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sabato 7 ottobre 2017

#RITAGLI / Incantamento, grazia di Dio, inconscio collettivo: un caso empirico (Carl Gustav Jung)

Mi consenta di raccontarle un episodio accaduto molto tempo fa, per dimostrarle come l'atteggiamento empirico conduca a certe scoperte. Un collega una cittadina del Cantone di Soletta mi inviò una giovane paziente che soffriva di un'insonnia incurabile. Si stava distruggendo per la mancanza di sonno e per i sonniferi, e il suo medico, non sapendo più cosa fare, aveva pensato all'ipnosi o a questo metodo della psicoanalisi, di cui si cominciava a parlare.

Dunque la donna venne da me. Era una maestra, sui venticinque anni, di famiglia umile, e benché avesse completato onorevolmente gli studi, viveva nel costante timore di sbagliare, di non essere all'altezza della sua professione. Era entrata così in un intollerabile stato di tensione spasmodica. Chiaramente aveva bisogno di rilassamento psichico, ma a quei tempi si sapeva troppo poco di queste cose. Nella località in cui abitava non c'era nessuno che potesse trattare il suo caso, né lei poteva venire a Zurigo per il trattamento; dovevo perciò fare del mio meglio, tutto in quell'unica ora. Cercai di spiegarle la necessità del rilassamento, le dissi che io, per esempio, trovavo il modo di rilassarmi andando in barca a vela sul lago, abbandonandomi al vento; che era una cosa utile, anzi necessaria per tutti. Ma vedevo dal suo sguardo che non capiva. Cioè, lo capiva intellettualmente, ma arrivava solo fin lì. E la ragione non faceva alcun effetto.
Poi, mentre parlavo della barca e del vento, udii la voce di mia madre cantare alla mia sorellina, come quando io avevo otto o nove anni, una ninnananna che parlava di una bambina in una barchetta sul Reno, con i pesciolini intorno. E, quasi senza volere, presi a canticchiare le cose che le dicevo a proposito del vento e le onde e le vele e il rilassamento, sulla melodia di quella ninnananna. Le parlavo ritmicamente di quelle sensazioni e la ragazza, si vedeva bene, era «incantata».
La seduta finì e dovetti mandarla via bruscamente. Non seppi più nulla di lei: avevo dimenticato il suo nome e quello del collega, ma continuavo a pensarci.

Anni dopo, a un convegno, uno sconosciuto mi si presentò come quel medico di Soletta, citandomi la storia della giovane paziente. «Certo che ricordo il suo caso» dissi. «Mi sarebbe tanto piaciuto sapere che ne era stato di lei ».
«Ma come,» disse l'altro sorpreso «è tornata guarita, naturalmente, e sono io che avrei voluto chiederle che cosa le avesse fatto. La ragazza non mi ha saputo dire altro che una storia a proposito di barche a vela nel vento; non sono mai riuscito a farmi raccontare che cosa lei avesse fatto in realtà. Probabilmente non se lo ricorda. Naturalmente so bene che non è possibile che lei si sia limitato a canticchiarle la favola di una barca».

Come potevo spiegargli che non avevo fatto altro che dare ascolto a qualcosa dentro di me? Anch'io ero in alto mare con quella paziente. Ma come potevo dirgli che le avevo cantato una ninnananna con la voce di mia madre? L'incantamento è la più antica forma di medicina, sì, ma tutto era avvenuto al di fuori della mia ragione: solo successivamente ci avevo riflettuto razionalmente e avevo cercato di arrivare alle leggi che stavano dietro. Quella ragazza era guarita per grazia di Dio.

[Come può parlare di grazia di Dio?]
Perché no? Un bel sogno, per esempio, è una grazia. I sogni, al fondo, sono un dono. L'inconscio collettivo non è né mio né suo, è il mondo invisibile e il grande spirito. Non ha importanza come lo chiamo: Dio, il Tao, la Grande Voce, il Grande Spirito». Ma per gli uomini della nostra epoca, Dio è il più comprensibile con cui designare la Potenza al di là.
Le immagini di Dio: è una storia infinita. Ricordo una tribù africana che salutava i primi raggi del sole sputandosi sulle mani e volgendole verso est. E' un classico: poiché il respiro è l'anima, la saliva che accompagna il respiro è la sostanza dell'anima. L'esatto significato di quel gesto è: «Mio Dio, ti offro la mia anima». Cercai di scoprire se gli indigeni conoscessero il significato del loro gesto. No, i giovani non lo sapevano, e neppure i loro padri. Ma i nonni sì, loro sono i custodi dei misteri. Lo stesso gesto si può vedere altrove, per esempio nei babbuini dalla testa di cane scolpiti nella roccia ad Abu Simbel.
Osservai quegli indigeni e, quando mi parve di avere capito, chiesi: «Il vostro dio, Mungu, è il sole?». Uno scoppio di risate omeriche da tutta la tribù. Povero imbecille di un uomo bianco, credere che noi adoriamo una palla di luce e di calore! Osservai meglio. Con la stessa cerimonia salutavano anche la prima falce di luna. Così, alla fine, compresi il loro dio: era l'attimo in cui la tenebra trapassa nella luce, non il sole in quanto tale, ma il suo apparire. Come Horus presso gli egizi. Sono tanti tasselli e si incastrano tutti.

*** Carl Gustav JUNG, 1875-1961, medico e psicoanalista svizzero, fondatore della psicologia analitica, intervistato da Georges Duplain, 'Gazette de Lausanne', 4-8 settembre 1959, poi anche in 'Spring', 1960, e infine in Jung parla, a cura di William McGuire e R.E.C. Hull, capitolo Alle frontiere della conoscenza, 1977, Adelphi, 1995


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