Sono andato a rileggermi il documento-base su cui il Pd, con gli alleati dell'epoca, ha chiesto il voto e vinto, sia pure di misura, le elezioni del 2013 (29,55% dei votanti alla coalizione).
Enrico Letta, prima, e Matteo Renzi, dopo, sono stati e sono al governo grazie al voto raccolto con 'quel' programma, di cui era leader, consacrato dalle primarie, Pierluigi Bersani.
In nessuna riga di 'quella Carta di intenti' si accennava alla possibilità di proporre una riforma costituzionale che, rottamando 47 articoli su 139 della Costituzione, operasse quegli stravolgimenti realizzati dalla riforma Renzi-Boschi, sulla quale saremo chiamati a votare nel prossimo referendum di dicembre.
Anzi: si diceva che la Costituzione italiana resta "tra le più belle e avanzate del mondo" e che "il suo progetto di trasformazione" è "per buona parte ancora da mettere in atto".
Chi segue la politica, se è intellettualmente onesto, lo sa.
La maggioranza, che non la segue, così come può credere - perché qualcuno glielo fa credere - che da 70 anni si attende la revisione della Costituzione e che i costituenti, già prima ancora di approvarla il 22 dicembre 1947, auspicassero un suo superamento, altrettanto può essere convinta che la riforma oggetto di referendum sia stata promessa dal Pd, e dai suoi alleati, durante la campagna elettorale e gli elettori, votando partiti e coalizione, abbiano detto sì agli impegni assunti.
Ovviamente, non è così.
Ecco quanto si diceva nel 2^ paragrafo del documento di quella alleanza dei Progressisti di cui il Pd era attore principale, sotto il titolo 'Democrazia':
«Dobbiamo sconfiggere l’ideologia della fine della politica e delle virtù prodigiose di un uomo solo al comando. (...)
La sola vera risposta al populismo è la partecipazione democratica. La crisi della democrazia non si combatte con “meno” ma con “più” democrazia. Più rispetto delle regole, una netta separazione dei poteri, una vera democrazia paritaria e l’applicazione corretta e integrale di quella Costituzione che rimane tra le più belle e avanzate del mondo. Siamo convinti che il suo progetto di trasformazione civile, economica e sociale sia vitale e per buona parte ancora da mettere in atto.»
(Patto dei democratici e dei progressisti, Carta d'intenti, L'Italia Giusta. Per la ricostruzione e il cambiamento, 31 luglio 2012, qui)
Quanto sopra sarebbe bene non venisse dimenticato, anche solo per dare 'alla' storia ciò che è 'nella' storia.
Così come, sempre per precisione storica, è utile ricordare che il "Pacchetto Riforme", di cui la riforma costituzionale è parte (insieme - ma non solo - con la legge elettorale detta Italicum), più che chiesto dai cittadini, è stato ostinatamente voluto dal Presidente, oggi emerito, Giuseppe Napolitano, come condizione per l'accettazione del suo secondo mandato presidenziale (evento accaduto per la prima volta nel corso della Repubblica e non previsto dalla Costituzione), e ancor più ostinatamente perseguito sino ad oggi, con massimo investimento personale giocato in chiave di aut-aut ("o mi dite di sì o me ne vado"), da Matteo Renzi, vincitore delle ultime primarie Pd, ma mai eletto in occasione di elezioni politiche.
Tra parentesi, anche nel documento congressuale di Matteo Renzi per le primarie dell'8 dicembre 2013, intitolato 'Cambiare verso' (qui), al contrario di quanto sostiene la ministra per le Riforme Maria Elena Boschi, nessun accenno viene fatto alla volontà del neo-segretario Pd, se eletto, di contribuire alla riforma della Costituzione.
Dichiara infatti Maria Elena Boschi per sostenere il consenso alla sua riforma:
«Sento molti pareri favorevoli non solo da parte dei professori ma anche fra i cittadini e gli elettori del Pd. Abbiamo ascoltato Regioni, Comuni, parti sociali, autorevoli costituzionalisti e il giudizio complessivo è positivo. Il Pd la scelta sul Senato l’ha già fatta. E non ha mica deciso Matteo Renzi da solo, hanno scelto milioni di elettori del Pd che hanno votato alle primarie un programma chiaro in cui era scritto che se avessimo vinto noi avremmo superato il bicameralismo perfetto con un Senato delle autonomie dove sarebbero stati presenti i presidenti delle Regioni e sindaci, senza senatori eletti e senza indennità e senza potere di fiducia sul governo […]. Quindi, almeno per chi fa parte del Pd, sarebbe utile rispettare le decisioni prese da milioni di elettori democratici». (Maria Elena Boschi, 31 marzo 2014, citata in Duccio Facchini, Le ragioni del no, Altreconomia, 2016)
Così non è: "milioni di elettori democratici" non hanno deciso ciò che ora gli si fa credere di aver deciso.
Nel documento-programma cui la ministra fa riferimento non compaiono termini come “Senato”, “bicameralismo”, “autonomie” o “indennità”. Si fa cenno alla parola “Costituzione” solo in un unico caso, non per proporre l'abolizione del bicameralismo o il cambio della forma di governo, ma per indicare la necessità di “aprire una discussione di merito sulla riforma del Titolo V, che ha dato troppi poteri alle Regioni”. Nulla di più (vedi anche Duccio Facchini, Le ragioni del no, Altreconomia, 2016).
Dunque, se "la revisione del titolo V della parte II della Costituzione" è uno dei 5 punti del progetto di riforma Ranzi-Boschi, che ha un qualche riferimento 'evocativo' nel documento Renzi delle primarie, gli altri 4 punti ("disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario", "riduzione del numero dei parlamentari", "contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni", "soppressione del Cnel": come recita anche il quesito referendario indicato in scheda, peraltro discutibile nella sua formulazione 'poco neutrale') sono tutti aggiunti e 'calati dall'alto', in linea con la volontà di un "uomo solo al comando" e dei suoi fan.
Tra parentesi, anche nel documento congressuale di Matteo Renzi per le primarie dell'8 dicembre 2013, intitolato 'Cambiare verso' (qui), al contrario di quanto sostiene la ministra per le Riforme Maria Elena Boschi, nessun accenno viene fatto alla volontà del neo-segretario Pd, se eletto, di contribuire alla riforma della Costituzione.
Dichiara infatti Maria Elena Boschi per sostenere il consenso alla sua riforma:
«Sento molti pareri favorevoli non solo da parte dei professori ma anche fra i cittadini e gli elettori del Pd. Abbiamo ascoltato Regioni, Comuni, parti sociali, autorevoli costituzionalisti e il giudizio complessivo è positivo. Il Pd la scelta sul Senato l’ha già fatta. E non ha mica deciso Matteo Renzi da solo, hanno scelto milioni di elettori del Pd che hanno votato alle primarie un programma chiaro in cui era scritto che se avessimo vinto noi avremmo superato il bicameralismo perfetto con un Senato delle autonomie dove sarebbero stati presenti i presidenti delle Regioni e sindaci, senza senatori eletti e senza indennità e senza potere di fiducia sul governo […]. Quindi, almeno per chi fa parte del Pd, sarebbe utile rispettare le decisioni prese da milioni di elettori democratici». (Maria Elena Boschi, 31 marzo 2014, citata in Duccio Facchini, Le ragioni del no, Altreconomia, 2016)
Così non è: "milioni di elettori democratici" non hanno deciso ciò che ora gli si fa credere di aver deciso.
Nel documento-programma cui la ministra fa riferimento non compaiono termini come “Senato”, “bicameralismo”, “autonomie” o “indennità”. Si fa cenno alla parola “Costituzione” solo in un unico caso, non per proporre l'abolizione del bicameralismo o il cambio della forma di governo, ma per indicare la necessità di “aprire una discussione di merito sulla riforma del Titolo V, che ha dato troppi poteri alle Regioni”. Nulla di più (vedi anche Duccio Facchini, Le ragioni del no, Altreconomia, 2016).
Dunque, se "la revisione del titolo V della parte II della Costituzione" è uno dei 5 punti del progetto di riforma Ranzi-Boschi, che ha un qualche riferimento 'evocativo' nel documento Renzi delle primarie, gli altri 4 punti ("disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario", "riduzione del numero dei parlamentari", "contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni", "soppressione del Cnel": come recita anche il quesito referendario indicato in scheda, peraltro discutibile nella sua formulazione 'poco neutrale') sono tutti aggiunti e 'calati dall'alto', in linea con la volontà di un "uomo solo al comando" e dei suoi fan.
Intendiamoci: è già discutibile che un gruppo politico dirigente proponga 'grandi progetti' non previsti nel programma con cui si è presentato alle urne, o alle primarie di partito o di coalizione: ci si potrebbe chiedere, infatti, in questo caso, a cosa serva un programma da sottoporre ai cittadini.
E' però, a mio avviso, ancor più inconcepibile e grave che si gabelli per 'richieste del popolo' richieste che dal popolo non vengono e che il popolo, nel momento in cui ad esso ci si è rivolti per raccogliere il voto, non ha sottoscritto, avendo firmato, se mai, ben altro (come ad esempio: il rifiuto delle "virtù prodigiose di un uomo solo al comando").
Democrazia, per me, è partecipazione.
RispondiEliminaLa popolazione italiana nel 47 era circa 46 milioni. Nel 2016 circa 60 milioni, è cresciuta del 30%. Anche i rappresentanti, se siamo in democrazia, dovrebbero crescere. Invece diminuiscono.... proprio come la democrizia che sta diminuendo, o forse mi sto sbagliando...
Vanno diminuiti i privilegi, non i privilegiati che, essendo più pochi e non eletti, si fregano le mani.
Daniele
Intanto, grazie, Daniele, per il commento.
RispondiEliminaSul numero dei rappresentanti si può discutere: ci sono paesi che con la stessa popolazione dell'Italia hanno una ceto politico istituzionale numericamente inferiore.
Quello che secondo me è vergognoso, specie se attuato dalle alte cariche della Repubblica, è 'giocare' pupulisticamente con le pulsioni, anche qualunquistiche e sempre più montanti (per centomila ragioni più volte ripetute) di chi rifiuta comunque la politica.
Il problema, 'vero', è far diventare maiuscola la P della politica.
E questo si ottiene anche (non solo, ma anche) pagando il giusto prezzo che la Politica richiede in termini di banali costi/spese e risorse/servizi pr il suo funzionamento.
Tuttavia, la crescita della P, se la vogliamo e non ci limitiamo a proclamarla, pone una questione del tutto diversa: proprio quella che tu indichi all'inizio del tuo commento e che non è uno slogan.
Scrivi: "La democrazia è partecipazione". Parole da scolpire.
E' questo 'un' criterio (non l'unico, ma è cruciale) con cui valutare anche il progetto di riforma attuale, tanto sbandierato da Renzi e dai suoi (riforma costituzionale + legge elettorale detta 'Italicum'): se il progetto, nel suo insieme, allarga gli spazi di partecipazione dei cittadini, aiutando a ricreare e rilanciare il gusto per l'impegno e la Politica, 'va bene'; altrimenti no.
Io dubito spesso, ma, stavolta, non ho dubbi: a mio modesto parere, basta leggere i testi, in parallelo, di legge elettorale e riforma costituzionale. E non farsi 'imbesuire' dalla retorica frusta del Cambiamento per il Cambiamento.
Per quanto mi riguarda, avendo letto e confrontato a lungo le ragioni del Sì e del No, voterò No: senza tentennamenti.
E - fammi aggiungere, Daniele - che, francamente, fatico a comprendere i tanti (troppi) 'nasiturati' che stanno crescendo all'approssimarsi del voto e che giustificano alla fine il loro sì (dichiarato 'sofferto') con argomenti vari, ma tutti ruotanti attorno al 'meglio che niente'.
Dimenticano che la Costituzione, in vigore dal 1948, non è 'niente', ma 'esiste' e, se mai, ha ancora bisogno di essere pienamente attuata nel suo spirito e nei suoi principi.
Eventuali 'ritocchi' sono sempre possibili (ne sono stati fatti una quarantina in questi anni, proprio ad opera di chi è accusato di non aver fatto nulla), ma uno stravolgimento come questo (47 articoli in una volta sola, con impatto pure sulla prima parte della Costituzione) non è 'meglio'.
Quando si usa dire dire, per giustificare comunque un 'fare', che il 'meglio è nemico del bene', si dice la verità: se il meglio è meglio del presente. Ma se è peggio, è peggio. E uno dovrebbe tenersi il presente.
Lo direbbe anche Jacques de La Palice.