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giovedì 24 agosto 2017

#SENZA_TAGLI / In troppi per lasciarci odiare (Alessandro Gilioli)

«Sono contento che ti sia capitata questa disgrazia» è la frase con cui un signore di Carugate - l'avrete letto - ha chiuso il suo messaggio di odio verso un disabile che gli aveva procurato una multa.

Ora dice che c'è un'inchiesta, forse è stato identificato, e così via. Ma il caso singolo ha poca importanza, in fondo. O meglio, avrebbe poca importanza se non interpretasse lo spirito del tempo presente, che è intriso non solo di odio, ma soprattutto di contentezza per le disgrazie altrui. e per converso, di rabbia per se altri invece sono felici.

Pensate al post di Salvini sui migranti che un prete ha portato a rinfrescarsi in piscina. È la (breve) felicità di quattro ragazzi neri che ha fatto saltare i nervi a Salvini. È la loro gioia che lo ha reso furioso.

Ma, di nuovo, anche Salvini interpreta i tempi - oltre a peggiorarli, mettendo ogni giorno nel mondo cattive cause. E il tempo è quello in cui la disperazione di individui soli e atomizzati trova morboso conforto solo se anche un altro sta male; e trova invece ulteriore motivo di rabbia se un altro è sereno.

La lingua tedesca, si sa, ha una parola che gira attorno a questo sentimento, Schadenfreude, che forse però indica un'emozione più sottile, quasi vergognosa. Mentre il tratto caratterizzante dei nostri giorni è la rivendicazione di questa malata gioia per l'altrui disgrazia: il "ti sta bene" urlato al disgraziato, l'augurio esplicito di morte, malattia e dolore all'avversario politico, al vicino di casa, all'automobilista accanto. Non ci si vergogna più di odiare, anzi lo troviamo liberatorio. Vergognarsi di odiare viene considerata cosa da "buonisti", termine il cui conio ha segnato l'inizio di questo approccio alla vita.

Del resto leggeteli, i giornali che si fanno vessilliferi di questa bile sdoganata: leggeteli, guardateli in trasparenza, auscultatene il cuore avvelenato, annusatene il fetido livore: e sono i veri vincitori dell'oggi, sono i veri demiurghi di un'egemonia culturale che poi emerge per strada come sui social network - è lo stesso, perché ovunque può farlo viene a galla.

Ma andate anche oltre, guardate alla paradossale inversione della contrapposizione di classe, che non è più solo quella "dall'alto verso il basso" di cui qui e altrove tanto spesso si è purtroppo parlato, ma è anche la sua più triste conseguenza cioè la convinzione più o meno conscia che la riduzione della condizione altrui - del vecchio, del giovane, del precario, del pensionato, dell'immigrato, ma anche dell'impiegato o del tranviere - sia una compensazione e un risarcimento per la riduzione della condizione nostra: quando invece ne è un risvolto, uno specchio, una causa e una conseguenza.

Non usciremo - no, non usciremo - dalla crisi esistenziale e pratica in cui stiamo affogando finché non rovesceremo questo approccio al nostro esistere e a quello altrui.

Siamo ormai in troppi, sul pianeta e nelle nostre città, per non permetterci l'empatia reciproca.

Siamo in troppi, e con troppi problemi, per permetterci di ridere ciascuno dell'infelicità e delle disgrazie altrui.

Siamo in troppi, e troppo vicini ciascuno all'altro, per non passare rapidamente dalla Schadenfreude alla Mudita, per non capire con Georges Bernanos che Il segreto della felicità è trovare la propria gioia nella gioia dell'altro.

*** Alessandro GILIOLI, giornalista e saggista, Siamo in troppi per lasciarci odiare, blog 'piovono rane', 22 agosto 2017, qui


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