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martedì 30 agosto 2016

#QUARTAdiCOPERTINA / "Una casa a Bogotà", di Santiago Gamboa

Santiago GAMBOA, "Una casa a Bogotà"
2014, traduzione di Raul Schenardi
Edizioni e/o, 2016
pagine 171, € 17,00, ebook 9,99

Testo di presentazione dell'Editore - Citazioni scelte da Mixtura

Grazie al denaro di un premio letterario, il filologo protagonista del romanzo può comprarsi una casa a Bogotà nel quartiere della sua infanzia. Orfano dall’età di sei anni (i genitori sono morti in un incendio) vi abiterà con l’anziana zia che l’ha cresciuto e con la quale ha condiviso una vita nomade all’estero, una donna colta e raffinata, ex funzionaria dell’Onu e militante di sinistra. La ricerca di un luogo da sentire come proprio, la nostalgia del passato, il ricordo di viaggi, incontri, scoperte e amori, sono il filo conduttore di una storia che si sviluppa a partire dalla descrizione delle varie stanze della casa, ciascuna dotata della sua speciale magia evocativa. 
Da lì il filologo, guidato dal fido autista, muove alla scoperta degli aspetti più inquietanti della città che non somiglia più a quella della sua adolescenza: covi di drogati, spettacoli di sesso dal vivo, persino una festicciola omoerotica di nazisti. 
Non meno drammatiche sono le rivelazioni che lo attendono in un baule alla morte della zia, e che lo spingeranno sull’orlo del suicidio. Con la sua consueta abilità, Santiago Gamboa costruisce un racconto a tratti intimista e ricco di elementi autobiografici che vede fra i suoi maggiori protagonisti Bogotà, la cittadina provinciale degli anni giovanili e la caotica metropoli odierna.


«
Ma appena feci un passo all’interno, nel vedere i corridoi e la disposizione delle sale sentii che quell’odore e quel silenzio sapevano di me, mi aspettavano, e questa sensazione mi sembrò reale, perché erano stati testimoni a distanza di un’epoca della mia vita che io davo per conclusa, ma che in qualche modo era ancora intrappolata in quelle ombre e in quei labirinti che la ragazza, goffa con il suo enorme mazzo di chiavi in mano, cercava di disfare aprendo persiane, accendendo luci, spalancando finestre per far circolare l’aria e dicendo, mi scusi, dottore, lei sa come sono queste case, restano chiuse e prendono questo odore un po’ triste, vero?, e io dissi, non si preoccupi, me l’immagino, però mi dica, crede che un odore possa essere triste?, e lei, molto sicura di sé, confermò annuendo, be’, certo, dottore, ci sono odori tristi e altri felici, e allora le domandai, e quale sarebbe un odore felice?, e lei rispose come se ci avesse pensato per tutta la vita, o come se stesse leggendo un manuale, lo Chanel n. 5, dottore, non crede?, quello è un odore molto felice, e subito dopo si avviò verso la scala aggiungendo, venga a vedere il secondo piano, se il dottore vuole coniugare abitazione e studio questa è la soluzione ideale, venga, le mostro le stanze di sopra, sono enormi, e io dissi, è proprio quello che sto cercando, quindi salii, stregato dai chiaroscuri, dal lieve scricchiolio del legno sotto i piedi, e poi, mentre entravo nelle varie stanze, sentii che qualcosa dentro di me si svegliava e stirava le braccia, come un animale dormiente riportato allo stato di veglia da un brusco cambiamento. (Santiago Gamboa, "Una casa a Bogotà", Edizioni e/o, 2016)

Il gesto di portarsi un enorme boccale alle labbra e di buttare giù un sorso di quel liquido denso che, in fondo, ci ripugnava, faceva parte di quel rituale. Il rituale della tristezza e del disincanto, poiché intuivamo che in fondo niente di quello che potevamo fare avrebbe avuto senso, e che tutto era perduto già da prima, ma che bisognava affrontare ugualmente la vita e dare battaglia, come una nave priva di luci e di radar che naviga nel cuore della notte e che nessuno attende. 
Quell’immagine della mia giovinezza fu probabilmente l’ultimo momento dignitoso di un’epoca, un’età della vita che dovrebbe prolungarsi e invece è sempre più breve e inquinata, perché, che giovinezza vivono i ragazzi oggi?, che ne sanno loro di quel desiderio di coerenza e purezza, di quella voglia di portare avanti la vita senza per questo corromperla? La verità è che non lo intuiscono neanche, perciò non gli restano che le briciole, al massimo la speranza di essere utili. (Santiago Gamboa, "Una casa a Bogotà", Edizioni e/o, 2016)

«Non lasciarti ingannare da questa post-sinistra rosa, più vicina al metodo Stanislavskij che all’impegno politico. Davanti alla vera sinistra, quella del pugno alzato e della falce e martello, prova orrore e soffre di vertigini, e la teme quanto i suoi nemici naturali, i capitalisti di destra, o forse di più, perché è una sinistra che vince battaglie soltanto ai cocktail e sulle colonne dei giornali; una sinistra zuccherata, fatta di giornalisti imborghesiti e di intellettuali che hanno ereditato grandi fortune senza mai muovere un muscolo. Come se fosse possibile essere di sinistra e portare scarpette di porcellana! A questi tiepidi fanno orrore i veri compagni dalle unghie spezzate e dalle dita forti che hanno l’anima nelle braccia, nei calzoni sporchi di grasso per il lavoro, cresciuti in case prive di elettricità, cibandosi di cavoli cotti su un fuoco di legna; certo, è gente di paese o delle periferie che a volte sbaglia e con i suoi errori crea leggende nere, mentre nessuno rivolge domande alla democrazia, che è un laghetto artificiale per il divertimento della società borghese, qualsiasi cosa faccia, nessuno la giudica né gliene chiede conto, nemmeno se ammette la schiavitù e il crimine o se lascia morire di fame i bambini. Non dimenticare mai, nipote, che davanti alla vera sinistra, e mi riferisco a gente come Fidel o il Che, queste caramelline rosse delle nostre stupide città se la fanno addosso. Il fatto è che la Colombia odierna susciterebbe la perplessità dello stesso Marx, perché qui i poveri sono di destra e la borghesia di sinistra, ma naturalmente di quella sinistra salottiera, dei soldatini di piombo che girano su un tamburello, ti sembra plausibile una mostruosità del genere? Insomma, qualcuno, racconta menzogne o, peggio ancora, prende in giro la storia e la gente, e un po’ anche se stesso». (Santiago Gamboa, "Una casa a Bogotà", Edizioni e/o, 2016)
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