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giovedì 4 agosto 2016

#LIBRI PIACIUTI / Fragili verità, di Bruno Morchio (recensione di M. Ferrario)

Bruno MORCHIO
"Fragili verità"
Garzanti, 2016
pagine 196, € 16,90, € 9.99

Un investigatore, ma non solo
Bacci Pagano è l'investigatore privato di una lunga serie di romanzi polizieschi di successo di Bruno Morchio, un autore genovese che non fa mistero di trarre ispirazione, nella sua attività letteraria, anche dall'esperienza pluriennale di psicologo in un consultorio pubblico.

Ho fatto conoscenza di Morchio e Pagano solo grazie a quest'ultimo libro (Fragili verità) e mi rammarico di non avere incontrato prima sia lo scrittore che il personaggio, perché ambedue meritano attenzione e simpatia. A giudicare dalla quantità dei titoli precedenti, comunque, ben riassunti dalle note di 'quarta di copertina' visibili anche in rete, recuperare il filo della bibliografia precedente richiederà solo di superare l'imbarazzo della scelta.

La storia che vede qui implicato Bacci Pagano è delicata in un duplice senso. 
Intanto perché il caso non è facile da risolvere nei suoi aspetti di sostanza: non basterà infatti ritrovare Giovanni, un adolescente di origine colombiana, con un passato di miseria e di fame forse rimosso ma ancora profondamente sedimentato nell'anima, il quale è scappato di casa perché in duro e rancoroso conflitto con i genitori adottivi, appartenenti alla ricca borghesia di Genova. 
E poi perché il tema di fondo che agita il libro è fragile in sé: come sempre accade per le questioni di disagio esistenziale, quando si tentano ricomposizioni psicologiche a livello individuale e, a maggior ragione, quando sono coinvolte dinamiche intra-familiari con giovani in un'età critica e con un'infanzia drammatica e sofferta come è per la figura qui descritta del giovane. 

Così, una volta ritrovato il ragazzo (cosa che peraltro avviene con rapidità, grazie all'esperienza dell'investigatore e all'aiuto dell'amico, il commissario Pertusiello, ormai in pensione), comincia solo una parte del lavoro di Pagano: indagare su uno spaccio di droga in cui lo stesso Giovanni pare essere coinvolto e cercare di ricostruire il contesto colombiano delle Farc, le forze armate rivoluzionarie, con le quali la storia del giovane si scopre avere una radice dolorosa a causa dell'assassinio del padre naturale, ai suoi tempi diventato un famoso guerrigliero. 

Tuttavia, l'altra parte dell'attività di Pagano, ancora più importante e certo assai più complessa, va ben oltre il suo ruolo specifico. Perché di fatto, senza averlo chiaramente deciso, ma come preso al laccio affettivo dall'evolversi della vicenda del giovane e della famiglia adottiva, l'investigatore si ritrova addosso i panni di 'consulente psicologico': sia verso i genitori (disperati e incapaci di capire cosa sta accadendo e, soprattutto, cosa fare), che verso il giovane (il quale sicuramente nasconde sotto il suo ribellismo aggressivo il disorientamento per non essere riuscito ancora a darsi una identità, sospeso com'è tra passato e presente). 
Se Pagano ce la farà a sgelare la situazione, aprendola a nuovi equilibri, sarà il racconto a farlo capire. Qui si può certamente dire che il supporto fornitogli dall'esperienza dell'autore, in questo caso non in quanto scrittore ma come psicologo, si fa sentire.

Trama a parte, va segnalato lo stile che caratterizza il racconto. 
Direi infatti che il tipo di scrittura che qui si fa particolarmente apprezzare sta nel modo sostanzialmente tranquillo e lineare con cui il libro procede, supportato da un linguaggio semplice ma curato, sempre vivace e mai piatto e convenzionale. L'autore ha costruito una narrazione scandita su capitoli snelli, chiari e conseguenti, che scorrono senza interruzioni, flashback, cambi di scena, divagazioni o intrecci più o meno complicati con altre storie minori. Lo sviluppo c'è, e intriga. Ma colpisce un modo di scrivere, oggi diventato inusuale, che fa maturare il racconto gradualmente, senza affanno, aggiungendo man mano i fatti, pochi ma significativi: senza ingolfare la trama di episodi collaterali, e disseminando la storia, nei momenti 'giusti', di descrizioni colorate (come, ad esempio, quelle che sanno restituire il colore e quasi l'odore dei caruggi genovesi), nonché di mosse e di riflessioni, anche psicologiche, non banali, che aiutano a dare senso a quanto accade e spessore umano ai personaggi.

E' la conferma che se la storia, pur nella sua semplicità, ha una consistenza di per sé capace di incuriosire e attrarre, magari anche in forza di aspetti che, come in questo caso, richiamano fatti in cui è facile identificarsi perché attengono alla complessità, anche sofferta, dell'esistenza e del convivere umano, è possibile mantenere accesa l'attenzione. E senza ricorrere ai fuochi d'artificio dei colpi scena o affidarsi al gioco facile della drammatizzazione, lo scrittore che sa maneggiare con abilità contenuti e forma riesce comunque a coltivare la 'sana' impazienza del lettore nell''inseguire' le pagine alla ricerca della soluzione finale, regalando un piacere e una partecipazione emotiva senza pause: pure con momenti di genuina e commovente empatia anche verso personaggi che, di primo acchito, non sembrano, per la verità, invogliare più di tanto a fare lo sforzo di mettersi nei loro panni.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

https://it.wikipedia.org/wiki/Bruno_Morchio

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Forse mi sta rimproverando, ma avverto nelle sue parole una nota malinconica, il sapore amaro della nostalgia. La pensione non gli ha fatto bene, al mio amico commissario, e per non darlo a vedere si attacca a quanto di più vitale gli è rimasto: la vena polemica e un robusto senso pratico. 
Assaporo un sorso del mio cocktail e lo sento scendere, forte e ghiacciato, in gola e nello stomaco. Ci sono tanti modi per ritrovare sé stessi ma, dopo una giornata torrida come questa, un Negroni preparato a regola d’arte e servito in un gotto appannato dal gelo funziona meglio di qualsiasi altro, specialmente se lo gusti in compagnia d’un bestione che sprizza gioia dagli occhi nel vederti vivo e in buona salute. (Bruno Morchio, "Fragili verità", Garzanti, 2016)

«L’indignazione dei vecchi è sempre sospetta», sentenzia. «E sai perché?» 
«Sono vecchio anch’io, ma dimmelo lo stesso.» 
«Perché puzza di rancido, come la mozzarella andata a male. Quando un vecchio s’indigna non si sa mai se lo fa perché il presente fa schifo, o perché vorrebbe portare indietro le lancette dell’orologio.» Trae un profondo respiro e conclude: «La vecchiaia è una gran brutta bestia. È naturale che la realtà non ci piaccia. Ma, in fin dei conti, è l’età in cui si tirano le somme dell’intera esistenza». 
«Non dirmi che questo mondo ti sta bene così com’è.» 
«Certo che no, Bacci. Ma è quello che abbiamo costruito noi. I soli che hanno il diritto di indignarsi sono i giovani. Peccato che non lo facciano abbastanza.» (Bruno Morchio, "Fragili verità", Garzanti, 2016)

Imbocco il carruggio in ombra di San Bernardo e mi ritrovo in piazza San Giorgio. Le strade sono già tutte un brulicare di gente. Tanti stranieri – soprattutto arabi e africani – che muovono verso via Turati, dove ogni mattina allestiscono un mercatino di ravatti che ha fatto scorrere fiumi di parole sui giornali cittadini e sui social network. È una questione di decoro – parola che mi fa venire l’orticaria – hanno scritto in molti, lo spettacolo della povertà fa scappare i turisti e appanna l’immagine della città. Punti di vista. Quando la povertà non può essere estirpata, bisogna spazzarla sotto il tappeto e renderla invisibile, trattando gli esseri umani alla stregua di acari. (Bruno Morchio, "Fragili verità", Garzanti, 2016)
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