Non seguo costantemente la produzione di Charlie Hebdo, ma non ho difficoltà ad ammettere che in genere le sue vignette non mi fanno impazzire. Anzi, alcune proprio non mi piacciono.
Ma di vignette che non mi piacciono trovo a bizzeffe, da sempre, anche sulla stampa italiana. E lo stesso vignettista che di solito apprezzo può (sempre per i miei gusti) avere una caduta di stile. E’ accaduto e continuerà ad accadere.
Dunque, nessuna riverenza a priori verso chi fa satira: rozzezza, volgarità, insulsaggine vanno messe in conto. Ci sono vignette che ne possono grondare. Ma anche articoli, magari pure di firme sedicenti autorevoli. O pubblici discorsi. Per non parlare poi di ciò che circola in rete, ad opera dei tanti 'webeti' (copyright Enrico Mentana) che ormai imperversano.
Nessuno, ovviamente, è esente da giudizio. E qualche volta il giudizio può non essere soltanto personale-soggettivo: ci sono casi in cui stupidità e imbecillità sono talmente evidenti che raggiungono la dimensione dell'oggettività.
E con questo?
Se qualche vignetta non ci piace, abbiamo il diritto di dirlo. Punto.
Ma nel caso di Charlie Hebdo, di cui riportiamo qui sotto le vignette dello scandalo, siamo Charlie Hebdo solo quando ci fa comodo? Sono questi i valori occidentali di cui ci riempiamo la bocca?
Un conto è dire che certe vignette non ci piacciono e un conto è invocare, più o meno esplicitamente, la censura o chiedere le pubbliche scuse ufficiali addirittura del governo francese, riempiendoci la bocca di un'indignazione facile, retorica, patriottarda.
Dovrebbe essere banale ricordare che la satira, per sua natura, occupa (deve occupare) una ‘zona franca’. E vorrà dire qualcosa che, da sempre, ogni regime autoritario la reprime, mettendo in galera chi la fa.
La libertà è cosa seria: se non c’è sempre, non c’è.
Chi fa satira, e tutti quelli che sanno usare ironia, dileggio, scherno, derisione, irrisione, sberleffo, sarcasmo, aggressività provocatoria, ce lo ricordano. Sono un ‘bene comune’, e per questo vanno ringraziati. Soprattutto quando dicono, o disegnano, cose con cui non siamo assolutamente d’accordo.
Direi che, anche da questo punto di vista, viviamo tempi preoccupanti: il tasso di democraticità/libertà presente in Italia sta superando la soglia critica.
Lo dicono i fatti, non i feeling: ad esempio (uno per tutti) troppi media asserviti e giornalisti minacciati, con la relativa classifica dell’Italia al 77^ posto di Reporter Senza Frontiere, dopo Burkina Faso e Bostwana.
E tra i fatti ci metto pure la questione, non secondaria, dell'atteggiamento crescentemente ostile verso la satira.
Ci offendiamo per una vignetta sulla mafia. O perché sono stati insultati i nostri morti.
Non ci sentiamo insultati dalla mafia che in Italia continua a dilagare.
O dalla ignavia di istituzioni che, non mettendo in sicurezza un territorio che da sempre sappiamo sismico, così contribuiscono a produrre morti da terremoto con cadenze quasi regolari.
O da una politica sempre più corrotta, che utilizza anche i terremoti per i propri affari sporchi.
O da politici che da almeno vent’anni, quanto più ripetono che ci mettono la faccia, tanto più ci prendono per i fondelli.
Non consola sapere che anche altrove politica e politici hanno raggiunto certi livelli di bassezza.
Così come non è consolante accettare la definizione di 'postdemocrazia', lanciata qualche anno fa da un famoso politologo britannico (Colin Couch) per qualificare lo stato di regime sociopolitico nel quale ormai molti paesi occidentali si trovano a convivere.
Perché 'dentro' quel 'post' rischia di esserci qualcosa che è sempre più in contrasto con la democrazia.
O che addirittura la nega.
A questo dovremmo pensare.
Altro che manifestare una permalosità che non costa nulla e cerca l'applauso di bandiera, titillando la pancia dell'italico (vuoto) nazionalismo.
*** Massimo Ferrario, Satira, sempre (anche se non ci piace), per Mixtura
Nessun commento:
Posta un commento