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martedì 19 dicembre 2017

#SENZA_TAGLI / Elezioni e scenari, FAQ (Alessandro Gilioli)

Brevi domande e risposte sul casino politico e sugli scenari futuri. Soggettive, come sempre. Ma forse utili a fare un po' di chiarezza almeno su alcuni punti. Le mie scuse in anticipo a chi conosceva già tutte le cose qui di seguito.

Oggi, per la prima volta, Renzi ha ammesso che i consensi per lui sono in calo, anche se si dice sicuro che dopo la campagna elettorale il Pd arriverà primo partito. Ha ragione?
«Al momento quello di Renzi sembra più che altro un auspicio: il sondaggio che lo dà al 23,4 può essere impreciso, certo, ma non ci sono allo stato elementi che facciano pensare a un'inversione della tendenza del Pd verso il basso, costante ormai da parecchi mesi. Anzi, è probabile che il caso banche-Boschi nei prossimi giorni gli procuri ulteriori problemi».

In compenso sta prendendo piede la coalizione attorno al Pd, con gli "ulivisti", i centristi, i Radicali. Ai primi viene già assegnato un 2 per cento, che - da solo - quasi dimezzerebbe il distacco dal M5S...
«Vero: è probabile che ci sia una fetta di elettori storici Pd che non riesce a digerire Renzi ma comunque voterebbe una lista limitrofa. Il che ha un vantaggio e uno svantaggio, per il Pd».

Cioè? 
«Il vantaggio è che nel suo complesso la coalizione attorno al Pd ha più possibilità, tutta insieme, di avvicinarsi al M5S; lo svantaggio è che queste liste limitrofe tolgano voti allo stesso Pd, frenandolo nella corsa per arrivare primo partito. E, in ogni caso, anche se tutta insieme superasse il M5S, la coalizione attorno al Pd difficilmente arriverebbe prima».

Perché?
«Perché se parliamo di coalizioni e non di singoli partiti, è abbastanza probabile che ad arrivare prima sia quella di centrodestra, con Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia, gli animalisti della Brambilla e altre frattaglie che si aggiungeranno in corsa. Già oggi quella coalizione viaggia attorno al 36 per cento: quindi molto sopra qualsiasi coalizione che possa mettere in piedi Renzi. Di più: il centrodestra è dato a soli 4-5 punti dalla soglia che potrebbe permettergli di governare, sempre che vinca anche in almeno il 60-70 per cento collegi uninominali».

Non è chiaro: c'è o no la possibilità che il centrodestra torni al governo, come nel 2001 e nel 2008?
«Mettiamola così: dei tre grossi blocchi (centrodestra, Pd e alleati, M5S), quello di Berlusconi-Salvini è l'unico che abbia una chance di avere una maggioranza in Parlamento; né la coalizione attorno al Pd né il M5S ci possono arrivare. Ma anche per il centrodestra sarà difficile, perché il meccanismo del Rosatellum prevede che, oltre a superare il 40 per cento, una coalizione abbia anche bisogno di vincere in almeno il 60 dei collegi maggioritari (secondo altri calcoli addirittura il 70)».

Quindi lo scenario più probabile è che dalle urne non esca alcuna maggioranza. A quel punto?
«A quel punto, teoricamente, una maggioranza si può fare solo scomponendo le coalizioni così come si sono presentate alle elezioni e facendo nuove alleanze tra partiti che si sono presentati in coalizioni diverse. Ma attenzione, perché numeri alla mano questa volta è molto improbabile che i parlamentari di Pd e Forza Italia insieme riescano ad avere la maggioranza. Le vecchie "larghe intese", insomma, sono diventate strette e non fanno il 51 per cento dei seggi».

E quindi?
«Quindi la palla sarà al Quirinale. Che avrà una bella gatta da pelare: dare l'incarico di formare il governo al leader del primo partito (probabilmente il M5S) oppure a un esponente indicato dalla coalizione arrivata prima (probabilmente il centrodestra)? Oppure non darlo proprio, l'incarico, se nessuno dei due (né centrodestra né M5S) avrà la maggioranza in Parlamento?».

Come sarebbe a dire "non darlo proprio"? A qualcuno deve pur darlo.
«Può dare - e probabilmente darà - un preincarico "esplorativo", come quello che diede Napolitano a Bersani nel 2013, e che come noto non portò ad alcun governo. Il preincarico esplorativo è informale, non previsto dalla Costituzione, è solo un mandato a qualcuno di verificare se riesce a mettere insieme una maggioranza. Poi il Quirinale decide se passare a un incarico vero, formale, che invece ha conseguenze importanti».

Perché?
«Perché il presidente del Consiglio incaricato può formare il governo, giurare al Quirinale e andare a presentarsi al Parlamento. E anche in caso di immediata bocciatura alle Camere, il nuovo esecutivo prenderebbe il posto di quello precedente e resterebbe in carica fino al nuovo scioglimento delle Camere. Detta secca: se Mattarella non dà l'incarico a nessuno, resta in carica Gentiloni fino a nuove elezioni; mentre se lo dà a Di Maio o un esponente del centrodestra, a governare il Paese fino al nuovo scioglimento sarebbe questo esecutivo di minoranza. È probabile che Mattarella voglia evitare uno scenario simile e allora non incarichi nessuno, con una prorogatio per Gentiloni che si trascinerebbe per mesi, fino a un nuovo voto, magari mentre il Parlamento fa un'ennesima nuova legge elettorale».

Di Maio però dice che se il M5S arriva primo partito, lui farebbe il governo "con chi ci sta". Cosa vuol dire?
«La dichiarazione di Di Maio serve a mettere le mani avanti, è una cosa tipo "se arriviamo primi come partito, abbiamo il diritto di provarci". Per prassi, tuttavia, il Presidente della Repubblica dà un incarico pieno solo a chi ritiene abbia una reale possibilità di mettere in piedi una maggioranza. Non è mai accaduto che abbia dato l'incarico pieno a uno dicendogli: vai avanti e vedi se riesci a trovare i voti. E Mattarella non sembra il tipo di politico che rovescia il tavolo di una prassi consolidata».

*** Alessandro GILIOLI, giornalista e saggista, Elezioni e scenari, FAQ, 'piovono rane', 18 dicembre 2017, qui


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