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venerdì 6 settembre 2019

#SPILLI / L'azzardo del governo giallo-rosso (Massimo Ferrario)

Chi come me non riesce a guarire dalla malattia che porta a seguire la Politica anche quando ormai da anni la 'P' iniziale ha perso la maiuscola, rattrappendosi in una minuscola sempre più microscopica, ha potuto esprimere fino al parossismo la sua dipendenza psicologica durante il recente mese di agosto: quasi ogni giorno c'era materiale per definire il processo della crisi di governo un inno alla follia, per i suoi contorcimenti quotidiani sempre più assurdi e interminabili e per i suoi giochetti di potere sempre più indecorosi e autoreferenziali. 

Metto in fila alcuni brevi punti che ricapitolano il mio pensiero sul momento politico attuale.

(1) - Gli avvenimenti, almeno nelle loro linee 'grosse', sono noti a tutti. 
Nel momento in cui nessuno se l'aspettava, Matteo Salvini, con una mossa che qualificare avventata è un eufemismo per evitare di evocare, più realisticamente, la stupidità assoluta, ha buttato via tutto il suo potere di vicepremier e di straripante Ministro dell'Interno per cercare di ottenere i 'pieni poteri' dopo un bagno elettorale che riteneva fosse dietro l'angolo soltanto perché preteso da lui. 
E' finita che il Conte-2 giallo-rosso, ieri, ha prestato giuramento e ora si avvia a ricevere la fiducia dalle due Camere all'inizio di settimana prossima. Mentre la Lega, suicidatasi all'opposizione, per il momento lì è recintata, a sputare livore e risentimento verso tutto e tutti, sproloquiando di complotti di cui il suo capo, rivelatosi al mondo un campione di grullaggine, è unico Grande Cospiratore.

(2) - Sono sempre stato favorevole ad un incontro centrosinistra-5Stelle.
Sapevo che probabilmente l'operazione era prematura, ma apprezzai la mossa di Pier Luigi Bersani del 2013, quando, durante il famoso streaming (valutato per lo più umiliante per Bersani, ma a mio avviso invece penoso per la figuraccia offerta dai neoeletti stellati), chiese un appoggio minimo ad un possibile avvio di governo di centrosinistra aperto al movimento appena entrato in Parlamento. 
Così come, in sintonia con Massimo Cacciari e non molti altri, tifavo l'anno scorso, dopo le elezioni, più che per un accordo di governo, per un appoggio esterno del Pd al M5S: iniziale, se non altro. Sarebbe stato un tentativo difficile, forse destinato all'insuccesso. Ma era da provarci. E se fosse riuscito, ci saremmo risparmiati oltre un anno di oscenità salviniane: forse i 5S non si sarebbero dimezzati e Salvini non sarebbe salito a oltre il 30% di consenso. E' prevalsa invece la teoria del pop corn di Matteo Renzi, che giurò (e l'ha ripetuto ogni giorno per oltre un anno) che mai e poi mai (#senzadime) il Pd si sarebbe dovuto accordare, in qualunque modo, con i grillini: come ricordiamo, da 'semplice senatore', senza più alcun titolo formale di guida nel partito, passò sulla testa di molti dirigenti che sarebbero stati propensi a provare l'intesa, affermando la linea isolazionista del Pd in una intervista televisiva da Fabio Fazio.

(3) - Immaginare un incontro centrosinistra-5Stelle, finché era una ipotesi di lavoro, non significava dimenticare le differenze, anche profonde, tra le due forze politiche. Storiche, innanzitutto: se è vero che il movimento ha alla sua origine, quasi una sua ragion d'essere, una secca contrapposizione al Pd e si è alimentato per anni di un'ostilità 'dura-e-pura' (il famoso 'PdmenoElle' di Beppe Grillo), manifestatasi anche, in modo crescente, con insulti di ogni genere. L'anno e mezzo di 'contratto' M5S-Lega, poi, ha ulteriormente incattivito le relazioni con il centrosinistra, per i cedimenti evidenti della forza di Luigi Di Maio al traino leghista e le conseguenti accuse di complicità. Eppure, elementi di possibile sovrapposizione tra 5S e centrosinistra, in termini di contenuti di politiche a difesa di diritti individuali e sociali, si possono rintracciare nei valori e nelle intenzioni di entrambi, o comunque si possono costruire in alcune parti comuni. I 5S ripetono ossessivamente che sinistra e destra non contano più (tipico mantra, peraltro, di chi di fatto si colloca a destra, anche a sua insaputa), perché contano solo le soluzioni (come se le soluzioni non fossero di destra o di sinistra); ma ciò non significa che convergenze e collaborazioni siano impossibili, almeno con quella parte del movimento più 'sinistrorsa', ancora non del tutto approdata al pragmatismo post-ideologico e opportunistico che pare essere un vanto per molti pentastellati (in particolare, se si tiene conto, più che della dirigenza 5S fedele all'attuale 'capo politico' o a Davide Casaleggio, di quell'80% di iscritti che ha votato su Rousseau per l'accordo con il Pd).

(4) - L'accordo giallo-rosso ha precipitato gli eventi, azzerando l'eventualità di un processo di graduale avvicinamento, essenziale per costruire un rapporto consapevole e meditato, che dia origine a un minimo di visione realmente e convintamente condivisa. E soprattutto è mancata, da ambo le parti, una sana e non rituale autocritica delle due pesantissime sconfitte: 5-6 milioni di elettori persi, per parte (!), da entrambe le forze (il Pd in 4 anni, dalle elezioni europee del 2014 alle elezioni politiche del 2018; e il M5S nell'arco di poco più di 1 anno, durante il governo giallo-verde). La causa di questo incontro improvviso e imprevisto è scontata: la paura del voto. Per il Pd, soprattutto, il timore di una vittoria pigliatutto di Salvini, con le concrete e conseguenti preoccupazioni di tenuta democratica del sistema (rischio di una 'democratura' in formato nostrano). Per il M5S, la consapevolezza che le elezioni avrebbero probabilmente più che dimezzato il consenso del 2018, con relativa perdita di posti per i parlamentari uscenti e non più rientranti. In comune, poi, il desiderio di governo: per il Pd di tornarci dopo poco più di un anno dalla storica disfatta, e per il M5S di continuare a esercitare il potere appena conquistato possibilmente per l'intera legislatura.

(5) - Nessun dubbio sulla legittimità del governo giallo-rosso: chi la mette in discussione, parlando di sovranità del popolo che esigerebbe elezioni, o è in malafede o è ignorante. In un sistema parlamentare, le maggioranze si formano in Parlamento e il voto fuori scadenza è la procedura eccezionale, da usare come ultimo strumento per uscire da uno stallo. Non si capirebbe, del resto, perché il governo giallo-verde sarebbe legittimo e questo giallo-rosso dovrebbe essere illegittimo: i numeri dei sondaggi, in mutazione nel tempo, o delle elezioni europee, successive a quelle politiche, non valgono per questo Parlamento, i cui seggi restano fissati dalle elezioni del 2018.

(6) - L'ipotesi del voto, ora superata dall'insediamento del governo giallo-rosso, non era così assurda come è stata dipinta dalla maggioranza. Non solo la vittoria di Salvini poteva non essere data per scontata (la sua 'ammaccatura' per la castroneria di aver gettato via come un poker d'assi la sua posizione dominante nel governo avrebbe potuto avere contraccolpi più che positivi per un centrosinistra capace di proporre in sede elettorale contenuti sociali finalmente di rottura col passato), ma certo si sarebbe impedito, giocando apertamente sul campo, di essere accusati di poltronismo e di vigliaccheria, offrendo, con lo sviluppo della crisi cui abbiamo assistito, uno spettacolo oggettivamente vergognoso.

(7) - La mossa di Zingaretti di puntare a un governo di legislatura, e dunque di 'svolta' (e non a un 'governicchio a termine' finalizzato a risolvere i problemi dell'Iva, come inizialmente chiesto da Matteo Renzi), mi è sembrata più che corretta. Ma i due paletti principali fissati come non negoziabili per ottenere la svolta sono saltati subito: prima il no a Conte è diventato Conte-2, poi la condizione di un solo vicepremier targato Pd si è trasformata in assenza di vicepremier sia per Pd che per M5s. Con il risultato finale che a Palazzo Chigi ora non siede neppure un sottosegretario Pd. E tutto questo mentre Giuseppe Conte e Luigi Di Maio ripetevano solennemente, a più riprese e ossessivamente, che erano 'orgogliosi di quanto fatto nel governo giallo-verde' e che non avrebbero mutato nulla per l'avvenire (opponendo alla 'discontinuità' sempre richiesta dal Pd la loro convinta e sprezzante 'continuità').

(8) - Anche guardando la quantità e la qualità delle risorse ministeriali messe in campo (alcune inesperte e forse non tutte adeguate ai ruoli e al momento di grande sfida), un certo pessimismo parrebbe giustificato e accresce il  rischio/azzardo con cui si è optato per continuare la legislatura. Due forze spesso 'nemiche' (e non semplicemente 'avversarie') si sono accostate (più che associate) senza un'elaborazione preventiva che portasse alla 'volontà ferma e sentita', e non solo necessitata ed emergenziale, di fare squadra secondo una strategia di visione comune. Domando: dove sono finite le condizioni auspicate da Romano Prodi per propiziare l'accordo (due congressi di idee, in entrambi gli schieramenti, che valutassero luci e ombre delle rispettive politiche passate e decidessero una opportuna conversione per individuare una linea condivisa di lavoro insieme)? Certo: è mancato il tempo. Ma quando si pretende il 'risultato' senza passare dal 'processo', il 'risultato' rischia di essere illusorio, perché mancano la solidità e la stabilità necessarie per creare legami durevoli. Il dubbio, quindi, sulla durata, oltre che sulla qualità di quanto produrrà questa coalizione messa insieme in questo modo avventato, resta tutto.

(9) - Se le condizioni in cui è nato questo governo sono quasi da manuale perché, con alta probabilità, l'operazione fallisca, credo e spero che a questo punto tutti (5S e Pd, governo e partiti, militanti ed elettori) 'tifino' per farla funzionare, evitandone il fiasco. Non con la retorica delle parole: ma con atti, comportamenti, fatti: precisi e concreti. Critica e dissenso, specie da parte di osservatori esterni, sono sempre importanti e da valorizzare, specie in momenti di scelte difficili e delicate, perché possono pungolare e ricordare che la sfida è ardua e la partita non è una normale partita: in gioco è la sopravvivenza democratica di chi tiene alla democrazia. Ma lo 'spirito', soprattutto da parte di chi ha ruoli e poteri effettivi per agire nel governo o attorno ad esso, deve essere finalizzato a produrre davvero una 'rottura' con il passato e a mutare radicalmente l'immagine sia di Pd che di M5S, oggi negativa per entrambe le forze proprio per i trascorsi, recenti o lontani, certificati dal voto fortemente penalizzante degli elettori. Se i risultati, nel giro di breve, non saranno davvero da 'svolta', e osservabili in modo il più possibile oggettivo e non opinabile, alle prossime elezioni, specie se non saranno a fine legislatura, l'estrema destra farà sicuramente il pienone: con centrosinistra e 5S ridotti al lumicino, accusati entrambi di essere a difesa dell'establishment più o meno europeo e 'nemici del popolo sovrano'. E nessuno più, per anni, ci salverà da un nazionalpopulismo fascistoide che potrà smantellare dall'interno (senza carri armati) la democrazia che conosciamo, intossicando definitivamente, più di quanto già non sia avvenuto, ogni cultura di convivenza civile.

*** Massimo FERRARIO, L'azzardo del governo giallo-rosso, per Mixtura 


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