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mercoledì 21 giugno 2017

#SENZA_TAGLI / Vaccini, 12 non sono troppi (Roberto Burioni)

L'Airbus A-380 atterra su 22 ruote. Sono poche? Sono troppe? Per saperlo è necessario il parere di un ingegnere aeronautico e non sono documentati casi di passeggeri che chiedano di smontare una ruota al pilota.

Il ponte che consente all'autostrada A1 di superare il fiume Po all'altezza di Piacenza ha 16 campate. Sono troppe? Sono poche? Ci vuole un esperto di ingegneria civile per dirlo, e infatti nessuno degli automobilisti che ci passa soprasi azzarda a obiettare.

In entrambi i casi ci si fida del fatto che gente estremamente qualificata, che conosce bene l'argomento, abbia fatto i calcoli corretti ed abbia deciso il giusto numero di campate o di ruote.

Al contrario, sentite ogni giorno dire che "dodici vaccinazioni sono troppe". Lo dicono in tanti: parlamentari, mamme informate, padri combattenti, giornalisti d'assalto. Tutte persone che sanno di vaccini quanto di ingegneria civile o aeronautica: zero assoluto. Per motivi sconosciuti sulle ruote dell'Airbus e sulle campate del ponte tacciono, sui vaccini parlano. E dicono sciocchezze. Vediamo perché.

Partiamo da un concetto: chi usa il termine "sovraccarico immunologico" è qualcuno che non sa nulla di immunologia. Il sovraccarico immunologico non esiste, e tanto meno potrebbe conseguire alla somministrazione di dodici vaccini. Un bambino esce dall'utero materno (sostanzialmente sterlile) e al momento della nascita viene invaso da moltissimi miliardi di batteri che stimolano il suo sistema immune senza sovraccaricarlo: cosa volete che facciano dodici vaccini in quindici mesi?

Ma vediamo la questione da un altro punto di vista, e spieghiamo cosa è un antigene. Un antigene è una singola sostanza che stimola il sistema immune, come una proteina purificata. Quando il bambino si provoca un graffietto nella cute o viene punto da una zanzara viene a contatto istantaneamente con migliaia e migliaia di antigeni: nei "dodici vaccini", distribuiti in quindici mesi di vita, ce ne sono meno di centosessanta!

Se pensate che una volta si vaccinasse di meno, vi sbagliate. Chi, come me, è nato negli anni 60, è stato vaccinato con un numero minore di vaccini, ma gli antigeni erano più di tremila. Oggi, grazie al miglioramento della tecnologia, i vaccini sono immensamente più sicuri ed efficaci e con meno di 200 antigeni complessivi proteggono contro dodici malattie.

Dodici vaccini, quindi, non sono troppi. Sono un modo per proteggere in tutta sicurezza un bambino - e tutta la società - da malattie pericolosissime che potrebbero avere conseguenze tragiche. Non ascoltate quindi chi vi racconta bugie sul "sovraccarico immunologico": è un cretino tanto quanto colui che vorrebbe togliere un paio di ruote al carrello dell'aereo con il quale state per partire per le vacanze. Non consentitegli di mettere in pericolo voi, gli altri passeggeri e mandatelo al posto che gli appartiene: un bar di periferia a bersi del brandy di pessima qualità.

*** Roberto BURIONI, medico, 'facebook', 20 giugno 2017, qui


In Mixtura altri contributi di Roberto Burioni qui

3 commenti:

  1. Non ho gli elementi per valutare nel merito ciò che afferma il medico. Mi fido e probabilmente ha ragione, ma mi colpisce il fatto che non veda la differenza tra le 22 ruote, le 16 campate e i 12 vaccini. Nei primi due casi si parla di caratteristiche di oggetti, nel secondo si parla del proprio figlio! Davvero ci si meraviglia se le persone esprimono una loro opinione di fronte ad una scelta che riguarda i loro figli? Ripeto, non è i questione il tema vaccini, ma sono in questione le basi della divulgazione scientifica. Qui si ha a che fare con "l'invisibile", con le emozioni, con le paure ancestrali delle persone che toccano quanto c'è di più "sacro" come il proprio figlio appena nato. Sono temi delicati, forse una qualche competenza "relazionale" servirebbe. Paragonarlo ad un ponte o ad un aereo mi fa rabbrividire. Che ne pensi Massimo?

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  2. Sostanzialmente condivido, Stefano.
    Anche a me gli esempi delle ruote del carrello aereo e delle campate del ponte paiono un po' 'disturbanti', anche se capisco che siano usati per ribadire, ancora una volta, l'affermazione, diffusa proprio da Burioni su facebook qualche tempo fa, secondo cui "la scienza non è democratica".
    Confesso che provo molta ambivalenza verso la posizione medica 'alla' Burioni.
    Da un lato, non essendo un medico, devo riconoscere un sapere che non ho e di cui sono costretto a fidarmi fino a prova contraria (i greci sapevano distinguere tra 'episteme' e 'doxa': noi non più, visto che ormai chiunque apre la bocca le dà fiato pensando di aver ragione e di essere portatore di scienza).
    Dall'altro mi infastidisce il tono: la 'metacomunicazione' è troppo top-down (di fatto arrogante) e non credo che l'insulto verso i no-vax serva a risolvere i dubbi, le ansie e le ignoranze dei genitori preoccupati per i figli.
    Ciò che registro è banale: ma è il fallimento, in generale, della comunicazione medico-istituzionale e il ricorso al binomio legge-sanzione per supplire ad una diffusa perdita di autorità/autorevolezza.
    La sfiducia nell'autorità non è solo in questo campo (e le ragioni, ahimé, ci sono), ma proprio per questo occorrerebbe recuperare credibilità aumentando informazione, ascoltando, comprendendo, interagendo. Facendo cultura, insomma: e non (soltanto) obbligando e minacciando la perdita di patria potestà a chi non vaccina.
    Noi 'pazienti' dobbiamo avere (recuperare?) fiducia nella ricerca e nei medici: però i medici devono far di tutto per spiegare le ragioni di scelte pesanti che ci coinvolgono, anche con la consapevolezza che la ricerca non è sempre così limpida e disinteressata come si vuol far credere e che quindi, chi dubita, non è sempre un complottista o un fan delle scie chimiche.
    Burioni si sta impegnando in questa opera di informazione: forse altri dovrebbero supportarlo, in un'azione più sistemica e sinergica, e forse lui, se ritarasse lo stile relazionale, lo farebbe meglio.

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  3. Leggo ora su facebook che Burioni, in uno scambio con un interlocutore (gentile e ideologicamente pro-vax, che gli suggeriva di ritarare la sua comunicazione per renderla più efficace), afferma con forza e con vanto che lui non 'fa comunicazione', ma in università come su facebook 'fa lezione'. Informa e spiega a chi non sa il suo sapere. Perché lui è 'il professore'.
    Ok, ho la conferma di quanto sopra ho scritto.
    Libero Burioni di fare lezione: anche le lezioni sono utili.
    Ma mi rimane, ancora più forte, la domanda essenziale: c'è qualcuno che invece fa comunicazione? Perché anche di questo, mi pare, abbiamo bisogno urgente.
    Infatti, se tutti, dall'alto della cattedra, o dal basso delle procedure burocratiche e delle scartoffie, fanno lezione o prescrivono comportamenti (con sanzioni conseguenti), chi si occupa di accogliere, rispondere, risolvere i dubbi di chi, da ignorante, appunto ignora e magari confonde, ma ha timori (anche 'oggettivamente' infondati, ma 'soggettivamente' cruciali) che lo bloccano e lo portano a fuggire le vaccinazioni?
    All'estero, si dice, non c'è bisogno di ricorrere all'obbligo perché la gente vaccina spontaneamente i figli. Se questo è vero (e certi dati dovrebbero circolare di più), cosa differenzia gli stranieri dagli italiani? Cosa hanno fatto, le loro istituzioni e i loro medici, per ottenere questa 'disponibilità culturale' che da noi non c'è? Non potremmo imparare da loro?
    Domande banali. Che le autorità di un Paese dovrebbero porsi. E se se le sono poste, i risultati sembrano dire che non hanno dato risposta adeguata.

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