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domenica 28 gennaio 2018

#SENZA_TAGLI / Imparare a conversare (Bruno Mastroianni)

Diciamocelo, rintuzzare l’altro in quello che riteniamo un suo errore fa piacere; sferzarlo proprio laddove pensiamo di vedere una lacuna dà soddisfazione. Ma davvero fa riflettere o chiarisce qualcosa? Davvero aiuta qualcuno a cambiare la sua posizione (che è l’esito migliore della comunicazione)?

In realtà “blastare” è solo la versione contemporanea (e tecnologicamente avanzata) di un atto tribale. Il campione di una certa visione del mondo colpisce l’altro (che ha un’altra visione) proprio perché si sente forte del consenso di coloro che sono d’accordo con lui. Il risultato è che il blastato (e con lui i suoi “compagni di visione”) se ne vanno dallo scontro continuando a rimanere sulle loro pozioni, anzi spesso ne sono ancora più convinti proprio perché contrastati con scherno o veemenza.

Questa dinamica, ormai tipica sui social, ha come effetto quello di mettere in secondo piano la presenza (o meno) di buone ragioni mentre sbilancia molto sull’appartenenza e sull’adesione a certe convinzioni condivise con altri. Persino gli uomini di scienza o i cosiddetti intellettuali ci cascano: convinti di essere i titolari della razionalità e forti di un consenso sulla scientificità che sentono di meritare, spesso rintuzzano gli interlocutori senza lo sforzo di capire le loro domande (soprattutto quando implicite e mal poste) prima di farsi capire. In questo modo si comportano esattamente come ogni gruppo di opinioni omogenee che non cerca alcun confronto ed è dedito solo a confermare le proprie certezze.

Il risultato finale è che lo scambio di idee è quasi assente, il progresso culturale praticamente nullo, la divulgazione di conoscenze attendibili vicina allo zero.

Un effetto invece c’è: l’aumento della sfiducia nei rapporti umani e sociali. Quest’ultima è la malattia più grave che sta affliggendo l’Occidente. Non a caso ne vediamo chiaramente i sintomi: sensazione di fragilità, gruppi omogenei sempre più chiusi, mancato riconoscimento delle competenze, istinto di difesa di ciò che è proprio, ricorso a posizioni estreme per difendere e difendersi.

La cosa interessante è che mentre si “blastano” inutilmente, i presunti “ignoranti” prendono decisioni che hanno effetti politici e sociali su tutti gli altri, anche sui “detentori della ragione”. Il problema infatti non è di ignoranza. L’ignoranza c’è sempre stata ed è stata molto più grave in epoche precedenti. La differenza è che prima non aveva diritto di parola: a possedere e popolare i mezzi di comunicazione era un’élite che poteva selezionare temi, modi, tempi ecc.

Ora che tutti hanno possibilità di intervenire su tutto e di condividere il loro pensiero senza filtri, rende quella della conoscenza sostanzialmente una sfida di comunicazione. Non si può più pensare di conoscere e far conoscere (dentro c’è l’informazione come la divulgazione scientifica) se non in modalità adatte alla conversazione attuale: se tutti vi possono accedere, allora bisogna accettare che il modo di discutere si adegui a quell’accesso universale.

In sostanza: abbiamo fatto la conversazione globale libera, dobbiamo ancora “fare” i liberi conversatori (semicit.).

*** Bruno MASTROIANNI, filosofo, esperto di comunicazione, 'facebook', 4 gennaio 2018, qui


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