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domenica 18 giugno 2017

#RITAGLI / Ius soli, battaglia di civiltà (Brahim Maarad)

Le elezioni per ogni giornalista sono uno spasso: settimane di campagna elettorale, incontri pubblici, scontri politici. I candidati che imparano a memoria il tuo numero. Le pizze in redazione durante lo spoglio. Le conferenze gongolanti dei nuovi sindaci. I comunicati rassegnati dei secondi arrivati. In questi dieci anni da giornalista ne ho seguite tante di campagne, eppure non sono mai entrato in una cabina elettorale. Non ho mai votato in vita mia. E non di certo perché sono iscritto al partito degli astensionisti. Non voto perché non posso. Non sono italiano. Non ancora. Nonostante io sia in Italia da diciotto anni. Praticamente una seconda maggiore età. Solo che questa è inutile perché non segna alcun passaggio.  (...)

È vero, una legge per la cittadinanza c'è già. Se volessi potrei fare domanda e, forse, ottenerla. Dovrei solo compilare una decina di moduli, tornare nel paese dove sono nato e chiedere un certificato che dimostri che durante i miei primi dieci anni di vita non ho commesso alcun reato, autenticare tutto al Ministero degli Esteri, tradurlo e legalizzarlo al Consolato italiano e inviarlo agli Interni. Il tutto dopo aver pagato tasse e marche da bollo per diverse centinaia di euro. Trascorsi tre o quattro anni potrei ricevere la comunicazione per andare a fare il giuramento davanti a un sindaco che ho seguito in campagna elettorale. 

Con lo ius soli la politica ha l'ultima occasione per dimostrare di avere la lungimiranza per essere degna di rappresentare l'Italia vera, non solo quella elettorale. Se fallisse anche questa volta sarei molto indeciso tra fare domanda per diventare italiano, come voglio, o lasciare definitivamente l'Italia che non mi vuole. 

*** Brahim MAARAD, giornalista marocchino, Io, in Italia da 18 anni, vi spiego perché lo ius soli è una battaglia di civiltà, 'espresso.repubblica.it', 16 giugno 2017

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