Quante volte capita nelle aziende di offrire denaro o, fatto in modo apparentemente più politically and technically correct, incentivi all’esodo ad alcune persone considerate non desiderabili, a torto o a ragione, pur di levarcele dai piedi, con tanti saluti alla nobile arte della perifrasi?
Magari nella stessa giornata ci si trova a salutare con una pacca sulla spalla lavoratori e dipendenti storici, legatissimi all’azienda, che nel corso della trentennale vita lavorativa si erano sempre dimostrati disponibili, accettando spesso situazioni di crisi o di picchi produttivi senza mai un lamento e sempre dando il massimo, giorno dopo giorno.
Insomma, il classico dipendente poco sindacalizzato, disponibile allo straordinario, ai turni, o alla mobilità tra reparti o uffici se necessario, sempre in nome del supremo “bene dell’azienda”.
Ne ricordo alcuni che entravano nel mio ufficio l’ultimo giorno di lavoro dopo una vita passata in azienda, pronti a raggiungere l’agognata pensione. Molti mi dicevano con orgoglio che in quell’ufficio (del personale ndr) era la prima volta che ci entravano, sintomo di una percezione della funzione non proprio positiva. Poi due chiacchiere, qualche ricordo, ringraziamenti reciproci, una solenne stretta di mano e tanti saluti.
Pagare piuttosto che gestire - E' un vero paradosso della gestione e non solo un luogo comune. (...)
*** Federico OTT, 1968, consulente, managing partner di Risorsa Uomo, Pagare per non gestire, 'SenzaFiltro', 15 settembre 2017
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