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lunedì 14 agosto 2017

#LIBRI PREZIOSI / "Venti lezioni," di Timothy Snyder (recensione di M. Ferrario)

Timothy SNYDER, "Venti lezioni.
Per salvare la democrazia dalle malattie della politica"
traduzione di Chicca Galli
Rizzoli, 2017
pagine 87, 17.00 euro, ebook 8,99 euro

Una lettura da rendere obbligatoria nelle scuole
«La storia non si ripete, ma insegna»: lo scrive, in apertura del suo breve, e splendido, saggio (On Tyranny, tradotto in Venti lezioni: per salvare la democrazia dalle malattie della politica), lo storico statunitense Timothy Snyder.

Vero: la storia insegna. Ovviamente, se sappiamo e vogliamo farcene allievi. 
E non si ripete. Tuttavia, se proviamo a conoscerla e tentiamo di non perdere il filo del suo dipanarsi anche travagliato attraverso le epoche, vediamo che può riproporsi, mutando forme e personaggi, ma conservando alcuni tratti essenziali: talvolta positivi, spesso tragicamente negativi. E per questo il voler e saper apprendere dal passato dovrebbe essere preoccupazione cruciale di ogni generazione.

L'autore si rifà alla esperienza politica americana, tuttora in corso: con la 'incredibile' presidenza di Donald Trump, 'incubata' da una campagna elettorale forse anomala per la storia statunitense, ma in fondo non così originale, se si pensa alle esperienze del Novecento europeo e su queste, come fa l'autore, si vuole dedicare qualche momento di meditazione valido per ogni epoca e latitudine. Una campagna elettorale, quella recente Usa, unica per violenza verbale, falsità, retorica rozza e semplicistica, contenuti xenofobi e nazionalistici profusi a getto continuo e in quantità industriale (per non dire dell'egocentrismo patologico del protagonista); ma con un esito imprevedibile solo appunto per chi non conosce la storia e si affida ai sondaggi, dimostratisi sempre più inattendibili nel rilevare ciò che la gente pensa ma nasconde prima del voto.

Il libro si legge in un fiato: semplice, per nulla erudito, chiaro, documentato. Una cavalcata coinvolgente tra pensieri schematici, ma non banali, convincenti e ben sintetizzati; uno stile agile e snello, capace di lanciare stimoli che dovrebbero costringere a riflettere chi abbia un minino di voglia di farlo, magari per aggiustare il tiro su talune opinioni o dare più forza a convinzioni rese vacillanti dai tempi.
Una lettura - e penso all'Italia - che potrebbe essere introdotta almeno nelle scuole superiori, accompagnando il testo con nozioni minime di educazione civica e costituzionale e sostenendo il tutto con discussioni approfondite e a ruota libera con gli studenti.
Sarebbe un'iniezione fondamentale, fatta alla società e soprattutto alle nuove generazioni, di genuina e robusta 'cultura democratica': un'espressione di cui continuiamo a riempirci la bocca, ma che fatica ad abbandonare la retorica e tramutarsi, in noi e attorno a noi, in valori e comportamenti concreti conseguenti. Del resto non sembrano esistere altre armi (pacifiche) per difendere e rinvigorire una forma di convivenza e di governo, non solo in Italia, sempre più svuotata di sostanza: al punto che qualcuno da anni, proprio dall'altra parte dell'Oceano, l'ha chiamata 'post-democrazia' e qualcun altro, da noi, l'ha recentemente battezzata, con un ossimoro efficace ma preoccupante, 'democrazia senza popolo'.

*** Massimo Ferrrio, per Mixtura

«
Probabilmente Thomas Jefferson non disse mai «Un’eterna vigilanza è il prezzo della libertà», ma di certo lo fecero altri americani della sua epoca. Oggi, se pensiamo a questa massima, immaginiamo che la nostra giustificata vigilanza sia rivolta verso l’esterno, contro coloro che riteniamo fuorviati e ostili. Ci vediamo come una città sulla collina, una roccaforte della democrazia, sempre attenta a cogliere le minacce provenienti da fuori. Ma il senso della frase era completamente diverso: la natura umana è tale che la democrazia americana doveva essere difesa dagli americani che ne sfruttavano le libertà per provocarne la fine. In realtà, fu l’abolizionista americano Wendell Phillips ad affermare «Un’eterna vigilanza è il prezzo della libertà». E aggiunse: «La manna della democrazia popolare va raccolta ogni giorno, altrimenti marcisce». 
La storia della democrazia europea moderna ha confermato la saggezza di quelle parole. (Timothy SNYDER, "Venti lezioni. Per salvare la democrazia dalle malattie della politica", Rizzoli, 2017)

Prendetevi la responsabilità dell’aspetto del mondo I simboli di oggi autorizzano la realtà di domani. Fate caso alle svastiche e agli altri segni di odio. Non distogliete lo sguardo, non abituatevi a essi. Cancellateli, date l’esempio affinché altri facciano lo stesso.
... i tedeschi che contrassegnarono le botteghe come «ebraiche» parteciparono al processo che portò all’effettiva scomparsa degli ebrei tanto quanto le persone che rimasero semplicemente a guardare. Considerare quei marchi come parte di un paesaggio urbano accettabile rappresentava già un compromesso con un futuro criminale. 
Può darsi che un giorno vi venga offerta l’opportunità di mostrare dei simboli di fedeltà. Assicuratevi che essi includano i vostri concittadini, anziché escluderli. Anche la storia dei distintivi è lungi dall’essere innocente. (...) Nell’Europa degli anni Trenta e Quaranta, alcuni scelsero di indossare la svastica, e poi altri furono costretti a portare una stella gialla. (Timothy SNYDER, "Venti lezioni. Per salvare la democrazia dalle malattie della politica", Rizzoli, 2017)

Come osserva Klemperer, lo stile fascista si basa su una «ripetizione senza fine», volta a rendere ciò che è fittizio plausibile e ciò che è ingiusto desiderabile. L’utilizzo sistematico di nomignoli come «Ted il bugiardo» e «Hillary la corrotta» ha trasferito su altri dei tratti caratteriali che probabilmente sarebbe più appropriato attribuire al presidente stesso. Eppure, ricorrendo a un’ottusa ripetizione su Twitter, il presidente americano è riuscito a trasformare degli individui in stereotipi, stereotipi che in seguito la gente ha espresso ad alta voce. Durante i suoi comizi, gli slogan ritmati dalla folla come «Alzate il muro» e «Rinchiudetela» non descrivevano nulla che il presidente avesse mai inteso fare, ma il loro carattere fittizio stabiliva un legame tra il presidente e il suo pubblico. 
Il modo successivo è il pensiero magico, ovvero l’aperta accettazione di contraddizioni palesi. Nella campagna elettorale il presidente ha promesso un taglio delle imposte per tutti, la cancellazione del debito pubblico e un aumento delle spese destinate tanto alle politiche sociali quanto alla difesa. Sono promesse che si contraddicono l’una con l’altra. È come se un contadino affermasse di voler prendere un uovo nel pollaio, di volerlo bollire e servire a sua moglie, farlo in camicia e servirlo ai figli per poi riportarlo intatto alla gallina e infine restare a guardare il pulcino uscire dal guscio. 
Accettare falsità di una portata tanto radicale richiede una lampante rinuncia alla ragione. (Timothy SNYDER, "Venti lezioni. Per salvare la democrazia dalle malattie della politica", Rizzoli, 2017)

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