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sabato 12 novembre 2016

#FAVOLE & RACCONTI / Chiodi, martello e una tavola di legno (M. Ferrario)

In fondo era un bravo ragazzo. 
Ma aveva un caratteraccio: era impulsivo, impaziente, troppo centrato su di sé.
E sbrigativo, rude, spesso offensivo nei rapporti: come fosse convinto di contare solo lui. 
Anche per questo, quei pochi amici che finora avevano scusato i suoi modi bruschi e villani, erano sempre più insofferenti e stanchi: tutti ormai minacciavano di lasciarlo solo.

L'amico più caro l'aveva appena messo in guardia, confidandogli che la sua sopportazione era giunta al limite.
«Devi darti una regolata. Anch'io comincio ad essere stufo. Non ti va mai bene niente. E poi, imprechi, insulti: sembra che solo tu sia in grado di fare bene le cose. Nel mondo occorre accettare anche gli altri, devi imparare a convivere. Non è possibile che tu continui così. Lo so, poi, magari, quando rifletti su come ti sei comportato, chiedi scusa: ma gli altri non se ne fanno nulla delle tue scuse se poi continui a comportarti nel tuo solito modo».

Il ragazzo rifletté: l'amico non aveva torto.
Ma come cambiare? 
Anche in famiglia i rapporti erano faticosi, difficili, conflittuali.

L'unico che il giovane stimava, e per il quale nutriva un affetto profondo, era il nonno.
Decise di coinvolgerlo nel suo problema.
«Dammi un consiglio, nonno, ti prego. Sento che attorno a me tutti cominciano a evitarmi: non mi sopportano più».

Il vecchio non rispose.
Si limitò a prendere un sacchetto di plastica e a riempirlo di chiodi che conservava nella sua piccola cassetta dei ferri, con cui si divertiva a riparare le cose.
Ci aggiunse un martello.
Poi scese in cantina e recuperò un'asse di legno di un bel colore bruno caldo, dalla forma rettangolare: grande e liscia.
Ci passò sopra la mano, ma scosse la testa.
Per renderla ancora più piacevolmente scorrevole, con una cera per mobili e uno straccio morbido la fece diventare scivolosa e brillante.
Quindi, sempre in silenzio, la porse al ragazzo, prendendogli il polso della mano e cercandogli il palmo.
«Prova»
Il giovane non capiva.
«Prova? A fare che?»
«Prova a far scivolare la mano su questa tavola» .
Il nipote eseguì, obbediente.
«Com'è?»
«Sembra seta. E' una sensazione piacevolissima. Calda. Dolce. Tenera. Ma... non capisco. Che c'entra tutto questo con il mio problema...?».
Il nonno sorrise.
«Mi devi promettere che metterai in atto tutto quello che adesso ti dirò. Se non lo farai, chiodi, martello e tavola di legno non serviranno a nulla. Poi però non mi chiedere più aiuto.»

Il giovane, sia pure molto perplesso, promise: il nonno qualche volta poteva apparire un po' strano, ma aveva ancora la testa lucida.

«Allora. Da domani mattina fai attenzione a ogni comportamento sgarbato che ti capita di tenere. Con colleghi, conoscenti, amici. Con chiunque: anche con il mendicante che ti chiede l'elemosina all'angolo della strada. Non ti sto dicendo di riflettere prima di agire, ma di riflettere dopo che hai agito: in quei momenti in cui, come mi hai raccontato, ti penti di come hai agito e vorresti esserti comportato in modo diverso. Al punto che poi spesso chiedi scusa. Ecco, se vuoi continuare a chiedere scusa, fallo pure. Ma di una cosa assolutamente non devi dimenticarti: appena ti accorgi di aver messo in atto un comportamento che ha fatto male a chi ti sta intorno, prendi un chiodo dal sacchetto e con il martello piantalo ben in fondo sulla tavola di legno. Mi raccomando: ogni comportamento iracondo, sgarbato, offensivo, insofferente, un chiodo nell'asse. Nel sacchetto i chiodi non mancano: ti potranno bastare per una settimana. Poi, torna da me con l'asse di legno. E attenzione: se vi hai piantato dei chiodi, non importa quanti - ma sicuramente ne avrai piantati tanti -, non li toccare: lasciali conficcati lì dove li hai messi. Quando ci rivedremo, ti dirò io cosa fare».

Il ragazzo cercò di capire, tentando qualche domanda.
«Ma...».
Il nonno troncò ogni obiezione: mise in mano al nipote il sacchetto, con i chiodi e il martello, e la tavola di legno, e quindi spinse il giovane, con garbo ma con decisione, verso la porta.
«Niente ma. Fa' quello che ti ho detto. Ne parliamo fra una settimana».

Quando il ragazzo si ripresentò dal nonno alla scadenza pattuita, la tavola era tutta piena di chiodi: erano infilati stretti uno accanto all'altro e lo spazio rimasto vuoto era minimo.
Il nonno inforcò gli occhiali: mentre toglieva ogni chiodo dall'asse con una pinza, contava tra sé e sé.
A parte cresceva un mucchietto: si ingrossava a vista d'occhio.
«Sono 88, figliolo. Puoi controllare, ma conosci la mia precisione e non ho perso la capacità di far di conto: potrebbero essere di più solo nel caso tu ti fossi dimenticato di piantarne qualcuno. Ma già così, in una settimana, fanno oltre 12 chiodi al giorno. Mi pare ovvio che gli amici stiano fuggendo...».
Il giovane era serio: chinò il capo e ammise:
«Sì, forse sono davvero insopportabile. Non c'è nulla da fare...».

Il nonno gli diede un buffetto in viso: affettuoso, ma vigoroso, anche a mo' di rimprovero.
«Non c'è nulla da fare se non vuoi fare. Se no, qualcosa puoi sempre fare...».

Il nipote non nascondeva di essere demoralizzato: non si giustificava, anche se in qualche modo tentava di mitigare il suo modo di comportarsi, ricordando che comunque, in genere, lui chiedeva scusa.
Il vecchio lo lasciò parlare: avrebbe voluto dire parecchie cose sul suo chiedere scusa, ma preferì far finta di nulla.
Attendeva, paziente, che il giovane decidesse: aveva intenzione di provarci, oppure gettava la spugna?

Dopo qualche minuto, il nipote fece un lungo sospiro.
E  ruppe il silenzio.
«Ok, nonno, ci sto: che dovrei fare?».

Il nonno, conoscendo il ragazzo, non fu sorpreso.
E aveva la domanda già pronta.
«Qual è, tra i cibi, la cosa che più ti piace mangiare?».
Il giovane si illuminò:
«Me lo domandi, nonno, ma lo sai perfettamente: la torta al cioccolato, la 'Schertorte'. Da sempre, fin da piccolo: era la mia preferita. Per i compleanni, lo ricorderai anche tu, volevo solo quella. Me la faceva la mamma e io ne andavo ghiotto. Ora so che la vende la pasticcera del negozio qui all'angolo...».

La battuta era facile, anche perché la pasticcera era giovane e carina: forse, più della torta, che pure avrebbe fatto leccare la bocca agli angeli, era lei la maggiore attrazione.
Ma il nonno, tutto serio, si limitò a registrare la risposta, senza alzare un sopracciglio.
E continuò a dare istruzioni al giovane.

«Bene. La 'Sachertorte', hai detto: ovviamente ricordavo anch'io la tua passione. Ora fissati un obiettivo. Oggi sei a 88 chiodi. La prossima settimana, sempre sulla solita tavola di legno, quanti chiodi pianterai che siano al di sotto della soglia 88? Come sai, gli obiettivi, perché servano, devono essere sfidanti, come si dice oggi, ma realistici. Devono impegnare, invogliare ed essere possibili: quindi non dirmi zero, perché zero non è un obiettivo. In questo momento, per te, zero può essere solo una speranza: un sogno, un  auspicio. Tutte cose ben diverse da un obiettivo...».

Il giovane tentennava.
Scherzò:
«E se dico 87?».
Il nonno diventò serio.
«Ti indico la porta e abbiamo risolto il problema. Senza affrontarlo, naturalmente. Peraltro sarebbe un comportamento molto diffuso: si fa carriera anche così...».
Il nipote ci pensò su, ma non sapeva su che numero impegnarsi.
Alla fine cercò di scantonare.
«Dimmi tu, nonno».
Il vecchio scosse il capo con forza, roteando gli occhi, e un po' indispettito alzò la voce.
«Siamo matti? Stiamo parlando dei tuoi chiodi. Non dei miei. Il problema è tuo. Dimmi un numero.»

Alla fine, sia pure titubante, il nipote buttò lì:
«62?».
Il nonno lasciò trascorrere qualche secondo, guardando in faccia il nipote: si capiva che non gli andava bene per nulla.
Ma siccome il nipote continuava a stare zitto, lo incalzò:
«Se togli il punto interrogativo, 62, visto che lo dici tu, può essere un obiettivo. Altrimenti resta solo una domanda: tra l'altro rivolta a uno che, come ti ho già detto, non può risponderti, perché non c'entra nulla. Gli obiettivi servono se uno se li dà. Se un altro te li impone, diventano ordini. Gli ordini sono cose da capi: capi che per giunta sanno fare poco i capi. Perché creano obbedienza, non motivazione. Ed è di motivazione che ognuno di noi ha bisogno per fare le cose, specie quando sono difficili. E poi, per mia fortuna, come sai, ho smesso da qualche anno di fare il capo in giro per aziende e quindi, anche volessi fare quello che non ho mai fatto quando il ruolo me lo consentiva, non avrei nulla da ordinare. A te, poi... Ora sono solo un nonno: e fare il nonno, specie con certi nipoti, è già sufficientemente difficile, mi pare».

Il nipote atteggiò la bocca a un sorriso.
Aveva capito, naturalmente.
Ma a questo punto si divertì a stuzzicare:
«E un consiglio...? I nonni li dovrebbero dare, i consigli...».
Il nonno stette al gioco: rispose sogghignando, ma mettendoci tutta la convinzione di cui era capace.
«Per carità, figliolo, peggio ancora. I consigli che hanno maggiore probabilità di essere seguiti sono quelli che ci diamo da soli. Gli altri, quelli che ci arrivano, servono a chi li dà: per credere di avere aiutato e di essersi messi a posto la coscienza recitando la parte dei 'buoni' con gli altri... Così come ho sempre fatto il capo a modo mio, faccio il nonno a modo mio. Dunque, se gli altri consigliano, mi spiace, ma hai sbagliato nonno...».

Il giovane capitolò.
«D'accordo: 62.»
«Finalmente», sbuffò il nonno.
«Però adesso mi devi spiegare cosa succede se ottengo 62».
«Semplice. Che ti sei guadagnato la torta al cioccolato. Te l'andrai a comprare tu stesso dalla pasticcera giovane e carina che abita all'angolo. Con i soldi miei. E mai regalo, per me, sarà più piacevole farti».

Il nipote a questo punto non trattenne una risata che riempì tutta la stanza.

Alla fine della settimana, i chiodi piantati sulla tavola di legno erano 61.
E fu la prima torta che il nonno regalò al nipote.
Seguirono altri obiettivi, sempre decrescenti.
Altre settimane.
E altre torte.
Fino a che il giovane riportò al nonno l'asse di legno completamente pulita.

«Meno male», commentò ironicamente il nonno. «A furia di regalarti torte, cominciavo a preoccuparmi per la mia pensione: che, come sai, anche se non me ne lamento perché sarei un ingrato, specie di questi tempi, comunque non è di quelle d'oro. E poi, per carità, sei giovane e dunque ora non corri nessun rischio, ma non avrei voluto diventare responsabile di un tuo eventuale futuro diabete...».

Il nipote sprizzava gioia: era soddisfatto e orgoglioso.
«Sì, è stata dura. Ma ci sono riuscito: obiettivo raggiunto. Confesso che non credevo ce l'avrei fatta: da 88 a zero. Adesso dovrò solo mantenere questo risultato. Del resto, rischiavo l'indigestione di torta al cioccolato. Comunque, questi miei viaggi in pasticceria mi sono serviti: ho visto che di alternative alla 'Sachertorte' ce ne sono molte...».
Il nonno gli lanciò uno sguardo sornione.
«Certo, non ci sono solo torte: mi pare che quella pasticceria abbia anche altri dolci che possono attirare...».

Il nipote girò gli occhi e finse di non raccogliere la battuta.
In quel momento voleva pensare solo alla sua tavola di legno: tutta pulita, finalmente, senza neppure un chiodo.
Poi un'ombra gli oscurò il volto.
«E se ci ricasco?», chiese.

Il vecchio sembrò non aver sentito la domanda.
Riprese il palmo della mano del nipote, come aveva fatto la prima volta.
«Passa la mano sull'asse di legno».
Il giovane lasciò che il nonno gli guidasse la mano.
«Allora?
«Allora cosa?»
«Confronta la sensazione di adesso con quella che provasti l'altra volta: è uguale?».
Il nipote non ebbe bisogno di pensarci molto.
«La mano stavolta fatica a scorrere. La tavola è tutta bucata. Il legno è irregolare, increspato, scheggiato: qui e là sembra addirittura pungere».

Il nonno aveva terminato il compito: l'aiuto che poteva dare lo aveva dato.
«Non c'è bisogno che ti dica altro. Domandi se ricascherai nel vecchio modo di comportarti. Nessuno può garantirti che non avvenga. L'unico che può farlo sei tu. Però tu ora hai due fatti, oggettivi e precisi, che possono aiutarti a stare in allerta: prima non li avevi. Il primo è che hai dimostrato a te stesso che è stato possibile non piantare neppure un chiodo nella tavola: non è stato un sogno, l'hai fatto. E se l'hai fatto  una volta, vuol dire che lo puoi rifare e puoi continuare a farlo. Il secondo è che i buchi dei chiodi, una volta piantati, comunque rimangono: se pure chiedi scusa al legno, il legno non torna più come prima. Le persone non sono tanto diverse da questa tavola. Anzi, sono ancora più vulnerabili. Tu, chiedendo scusa, credi di cancellare quello che hai fatto loro, ma le ferite, a loro, restano. Non sempre si vedono, ma anche l'anima, come la pelle, conserva le sue cicatrici. Il ricordo delle due sensazioni, opposte, che hai provato quando hai passato la mano sulla tavola, prima e dopo aver piantato i chiodi, forse adesso non ce l'hai solo in testa, ma è 'scivolato' anche in 'pancia': lì dentro, ora, ci sono conservate due emozioni, bella una e brutta l'altra, che ti possono servire anche come monito.»

Una delle cose che il nipote più apprezzava nel nonno era il suo spirito ironico e, ancora di più, la capacità di prendersi in giro: anche stavolta ne ebbe conferma quando ricevette una sonora pacca sulla spalla che lo invitava ad alzarsi dalla sedia.
«E adesso, figliolo, per festeggiare, andiamo insieme in pasticceria: tu ti prendi a spese mie l'ultima 'Sachertorte' del patto che avevamo stipulato e io mi faccio un'abbuffata di bignè alla crema e al cioccolato. Così sei sicuro che il nonno, con la bocca piena, avrà smesso per forza di fare il nonno che pontifica...».

*** Massimo Ferrrio, Chiodi, martello e una tavola di legno, 2016, per Mixtura - Rielaborazione originale e creativa a partire da un testo che circola in rete.


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