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giovedì 22 agosto 2019

SENZA_TAGLI / Non è solo una crisi di governo (Fabio Chiusi)

Questa non è solo una crisi di governo: è anche, soprattutto, una crisi che mostra che è in discussione il senso stesso della nostra democrazia.

Benissimo ha fatto Conte a chiarirlo con durezza: il progetto politico di Salvini porta altrove, lontano da come l'abbiamo sempre intesa. Ed è ora di fermarsi e discuterne, e proprio lì, nel Parlamento che ne incarna l'essenza.

Ma le "buone" notizie finiscono qui.

Il presidente del Consiglio che accusa il suo ministro dell'Interno di avere istinti autoritari per lunghissimi minuti, con quei toni fermi e durissimi, è una scena clamorosa, ma soprattutto preoccupante: significa che lo scontro è ormai giunto alle fondamenta dell'edificio democratico; si concentra sulle regole del gioco, sul senso stesso da dare al ruolo che entrambi ricoprono.

Conte, non a caso, ha accusato Salvini non tanto di trasformismo politico, quanto di avere scarso senso democratico. Riporto: "scarsa responsabilità istituzionale", "grave carenza di cultura costituzionale", "grave imprudenza istituzionale". Salvini ha preso in giro il Parlamento costringendolo a una fiducia per poi sfiduciarlo ("opportunismo politico"), accusa Conte. Salvini ha annunciato sfiducia senza ritirare i ministri ("palesemente contraddittorio").

Ma soprattutto, Salvini ha una "concezione" di fondo che "preoccupa", dice Conte, che si vede poi costretto a fare il professore di diritto costituzionale: "le crisi di governo non si regolano nelle piazze ma nel parlamento"; "non abbiamo bisogno di persone con pieni poteri"; "evita di accostare a slogan politici i simboli religiosi nei comizi".

Di Maio, per qualche ragione, fatica a trattenere le risa sotto i baffi. Ma non c'è niente da ridere, perché il presidente del Consiglio ha appena certificato che il titolare del Viminale merita una lavata di capo sulle basi del gioco democratico. E la merita in Senato, a reti unificate, nel giorno in cui il paese lo ascolta dimettersi.

Salvini, prendendo la parola, conferma: "Rifarei tutto quello che ho fatto". Nessun ripensamento, nessun mea culpa.

Trasformando in un nulla quella che era parsa un'aula universitaria nello studio di Amici, dice che chi ha "paura del giudizio del popolo italiano" è un uomo "meno libero". Che continuerà a invocare la "protezione del cuore immacolato di Maria" -- non per sé ma per il popolo italiano, naturalmente. Tra un proclama e l'altro, dice che l'uomo leghista è libero per definizione, una società fatta di figli che "hanno una mamma e un papà" -- altro che il "partito di Bibbiano" con cui tramerebbero, tra un complotto e l'altro, gli ex alleati nel "cambiamento".

Ride quando gli vengono rinfacciati gli istinti ai "pieni poteri", ma poi ripetutamente deride un intellettuale critico, Roberto Saviano, dal più alto contesto istituzionale. Ride quando gli si chiede conto delle non risposte sui legami russi, ma non aggiunge nulla.

Fa il garantista, sostenendo di stare con lo "stato di diritto", non con la "giungla", dopo avere fatto dell'attacco ai magistrati critici una routine. Dice di volere un paese "libero e sovrano", in cui non decide qualche "firma" a Bruxelles: quindi il programma è di nuovo uscire dall'euro?

Ripetutamente, poi, ridicolizza l'accusa di autoritarismo. "Siamo gli unici presunti fascisti che vogliono il voto. Pensa che dittatura vorremmo instaurare, la dittatura del voto del popolo italiano", dice, dimenticando insieme che la "democrazia" non è la dittatura della maggioranza e che, peraltro, nella storia i fascisti hanno voluto il voto, eccome: solo non regolare, libero.

Di questo parliamo, non solo di "alleanze" e "scenari". Perché sul prossimo governo resta tutto da capire; ma sullo stato della nostra democrazia, ahinoi, sembra invece tutto sempre più disgraziatamente chiaro.

*** Fabio CHIUSI, giornalista e saggista, facebook, 20 agosto 2019, qui


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