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giovedì 26 ottobre 2017

#MOSQUITO / Lavoro, liberismo come passaggio obbligato per la modernità (Marta Fana)

Verrebbe da chiedersi quanti, svegliandosi al mattino, si ritrovano tormentati da una domanda, piuttosto semplice: ma perché un’azienda che fattura centinaia di milioni di euro l’anno deve pagare i lavoratori una miseria e a cottimo, senza riconoscergli alcun diritto, né ferie, né malattia, né gli occhi per piangere? 
E verrebbe da chiedersi quante volte tutti coloro che ordinano una zuppa a domicilio comodamente seduti su quel divano Ikea, comprato a rate, siano coscienti dell’umiliazione che ad ogni consegna subisce quel fattorino che, sforzandosi di sorridere, porge il sacchetto che sprigiona vapore acqueo. Ha fatto in fretta, la zuppa è ancora calda. Quel fattorino pagato tre euro a consegna, che indossa una pettorina rigorosamente color rosa shocking o verdino pastello. Lui, che ormai si sveglia la notte pensando che il telefono stia vibrando e ci sia un’altra consegna da fare, e non può perderla perché è in debito con chi gli ha riparato la bici l’ultima volta. Sì, perché per lavorare usa la sua bici che, come ogni cosa, ha bisogno di manutenzione che però non viene pagata dall’azienda (o quantomeno non sempre). Tutto è a carico del lavoratore. Lui, che si è laureato al Politecnico di Torino in ingegneria e ha accettato di fare il fattorino la sera, mentre di giorno lavora in un centro commerciale a voucher. Lui che, dopo la laurea, ha accettato qualunque impiego pur di non dover tornare al Sud perché lì è sicuro che non troverà lavoro. E non può più chiedere i soldi a casa perché a casa il lavoro è finito e pure l’assegno di disoccupazione. E, si sa, l’Italia spende lo 0% del Pil in diritto alla casa, mentre i prezzi degli affitti salgono, perché è facile speculare e arricchirsi sui bisogni degli altri, bisogni non al lusso ma alla sopravvivenza. E chi l’avrebbe mai detto che dopo una laurea in ingegneria al Politecnico ci si sarebbe trovati in quel 15% di lavoratori in stato di deprivazione materiale, quelli cioè che non possono permettersi un pasto completo più di due volte a settimana? 
Ma tutto questo Briatore non lo sa e si permette di accusare quei giovani che non vogliono emigrare di essere non solo fannulloni ma anche troppo nostalgici dei pranzi della domenica. Come potrebbe capire la fame di chi ha voglia di casa, di pranzi con gli spaghetti dalla nonna che magari ha fatto pure le polpette? Un pasto completo servito da chi dalla miseria è uscito, combattendo prima i fascisti e poi il capitale. Ma, lo abbiamo già visto, né i fascisti né il capitale si sono mai arresi, anzi. Qualcuno si è confuso, avallando il liberismo come passaggio obbligato per la modernità. E quasi quasi ci abbiamo creduto, perché siamo nati e cresciuti negli anni Novanta e ci siamo abituati in fretta a sentir chiamare le cose col prefisso post: post-ideologico, post-fordista, post-operaista, post-capitalista, post-rock... Del cottimo non parlava più nessuno. Figuriamoci se qualcuno parla di conflitto, nell’era che vogliono spacciarci per modernità. 

*** Marta FANA, ricercatrice in economia presso l'istituto di studi politici di Sciences Po di Parigi, esperta di economia del lavoro e diseguaglianze, saggista, Non è lavoro, è sfruttamento, Laterza, 2017


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