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mercoledì 1 marzo 2017

#LIBRI PREZIOSI / "Il sistema della corruzione", di Piercamillo Davigo (recensione di M. Ferrario)

Piercamillo DAVIGO
"Il sistema della corruzione", Laterza, 2017
Pagine 76, € 14,00, ebook € 8,99

Il problema siamo noi
Un saggio breve, ma lucido e argomentato, su un tema noto, che stravolge la nostra vita di cittadini: la corruzione. L'associazione immediata e automatica di questo triste fenomeno a Tangentopoli e all'indagine di Mani Pulite (di cui l'autore di questo volume, Piercamillo Davigo, è stato uno dei principali attori) ci fa credere che tutto sia cominciato in quegli anni. Ma così non è. Anche se è da quegli anni, sicuramente, che ci dovrebbe essere diventato impossibile negare la realtà, per le dimensioni crescenti e l'insistenza con cui il malaffare di chi intende la cosa pubblica come cosa privata ci perseguita. Non passa giorno che stampa e tv non aprano i loro servizi con scandali che ormai non scandalizzano più: e il risultato, al di là dei proclami e della retorica, buona solo per spostare aria e farci credere che finalmente saremo capaci di fare ciò che non riusciamo a fare, è una convivenza rassegnata, per quanto lamentosa, con un fenomeno sempre più sentito come una dannazione ineluttabile. 

Piercamillo Davigo, com'è nel suo stile netto e diretto, 'bacchetta' con puntualità e severità il fenomeno, analizzandolo, anche con punte di ironia, in chiave larga e intrecciata. Ma, ovviamente, per quanto avanzi proposte tecniche per combattere il 'nemico' (l'ultimo capitolo è un tentativo di offrire spunti concreti di azione), proprio perché la corruzione, come sottolineato dal titolo del volumetto, è sempre più 'sistema' complesso, non ha bacchette magiche da far schioccare. 
Del resto, cronaca e storia ci hanno ormai insegnato che i confini tra 'loro' (la cosiddetta 'casta') e 'noi' (la cosiddetta 'società civile') sono labili; e l'inciviltà, o quanto meno l'illegalità, non è monopolio di nessuno, ma da anni ormai circola liberamente tra 'loro' e 'noi'.

Il libro è scorrevole, anche per il linguaggio: non paludato, ma capace di mantenere precisione concettuale e apertura divulgativa.
Come avviene per tanti saggi simili, che cercano di stimolare una presa di coscienza sulla realtà, la speranza è che il 'pensiero critico' riesca a pungere l'indifferenza: di tutti noi. 
'Vasto programma', ripeterebbe Charles De Gaulle...

*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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Neppure i cittadini immaginavano che la corruzione avesse raggiunto dimensioni simili e, soprattutto, che appartenenti a partiti di opposti schieramenti si dividessero le tangenti; rimasero perciò attoniti quando il 29 aprile 1993 Bettino Craxi, alla Camera dei deputati, parlò di un sistema di finanziamento illegale alla politica che coinvolgeva tutti. Tra i deputati presenti in aula certamente ve ne erano pure di onesti, e ignari di ciò che era accaduto all’interno dei loro partiti. Eppure, quel giorno, non uno si alzò per rivendicare la propria estraneità e il proprio sdegno nel sentirsi accomunare al generale ladrocinio, per rispondere: «Ma come ti permetti?». 
Dico questo non perché io pensi che fossero tutti ladri, ma perché nessuno sapeva esattamente che cosa accadeva all’interno del proprio partito. È questa una negazione della democrazia, che invece richiede trasparenza, conoscenza dei meccanismi di funzionamento, controllo. «Accountability», direbbero gli anglosassoni, ma da noi sembrava non esserci nulla di tutto ciò. E ho molti dubbi sul fatto che sotto questo aspetto qualcosa sia cambiato negli ultimi anni. (Piercamillo DAVIGO, "Il sistema della corruzione", Laterza, 2017)

Quando emergono elementi gravi relativamente a un fatto – poco importa quanto quel fatto sia riprovevole o penalmente rilevante –, di solito scatta un curioso meccanismo che spinge molti commentatori ad affermare: «Aspettiamo le sentenze». Ma come, «aspettiamo le sentenze»? A questo proposito sono costretto a ripetere una metafora che uso spesso: se invito a cena il mio vicino di casa e mi accorgo che mi sottrae l’argenteria mettendosela in tasca, non è che per non invitarlo più a cena devo aspettare la sentenza della Corte di Cassazione: smetto di invitarlo seduta stante. Dirò di più: non lo inviterò più a cena anche se verrà assolto perché è un cleptomane, e quindi non è sua intenzione rubare in quanto la sua è una malattia. A me non importa nulla delle eventuali attenuanti, non lo inviterò più! Nel mondo dell’economia e della politica si dice, invece, «aspettiamo le sentenze»: e questo – per inciso – significa attribuire ai giudici il compito di selezionare la classe dirigente, mentre così non dovrebbe essere. Se noi processassimo gli ex, già allontanati dai loro posti di responsabilità dai loro «pari» – come usava dire un nostro presidente del Consiglio –, ciò che avviene nelle aule di giustizia avrebbe lo stesso rilievo di un museo delle cere: avrebbe rilevanza storica, ma non incidenza sull’attualità politico-economica. Tutto questo, invece, non avviene quasi mai. Se, poi, le sentenze sono di condanna, apriti cielo! Allora si tratta di una persecuzione politica da parte dei giudici e, ancora una volta, mai nessuno si prende la briga di discutere dei fatti che sono alla base delle sentenze: si discute del colore politico della toga…  (Piercamillo DAVIGO, "Il sistema della corruzione", Laterza, 2017)

In vita mia non avevo mai visto un corrotto. Me l’immaginavo come un visitor, con la lingua verde che fuoriesce dalla bocca, e quando le guardie mi portarono questo detenuto rimasi impressionato dalla sua assoluta normalità. Era uno come me. Avrebbe potuto essere un mio compagno di università o di serate in discoteca. Allora misi via il foglietto con gli appunti e l’unica domanda che formulai fu: «Ma come può un ragazzo di ventisette anni vendersi per 250.000 lire?». L’imputato per un po’ rimase in silenzio e poi rispose: «Lei non può capire, perché appartiene a un mondo nel quale queste scelte sono individuali; essere onesto o disonesto dipende da lei. Io, dopo quindici giorni dal mio arrivo, ho capito che in quell’ufficio rubavano tutti! E ho anche capito che non avrebbero tollerato la presenza in mezzo a loro di un uomo onesto. Mi avrebbero cacciato perché sarei stato un pericolo per tutti gli altri. Le 250.000 lire me le ha messe in mano il mio capoufficio. Io ero in prova, e ho avuto paura di essere cacciato via se non le avessi prese. Non ho avuto il coraggio che ci vuole per essere onesto». Una frase terribile: si dovrebbe vivere in un paese nel quale ci voglia coraggio a fare il delinquente, e non la persona perbene. 
Una frase che mi colpì molto: dopo quasi quarant’anni che faccio questo lavoro sono come le monache di clausura, non so se sono casto, dovrei provare ad andare in discoteca o in qualche altro luogo di tentazione. Uno che mi abbia offerto dei soldi o che abbia cominciato il discorso così non l’ho mai trovato. Quindi non so se sono onesto, perché mai un mio capoufficio mi ha offerto soldi.  (Piercamillo DAVIGO, "Il sistema della corruzione", Laterza, 2017)
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