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venerdì 28 giugno 2019

#MOSQUITO / Felicità, una via per la passività (Edgar Cabanas, Eva Illouz)

La crisi ha portato a un drammatico deterioramento del quadro economico a livello mondiale e ha inaugurato un periodo caratterizzato da minori opportunità, alti tassi di povertà e disuguaglianza, maggiore instabilità delle istituzioni e sfiducia nella politica. Dieci anni dopo i problemi persistono, e alcuni sembrano ormai cronici o istituzionalizzati, tanto che molti si domandano se non stiamo vivendo in un’epoca di grave regressione sociale, politica ed economica. Oltretutto, se da un lato l’opinione pubblica è più consapevole di vivere in una situazione di instabilità e precarietà, dall’altro le forze strutturali che influenzano le esistenze individuali rimangono invisibili e incomprensibili ai più. L’incertezza, l’insicurezza, l’impotenza e l’ansia si sono radicate negli animi, e gli appelli a ritirarsi in se stessi hanno trovato un terreno fertile per proliferare e annidarsi nel profondo, in particolare per chi è stato più colpito dalla recessione.
Qualche decennio fa, Christopher Lasch sostenne che nei periodi difficili la vita quotidiana tende a diventare un esercizio di «sopravvivenza psichica»: di fronte a un ambiente instabile, rischioso e imprevedibile, le persone mettono in atto una «ritirata emotiva» ed evitano qualsiasi impegno che non riguardi il miglioramento mentale e il benessere personale.
Isaiah Berlin aveva già osservato che questo ripiegamento verso una «cittadella interiore» (teorizzato da una dottrina individualista che incita a rifugiarsi nella «fortezza» del nostro «vero io»), «nasce quando il mondo esterno si dimostra particolarmente arido, crudele o ingiusto».
Jack Barbalet fa una constatazione simile: «Quando vi sono scarse opportunità di esercitare un’influenza significativa sui processi economici e politici, tra gli altri, allora è probabile che le persone sperimentino se stesse come centri di emozioni».
Sebbene non sia una novità assoluta, né una peculiarità di questi anni, l’appello alla ritirata interiore è stato ravvivato di recente, soprattutto in seguito ai cambiamenti economici e sociali scatenati dalla crisi del 2008.
Come ha affermato di recente il sociologo Michèle Lamont, i cittadini delle società neoliberiste post-crisi credono oramai «di dover trovare dentro di sé la forza di volontà per riprendersi da soli e resistere all’ondata recessiva».

Questa convinzione ha importanti ripercussioni sociologiche: innanzitutto rischia di svuotare il sé di qualsiasi componente comunitaria, rimpiazzandola con preoccupazioni di tipo narcisistico; in secondo luogo, sostenendo che l’unico modo di uscire dai problemi è impegnarsi, essa limita la possibilità di costruire un vero cambiamento sociale e politico a livello collettivo. La scienza della felicità conduce alla passività.

*** Edgar CABANAS, psicologo spagnolo, Eva ILLOUZ, 1961, sociologa marocchina, Happycracy. Come la scienza della felicità controlla le nostre misere vite, Codice edizioni, 2019
https://ucjc.academia.edu/EdgarCabanas
https://en.wikipedia.org/wiki/Eva_Illouz


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