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martedì 29 novembre 2016

#SPILLI / Riforma Costituzionale, un 'iter' che ha già violato la democrazia (M. Ferrario)

Finalmente, ancora pochi giorni e poi, bene o male, il 4 dicembre avremo votato e potremo archiviare questa campagna ossessionante, ripetitiva, spesso menzognera, anche ‘cattiva’ nei toni e nello stile, partita mesi fa attorno a una riforma costituzionale di cui pochi italiani sentivano l’urgenza: tant’è che nessun programma elettorale, a suo tempo, ne parlava e se, all'epoca, si accennava alla Costituzione, ad esempio nel documento Pd, la si definiva, anche un po’ stucchevolmente, ‘la più bella del mondo’ (qui).

Ma non solo: a conferma della falsa retorica con cui certe ministre della Repubblica ci ripetono che il Governo, finalmente, ha dato sbocco alla richiesta impaziente del "Paese che chiede la riforma della Costituzione da 70 anni" (dunque da prima che la Costituzione stessa venisse promulgata) (*), è bene dare un'occhiata all'ultimo sondaggio Ispsos: come si vede nella tavola qui sotto, tuttora la riforma della Costituzione è sentita come priorità dall'8% degli italiani. Ripetiamolo: 8%. 
Compresi Renzi, Boschi e Verdini, naturalmente.


Andrea Turco, 'Termometro politico', 23 novembre 2016, qui

Ma tant'è. Qui siamo. Da due anni e più.
E, per la verità, anche senza attendere i sondaggi di oggi, non ci voleva molto a capire che l'intero processo che ci sta portando alla data referendaria, avviatosi con l’avvento di Matteo Renzi al potere e il ‘mantra’ delle riforme (non solo questa costituzionale, ma tante altre e all’inizio addirittura scalettate secondo una cronologia settimanale), è stato, e tale rimane fino all'ultimo, una grande operazione di ‘distrazione di massa’, che ha puntato a trovare nella attuale Carta la causa di ogni male della politica e nei 47 articoli della proposta di riforma la soluzione quasi magica di tutto: da una parte il mito di un cambiamento, che sorride in modo stereotipato a un futuro radioso, e dall’altra la minaccia di un pantano inesorabile, pressoché ‘strutturale’, che continuerà ad avvolgerci da qui all'eternità se diremo No alla riforma, perché impedirà ogni movimento e schiaccerà ogni speranza di miglioramento.

Ovviamente, che il pantano ci sia (e anche qualcosa di peggio) è un fatto abbastanza condivisibile: ma che sia la legge fondamentale dello Stato a produrlo (la stessa legge peraltro ancora in attesa di attuazione in molte sue parti-chiave a distanza di quasi settant’anni dal suo varo) e non il ceto politico (inadeguato, incompetente, corrotto, trasformista, affarista: dunque incapace di operare in chiave di ‘bene comune’), a me sembra una macroscopica e comoda fuga dalla realtà, quando non lo spaccio consapevole e vergognoso di una falsità incredibile. 

In questi mesi gli appelli a stare nel merito dei contenuti della legge sottoposta al voto dei cittadini sono stati ripetutamente contraddetti, prima dalla volontà dichiarata di trasformare il referendum in plebiscito e poi, con le pseudo correzioni apportate in corso d’opera da chi aveva dichiarato di aver sbagliato, dai continui riferimenti a cosa potrebbe accadere di meraviglioso o di terribile nel caso in cui la proposta di riforma potesse venire confermata o bocciata.

L'ultima variante, che dimostra come il superamento della personalizzazione sia una finzione e l'ammissione di aver sbagliato una delle solite tante 'furbate' ammannite al popolo, sempre osannato ma di fatto creduto boccalone, è il ricatto di questi giorni: 'se non votate sì, sarete responsabili del governo tecnico che verrà'.

Per quanto mi riguarda, in questa nota voglio stare al merito della proposta di riforma: non tanto però ripetendo i molti motivi (che pure condivido) presenti negli elenchi stilati da diversi autorevoli commentatori ed esperti di politica e di diritto, quanto enunciando alcune ragioni che mi pare siano state poco sottolineate e che invece per me sono fondamentali, per certi versi ancora più decisive delle altre.

I miei ‘perché No’ sono quattro e stanno a monte: perché riguardano la procedura con cui è si è arrivati alla riforma stessa. Toccano dunque il 'processo' prima ancora del 'prodotto'. E in democrazia, lo sappiamo (ma forse molti l'hanno dimenticato), le procedure sono essenziali: scegliere una o l’altra, osservare o violare una regola costruita con lo scopo preciso di assicurare democraticità ai processi, significa toccare le fondamenta stesse dell’azione democratica.
Dunque, parlare di aspetti processual-procedurali, in particolare quando è in gioco la Carta che è all’origine del nostro ‘stare insieme’, non significa occuparsi di quisquilie per azzeccagarbugli: a meno di credere che l’azione, comunque e purchessia, debba vincere su qualunque regola, in quanto di per sé sinonimo di bene supremo, oggi rappresentato dal binomio (di derivazione managerial-aziendale e spalmato in ogni campo, anche a sproposito) di ‘efficacia-efficienza’. Ma allora, appunto, rischiamo di essere fuori dalla democrazia (o, forse, già lo siamo).

Ecco dunque le quattro violazioni che a mio avviso delegittimano alla radice la riforma proposta: la boccerebbero anche se i contenuti non sollevassero i (gravi) problemi, sui quali ormai dovremmo essere informati, di tipo sia tecnico che politico.

(1) - Riforma, non revisione - La modifica di 47 articoli della Costituzione (su 139) non costituisce una ‘revisione’, ma una ‘riforma’. E i due termini, in italiano, non sono sinonimi. L’art. 138 della Costituzione giustamente prevede la possibilità di modificare singoli articoli in Parlamento. Ma la modifica di un impianto costituzionale di queste dimensioni (numero di articoli modificati e qualità dei cambiamenti introdotti) può richiedere soltanto la legittimazione popolare, affidata ad una Assemblea Costituente: composta da persone elette con lo specifico mandato di riformare la Costituzione e scelte con voto rigorosamente proporzionale.

(2) - Iniziativa del Governo - La procedura seguita è stata affidata all’iniziativa non di un Parlamento, bensì di un Governo, su mandato di un presidente della Repubblica, che aveva accettato di essere rieletto per la seconda volta (innovazione non prevista dalla Costituzione), dunque per un ulteriore settennato (di cui peraltro, sempre irritualmente, era già dato per assodato il non completamento) e con la condizione esplicita (anche questo un fatto quanto meno inusuale) che si procedesse al varo della riforma costituzionale stessa.

(3) - Parlamento delegittimato dalla Consulta - Il Parlamento chiamato a votare la riforma costituzionale in base all’art. 138 è stato dichiarato non costituzionale dalla Consulta, perché eletto in base alla legge cosiddetta Porcellum: che consentiva al potere partitico di avere dei nominati al posto di eletti, frustrando la possibilità di scelta diretta da parte dei cittadini, ed esasperava il criterio maggioritario a fronte del criterio proporzionale, ‘pompando’ il numero dei seggi assegnati alla coalizione più votata. Se non il diritto (ma diversi giuristi richiamano inconfutabilmente anche il diritto), certo la logica (se ancora vivesse una logica) avrebbe voluto che un Parlamento in queste condizioni di grave ‘minorità’, sancita da una istituzione del peso della Consulta, si limitasse a disegnare una nuova legge elettorale, giusto per consentire l’indizione di nuove elezioni, e non si imbarcasse in un’opera di trasformazione/demolizione costituzionale di questa portata.

(4) - Protagonismo violento del Governo - Il Governo, per mano del presidente del Consiglio, ha spinto/imposto l’intera riforma, sia giocando con lo stile dell’’uomo solo al comando’, sia ricorrendo alternativamente alla minaccia ricattatoria, aperta o velata, del tipo ‘o questa riforma o me ne vado’ e ‘o con me o niente nomina alla prossima tornata elettorale’. Il suo protagonismo interventista in una materia tanto delicata qual è la Costituzione, che dovrebbe essere di tutti, o comunque essere fatta propria dalla maggioranza più ampia possibile, e avere un respiro (di principi, di valori e di scelte programmatiche) che vanno ben al di là dell’azione limitata di un Governo è stato di una violenza (un mix di arroganza e prepotenza) scandalosa: tanto più perché non contenuta da altre istituzioni, pure chiamate a vigilare.

In sintesi – L’intero iter fin qui seguito, nella forma (e dunque nella sostanza di una democrazia che intenda restare tale) e al di là dei risultati prodotti, a me pare, con evidenza indubbia, del tutto ‘irrispettoso’ della volontà popolare. Unico ‘paletto’ democratico che non è saltato è il referendum: ma non è una graziosa concessione il fatto che non ci sia stato impedito di usarlo.
Non sono un giurista e non so se la garanzia referendaria, da sola, possa assorbire, o quanto meno compensare, l’illegittimità complessiva del processo. Tuttavia, per la mia sensibilità democratica, le quattro violazioni di cui sopra sono di gravità inaudita: e mai avrei pensato potessero realizzarsi, tra l’altro in sinergia fra loro, ancor più in un tempo nel quale si poteva credere di essere usciti definitivamente dall’oscena esperienza berlusconiana (ma le nonne, con saggezza, hanno sempre ripetuto che non c’è limite al peggio…).

In conclusione - Tutto quanto sopra costituisce per me una forte spinta, aggiuntiva rispetto alle altre, ma decisiva, a usare ‘bene’ la matita il 4 dicembre, rifiutando della riforma ‘tutto’ (processo di elaborazione, contenuti tecnici e contenuto politico), senza un filo di incertezza e tracciando una croce gigantesca sul No.
Aggiungo. Le accuse (sciocche e ignoranti, se in buona fede, disoneste e strumentali, se in malafede) di essere in compagnia di una ‘accozzaglia’ (secondo l’epiteto sprezzante diffuso da Renzi e dai suoi) non mi toccano: da sempre (e basta guardare la storia) le opposizioni possono, proprio in quanto opposizioni, trovarsi ‘costrette’ a condividere un 'voto-contro' senza per ciò condividere un’alleanza: avendo, e continuando ad avere, principi, valori, visioni del mondo diverse e addirittura opposte.
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(*) Maria Elena Boschi, «Sono 70 anni che stiamo aspettando la fine del bicameralismo paritario», 'Corriere della Sera', 17 settembre 2015. 

*** Massimo FERRARIO, Riforma costituzionale, un iter che ha già violato la democrazia, per Mixtura

NOTA - Anche nel caso in cui si sia già maturata la scelta per il Sì, segnalo con particolare forza la lettura di:
* Roberto Scarpinato, "La riforma Renzi è oligarchica e antipopolare”, intervento al Seminario di studi sulla Riforma della Costituzione svoltosi al Palazzo di Giustizia di Palermo il 22 novembre 2016, ‘MicroMega online’, 24 novembre 2016, qui
Si tratta di uno 'stimolo' che non solo riepiloga con chiarezza i temi salienti e critici più volte pubblicati dai sostenitori del No, ma aggiunge notazioni acute e severe sulle origini e le implicazioni della proposta di riforma, che non possono non far pensare chi ancora voglia pensare (indipendentemente dalla specifica posizione assunta sul tema referendario).

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