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sabato 23 giugno 2018

#FAVOLE & RACCONTI / Il robottino della mamma giapponese (Massimo Ferrario)

Mamma Akemi aveva la fissa della tecnologia: seguiva tutte le pubblicazioni che recensivano nuovi prodotti dalle caratteristiche più avveniristiche e, appena poteva, correva a comprarli. O nei migliori negozi di Tokio o attraverso internet. 
Quel giorno aveva appena ricevuto il pacco per il quale non aveva dormito la notte: se lo pregustava. 

Lo aprì con cautela: non stava nella pelle. 
Quando la 'cosa' apparve dall'imballaggio non poté trattenere un sospiro di ammirazione: era perfetto nella imitazione del corpo umano.  
E non doveva neppure configurarlo: il robottino era già pronto. 
Le istruzioni si limitavano a indicare il pulsante di accensione: era tutto quello che doveva essere fatto per farlo funzionare. 
Lo accese.

Baiko, il figlio di 12 anni, era in ritardo di oltre due ore. 
Non una telefonata. 
E la cosa si stava ripetendo da una settimana: usciva da scuola e nessuno sapeva dove passava buona parte del pomeriggio. 

Suonò la porta. 
Mamma Akemi si precipitò ad aprire: era il ragazzino, finalmente. 
Prese per mano Baiko e in modo brusco lo condusse in sala. 
Per l'occasione ad attendere il ragazzo c'era anche papà Harumi.

Baiko venne fatto sedere a capo tavola. 
Sotto la tavola, il robottino: nascosto e acceso, perfettamente funzionante.

Mamma Akemi interrogò il ragazzo.
«Stavolta mi devi dire dove sei stato. E io saprò con certezza se mi dici la verità o mi racconti una bugia». 
Baiko, di malavoglia, rispose: 
«Sono stato a casa di Gombei: abbiamo una ricerca per fine settimana. La stiamo sviluppando insieme: se non mi credi, chiedi alla professoressa.»

Passarono pochi secondi. 
Ci fu un trambusto sotto il tavolo. 
Emerse il robottino: che si avvicinò al ragazzo con decisione, prima lo guardò fisso negli occhi e poi gli mollò una sberla in piena faccia.

Baiko fece un salto, stupito per l'oggetto comparso all'improvviso. Poi emise un piccolo urlo di dolore, massaggiandosi la guancia
«Ma cos'è questa 'cosa'?», urlò in direzione della madre.

Anche papà Harumi si alzò, sbalordito. 
Si associò al grido del figlio. 
«Cos'è questa 'cosa'? Da dove sbuca?».

Mamma Akemi, tranquilla, spiegò tutto.
«E' il robottino che ho appena acquistato. Tra le tante qualità, sa capire se gli umani dicono la verità o no.»

Poi guardò il ragazzino: 
«Ora non possiamo più raccontarci storie, caro Baiko».

Papà Harumi evitò di affrontare con la moglie, almeno in quel momento, la questione del suo ultimo acquisto. Sapeva che non c'era nulla da fare: era come una malattia la passione di Akemi per le novità elettroniche.

Decise di esercitare la sua autorità di padre.
«Allora, Baiko, adesso ci dici dove sei stato veramente?».
Il figlioletto piagnucolò:
«Va bene: sono stato al cinema con Gombei, il mio compagno di classe con cui devo fare la ricerca».
«A vedere cosa?», insistette il padre.
«Un cartone animato».

Il robottino, che non si era più accoccolato sotto il tavolo, ma era rimasto ritto in piedi, non dovette fare neppure un passo. 
E fu il secondo ceffone.

Baiko, piangente, si alzò e fece per andarsene.
Papà Harumi lo tenne fermo alla sedia.
«Te lo ripeto, Baiko: per l'ultima volta, vuoi dirmi che film avete visto?»

Il ragazzo cedette: 
«Notti calde con la regina del sesso».

Il robottino sorrise, emettendo una lucetta verde di approvazione.

Papà Harumi non si trattenne.
«Mi vergogno per te, Baiko. Io alla tua età non ho mai mentito ai miei genitori».

Il robottino fece un balzo. 
Mirò sicuro  alla faccia del padre: una sberla secca che lo fece quasi ruzzolare al suolo.

Mamma Akemi non trattenne le risate. 
Poi si ricompose e commentò:
«Mi spiace per quello che ti è accaduto, caro Harumi, ma sono proprio contenta del mio acquisto. Con il robottino, ora saremo tutti più sinceri.» 

Quindi si avvicinò al marito per dargli una carezza.
Harumi, ancora dolorante e arrabbiato, rifiutò.
Mamma Akemi insistette, tentando l'abbraccio.
«Però, fammi dire che anche tu, Harumi, te la sei proprio andata a cercare. Dire che non hai mai mentito ai genitori mi sembra troppo...». 

Il robottino annuì, accompagnando il gesto del capo con luci verdi e gialle che esprimevano un consenso soddisfatto.

Mamma Akemi, sempre rivolta al marito, continuò.
«Sarebbe bastato tu riflettessi un momento: non avresti detto quello che hai detto e ti saresti risparmiato la sberla del robottino. Dopo tutto, se Baiko dice qualche bugia, è tuo figlio.»

Il robottino partì in quarta e nessuno avrebbe potuto fermarlo. 
Fece il giro del tavolo e raggiunse mamma Akemi. 
Fu l'ultima sberla: e mamma Akemi si trovò impastata al muro.

*** Massimo Ferrario, Il robottino della mamma giapponese, per Mixtura. Rielaborazione di una storiella diffusa in internet.


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