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venerdì 1 dicembre 2017

#EX LIBRIS / La tragedia di Antigone: Creonte-Emone e lo scontro padre-figlio (Sofocle)

CREONTE:
   (...)  (Ad Emone)
   Udisti la condanna
   della fanciulla a te promessa, o figlio,
   e giungi in furia contro il padre; o sempre,
   checché mi faccia, caro a te sarò?
EMONE:
   Padre, tuo sono. A me coi tuoi consigli
   segni la via diritta, ed io la seguo:
   nozze mai non saranno, ch'io pregevoli
   piú della tua sicura guida reputi.
CREONTE:
   Ecco! Cosí bisogna aver disposto
   l'animo, o figlio: ai mòniti paterni
   ogni cosa posporre; e perciò gli uomini,
   quando figliuoli han generati, s'augurano
   obbedïenti nella casa averli,
   sí, che nei guai rintuzzino il nemico,
   e al par del padre onorino l'amico.
   Ma chi genera invece figli inutili,
   dirai che procacciò travagli a se
   stesso, di scherno appiglio ai suoi nemici.
   Mai la lusinga del piacer di femmina
   di senno uscire non ti faccia, o figlio.
   Freddo, sappi, è di femmina l'amplesso
   che sia trista compagna del tuo talamo:
   piaga peggior non c'è d'un tristo amore.
   Sputa su lei come nemica, lascia
   questa fanciulla che qualcuno sposa
   l'abbia in Averno: ch'io palesemente
   l'ho còlta, mentre, sola ella fra tutti,
   tradiva la città: né innanzi a Tebe
   sarà ch'io manchi alla parola mia;
   bensí l'ucciderò: canti di doglia
   levi ella pure a Giove consanguineo.
   Ché se i parenti miei vivere io lascio
   senza piú freno, che faran gli estranei?
   Se giusto è un uom nella sua casa, giusto
   se governa lo stato anche sarà;
   ma chi le leggi tracotante víola,
   e vuole ordini imporre a chi governa,
   mai non sarà che lode abbia da me.
   Ma chi dai cittadini eletto fu,
   nelle minime cose e nelle giuste
   obbedito esser deve ed in ogni altra.
   Un uomo tale io fede avrò che sia
   a comandare e ad ubbidir disposto,
   a rimaner, nel turbine di guerra,
   saldo compagno nelle file, e giusto.
   Male maggiore invece non esiste
   della mancanza d'ordine: per questa
   vanno in rovina le città, disperse
   vanno le case, le schiere alleate
   fuggono infrante dalla pugna. Invece,
   la disciplina dà vittoria, e salva
   ai piú la vita. È necessario dunque
   difendere le leggi, e a nessun patto
   consentir che una femmina ci vinca.
   Se cadere si dee, meglio cadere
   per man d'un uomo: dir non si potrà
   che noi fummo piú fiacchi d'una femmina.
CORO:
   Giusti, se pur non ci privò del senno
   la grave età, ci sembrano i tuoi detti.
EMONE:
   Padre, fra quanti beni i Numi agli uomini
   concedono, supremo è l'intelletto.
   Io, che non giusto sia ciò che tu affermi,
   dir non potrei, non lo saprei. Ma pure,
   anche un altro parlar bene potrebbe.
   Per tuo vantaggio investigo io ciò ch'altri
   opera o parla, o a biasimo t'appone.
   La tua presenza, sbigottiti rende
   i cittadini, sí che non ti dicono
   mai ciò che udire non ti piace: invece
   io tutto posso udir, quanto nell'ombra
   dicendo van: che la città commisera
   questa fanciulla, immacolata piú
   d'ogni altra donna, e che compiuta ha l'opera
   la piú nobile, e in cambio ne riceve
   la piú misera morte. Essa il fratello
   che nel suo sangue cadde, non lasciò
   che dai cani voraci e dagli uccelli
   fosse distrutto: non è dunque degna
   d'esser coperta d'oro? - Ecco le voci
   che, basse, oscure, vanno attorno. Ora, io,
   bene non c'è che reputi maggiore,
   o padre, della tua prosperità:
   pei figli, infatti, c'è pregio piú nobile
   che la fama e il fiorir del padre loro,
   e pel padre dei figli? Or tu, nell'animo
   non accoglier quest'unico pensiero,
   che ciò che dici tu, quello sia giusto,
   e poi null'altro. Chi d'avere crede
   senno egli solo, ed anima e parola
   come niun altri, se lo cerchi dentro,
   vuoto lo trovi. A un uomo, e sia pur saggio,
   non è disdoro molte cose apprendere,
   e non esser cosí rigido. Vedi
   presso i torrenti impetuosi, gli alberi
   che si flettono, intatti i rami serbano:
   quelli che invece fan contrasto, svelti
   dalle radici piombano. E cosí,
   chi su la nave troppo tese tiene
   sempre le scotte, e mai non le rallenta,
   naufraga infine, e naviga sui banchi
   capovolti. Su via, l'ira tua frena,
   e muta il tuo parer. Ché, se a me giovane
   dare un consiglio è lecito, io ti dico
   che per un uomo, il meglio è certo nascere
   pien di saggezza; ma tal sorte è rara;
   e bello è pur da chi ben dice apprendere.
CORIFEO:
   Se a proposito parla, udirlo, o re,
   devi; e tu lui: bene diceste entrambi.
CREONTE:
   All'età mia, da un giovine cosí,
   apprendere dovrò dunque a far senno?
EMONE:
   A fuggire ingiustizia. Io sono giovine;
   ma non badare agli anni: al senno bada.
CREONTE:
   Fare onore ai ribelli, è una bella opera?
EMONE:
   Non ti vo', no, misericorde ai tristi.
CREONTE:
   Di tristizia non è costei macchiata?
EMONE:
   No, dice tutto il popolo di Tebe.
CREONTE:
   A me dirà ciò ch'io far debbo, il popolo?
EMONE:
   Vedi come or tu da fanciullo parli?
CREONTE:
   Io regnar devo, o deve altri per me?
EMONE:
   Città non è quella ove uno solo può.
CREONTE:
   Ché! Non è del sovrano la città?
EMONE:
   Bel sovrano saresti, in un deserto!
CREONTE:
   Costui, sembra, alleato è della femmina!
EMONE:
   Se femmina sei tu: ché a te provvedo.
CREONTE:
   Movendo lite al padre tuo, ribaldo?
EMONE:
   Perché vedo che sbagli, e non sei giusto.
CREONTE:
   Perché rispetto i miei diritti, sbaglio?
EMONE:
   No, se gli onor sacri agl'Iddii calpesti.
CREONTE:
   O trista indole! O servo d'una femmina!
EMONE:
   Ma non servo d'alcuna turpitudine.
CREONTE:
   Tutto ciò che tu dici è per difenderla.
EMONE:
   E per difender te, me stesso, e gl'Inferi.
CREONTE:
   Tua sposa, in questa vita, oh!, non sarà.
EMONE:
   E sia, morrà; ma non morrà già sola.
CREONTE:
   A tanto arriva l'ardir tuo? Minacci?
EMONE:
   Minaccia è forse opporsi alla stoltezza?
CREONTE:
   Non cianciar piú: sei schiavo d'una femmina!
EMONE:
   Vuoi parlar solo, e che niun ti risponda?
CREONTE:
   Tu, pazzo, vuoi curarmi? Ah, dovrai piangere!
EMONE:
   Te direi pazzo, non mi fossi padre!
CREONTE:
   Davvero? Ah! per l'Olimpo, a te l'ingiurie
   pro' non faranno, sappilo. - Recate
   qui l'odïosa femmina: morire
   deve innanzi al suo sposo, al fianco suo.
EMONE:
   Innanzi a me? Non lo sperare, no!
   Ella a me presso non morrà, né tu
   il viso mio vedrai piú: con gli amici
   che a te son ligi, resta al tuo delirio.
(Esce furibondo)

*** SOFOCLE, 496-406 a.C, drammaturgo greco antico, Antigone, traduzione di Ettore Romagnoli, Zanichelli, 1924
https://it.wikipedia.org/wiki/Sofocle
https://it.wikipedia.org/wiki/Antigone_(Sofocle)


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