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sabato 28 luglio 2018

#FAVOLE & RACCONTI / In Paradiso, l'Uomo Felice e l'Uomo Arrabbiato (Massimo Ferrario)

Ambedue erano appena arrivati in Paradiso.
Ma non potevano essere più diversi. 

Uno continuava a saltellare, comunicando a tutti quelli che incontrava, la sua gioia incontenibile.
Ripeteva: «Sì, ormai sono morto: ma sono morto felice. E ringrazio ancora mia moglie. » 

L'altro, scuro in volto e barbellante per il freddo che gli gelava le ossa, era su una nuvoletta, tutto per conto suo, e faceva capire a chiunque che non voleva che altri lo raggiungessero; anche se in fondo, con un piccolo salto, chiunque avrebbe potuto raggiungerlo e condividere il suo piccolo spazio di bambagia.

Il tipo tutta-gioia-e-allegria vede l'altro, taciturno e raggomitolato su se stesso.
Lo chiama, ma lui non risponde: con un cenno della mano, gli fa capire di non azzardarsi ad avvicinarsi.
L'Uomo Felice è stupito, ma rispetta la volontà dell'altro, che appare chiaramente arrabbiato.
Gli fa un cenno con la mano, come per dirgli che comunque sarebbe tornato quando magari si fosse calmato: dall'idea del Paradiso che fin da piccolo gli avevano inculcato, non era possibile che ci fossero anime scontente e corrucciate. 

Il giorno seguente, l'Uomo Felice svolazza tra una nuvola e l'altra, curioso di scoprire i segreti del nuovo mondo e di conoscere tante nuove anime. 
Verso sera, mentre decide di riposarsi dopo i lunghi voli della giornata, rivede l'Uomo Arrabbiato che se ne sta sempre solitario sulla sua nuvoletta. Non appare molto più rilassato di come lo aveva trovato nel primo incontro, ma decide di riprovare il contatto.

L'Uomo Arrabbiato però lo anticipa. Si mette a urlare: 
«Non ti provare a salire sulla mia nuvola. Lasciami solo. Non ho nulla da condividere con nessuno e men che meno con te.» 

Il botta e risposta è immediato.
«Ma io che c'entro? Cosa ti ho fatto?»
«Dici a tutti di essere morto felice. Già questo mi infastidisce. Io non sono morto felice. Stavo bene sulla terra e avei continuato a volerci stare.»
«Anch'io, per la verità, non avevo da lamentarmi. Ero in ottima salute, guadagnavo una barca di quattrini, due figli, una moglie per cui stravedevo.»
«Ma allora dovresti rimpiangere la tua vita sulla terra.»
«Sì, per certi versi sì.»
«Quindi mi pare che abbiamo qualcosa in comune: né tu né io volevamo morire. Non c'è mica tanto da essere allegri per quello che ci è capitato. In fondo sia tu che io il Paradiso, giù in terra, lo avevamo già trovato.»

L'uomo che sprizzava gioia da ogni poro della pelle (e dell'anima) annuisce.
E all'uomo che, chiacchierando chiacchierando, ormai stava scemando la rabbia, viene una domanda.
«Ma, scusa, tu come sei morto?»
«Ero felice, te l'ho detto.»
«Sì, ma la felicità mica ti fa morire. Hai detto che godevi di un'ottima salute: quindi, cosa è stato, un infarto?»

L'Uomo Felice sorride.
«Anche di felicità si può morire».
Poi decide di raccontare tutto.
«Ero in ufficio, un venerdì pomeriggio. Avrei dovuto partire per un fine settimana di lavoro: stavo preparando le carte e imprecavo: non capitava spesso, ma qualche volta mi toccava. Avrei voluto stare con mia moglie: era già tutto programmato, i figli dai nonni. E noi avevamo deciso di tornare sposini. Mi arriva una telefonata: il viaggio è saltato, la riunione non si fa più. Sono felice: inforco la macchina e corro a casa. La moglie, di solito, mi corre incontro appena metto le chiavi nella porta. Invece nulla. Entro, chiamo. Nulla. Perdo un po' di tempo: giro il soggiorno, scendo in taverna, salgo nelle camere. La camera matrimoniale è chiusa. Ci entro come una furia. Mia moglie è a letto. Nuda. Sembra dormire. Con le gambe fuori dalle coperte, che cadono molli verso il pavimento. Rigiro tutta la casa: apro ogni armadio, immaginando la solita scena dell'amante nascosto. Salgo in soffitta, perlustro ogni angolo. Riscendo in taverna. Niente. Nessuno. Mi prende una gioia incredibile. Sono felice come mai ero stato. Tanto felice. Mia moglie non mi ha tradito e sta davvero solo dormendo. Sono al settimo cielo. Mi sembra di non resistere a questa felicità. Ed è così, appunto, che muoio.»

L'Uomo Arrabbiato non sa come reagire alla storia appena sentita. 
Da una parte sente la rabbia crescergli ancora di più, dall'altra in qualche modo si rasserena. Insomma, vorrebbe imprecare e ridere nello stesso tempo.
Sceglie di stare zitto.

L'Uomo Felice si aspetta che l'altro ora ricambi raccontando della sua morte.
Ma il silenzio prosegue.

Allora gli pone la domanda esplicita.
«E tu invece, come sei morto?»
L'Uomo Arrabbiato scuote la testa: non si dà pace.
Poi comincia a dire, in continuazione: è incredibile, è incredibile, è incredibile...

L'Uomo Felice attende che l'altro si sfoghi. Poi gli chiede:
«Ma, scusa, incredibile cosa? Mi dici come sei morto?»
«Di freddo, sono morto. Un freddo cane. Ce l'ho ancora tutto nelle ossa.»
«Sei morto di freddo?»
«Bastava che tu lo aprissi...».
L'Uomo Felice strabuzza gli occhi.
«Bastava che io lo aprissi? Ma cosa avrei dovuto aprire? Io poi: che c'entro io?».

L'Uomo Arrabbiato ora era più arrabbiato che mai.
«Se avessi aperto quel maledetto congelatore... giù in taverna... si era incastrata la serratura... ora non saremmo qui».

***Massimo Ferrario, In Paradiso, l'uomo felice e l'uomo arrabbiato, per Mixtura - Riscrittura di una storiella diffusa in internet.


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