonda e sostanziale rivoluzione interna di tutto lo scenario politico: in termini di prospettive, contenuti, alleanze delle forze politiche, ma soprattutto di qualità del ceto dirigente. 

Un processo che non si improvvisa. E la rinascita non è alla porte. 

Noi cittadini elettori non siamo peraltro innocenti. 
I fatti dimostrano che le prove elettorali di questi ultimi tempi non hanno favorito le scelte migliori. Incapaci di impadronirci di vera informazione (fatti fondati e non inventati) e di pensiero critico (ragionamenti che connettano e restituiscano la complessità del mondo in modo non semplicistico), ci siamo lasciati abbindolare da chi non chiedeva che questo: abbiamo privilegiato chi ci parlava con stile demagogico e ci vendeva facili slogan. E ora dobbiamo fare i conti, anche, con la nostra (colpevole) cocente delusione. 
Tuttavia, non rimane altra strada, in democrazia, che sperare fattivamente, oltre che in un radicale ricambio dell'offerta politica, anche in un ravvedimento consapevole e diffuso di noi elettori, che porti a una selezione più ragionata dei rappresentanti: magari finalmente favorita da una riforma di una legge elettorale che elimini dal Parlamento i nominati dai partiti.

Perché il 'modello Draghi' non può che essere un'eccezione. Temporanea. A breve termine. 
E se non si capisce che da subito urge attrezzarsi per riprendere la vita pubblica con un modello radicalmente trasformato ma genuinamente 'politico', il rischio è che, sedotti dal fascino superficiale della tecnocrazia (in genere volentieri combinata con l'oligarchia), più o meno consapevolmente, si scivoli davvero fuori dalla democrazia.

*** Massimo Ferrario, Il modello Draghi e il nuovo esecutivo, per Mixtura


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