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venerdì 21 ottobre 2016

#MOSQUITO / Parole, da riabilitare (Goffredo Fofi)

Mi capita sempre più spesso, quando parlo in qualche incontro pubblico, di assistere alle reazioni sbalordite di molti ascoltatori di fronte al mio uso - su cui proprio negli ultimi tempi mi capita di insistere provocatoriamente, e che è certamente spregiudicato e rozzo - di parole desuete che esprimono concetti da tutti considerati desueti, anzi morti e sepolti: capitale, imperialismo, alienazione, socialismo, comuni-smo, rivolta, rivoluzione… (...)

Ma torniamo alle prime parole, quelle che suscitano sorpresa, sbalordimento. Il fallimento della storia del comunismo - che ha origine nell’incapacità del genere umano di praticare il giusto e ridurre il peso del “particulare” a vantaggio del comunitario e del collettivo, ma anche nel tradimento che una classe dirigente insediata al potere o cooptata nel potere dalla vittoria della rivoluzione (da rivoluzionari che disprezzavano quasi tutti la coerenza tra i fini e i mezzi) ha fatto delle aspirazioni iniziali alla liberazione degli oppressi e alla costruzione di un ordine sociale più equo, più solidale. 

Dico una banalità: il fatto che la chiesa cattolica sia più cattolica che cristiana (ma c’è una con-sistente minoranza cristiana anche all’interno del mondo cattolico!), non toglie affatto valore al cristianesimo e al suo progetto di redenzione del genere umano. Allo stesso modo, credo, il "bisogno di rivoluzione”, anche se è più urgente in certe epoche che in altre, non è facilmente cancellabile dalla storia e "neanche dal nostro presente". In altri termini: se le parole cambiano di senso, è bene tornare alla loro origine, a ciò che hanno significato storicamente, alla loro necessità. Li si chiami come si vuole, il Capitale esiste ci domina e l’Economia continua a essere alla base di ogni ordine sociale esistente (la sete di potere e la sete di denaro inseparabili, anche quando prevale la prima o la seconda), l’Imperialismo esiste e ci domina, in certe parti in modo più scoperto e crudele che in altre, dell’Alienazione sfido chiunque a dire di non essere prigioniero, nell’epoca che costruisce il suo potere sul consumismo e sulla manipolazione del consenso detta “comunicazione”, del Socialismo non si è mai avuto tanto bisogno come oggi nel quadro di situazioni di disparità allucinanti e dalle conseguenze obbligatoriamente criminali (anche la parola Comunismo ha avuto una dignità enorme, che esisteva ben prima del “comunismo” della Terza Internazionale, ma che è stata svuotata e svilita dai comunisti reali compresi i nostri si ricordi la battuta di Berardinelli: se uno ti dice “sono un comunista”, rispondigli “me lo dimostri”). Eccetera… 

Infine le parole Rivolta e Rivoluzione, intese nella loro essenza come necessità del cambiamento (anche drastico e radicale) a vantaggio della "uguaglianza", della "libertà", della "fraternità" (magnifiche parole se liberate dal loro uso "mieloso", certamente da ridefinire contro ogni loro mistificazione operata dalla storia), segnano una differenza essenziale tra chi "accetta" l’ordine delle cose oggi esistente e se ne fa complice anche quando se ne pensa critico e distante (è il caso di tante minoranze narcise, autoreferenziali, soddisfatte), e chi "non accetta" l’ordine di cose oggi esistente, e opera per la difesa della natura e del futuro: per la liberazione di tutti, secondo la parola d’ordine camusiana del «mi rivolto, dunque siamo». La difficoltà maggiore per ogni mutamento nasce dalla complicità a questo ordine di cose, dalla paura del cambiamento nel mentre che il Capitale, proprio lui, pratica cambiamenti infiniti e radicali a danno nostro e della natura e a vantaggio delle minoranze miliardarie e micidiali, di una classe dirigente avida e irresponsabile. Nasce dalla difficoltà che abbiamo “noi benestanti” a viverci come oppressi quali anche noi siamo, nonostante le finzioni di cui ci nutrono le “pubblicità” di chi comanda. 

*** Goffredo FOFI, 1937, critico letterario, cinematografico e teatrale, saggista, giornalista, Le parole che vanno riabilitate, rubrica ‘La domenica degli italiani’, ‘l’Unità’, 30 maggio 2010



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