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mercoledì 6 luglio 2016

#LIBRI PREZIOSI / L'alfabeto del leader, di Paolo Iacci (recensione di M. Ferrario)

Paolo IACCI, "L'alfabeto del leader. 
Compendio semiserio per manager colti"
Guerini Next, 2016
pagine 134, € 13,00, ebook € 7,99

Leggero, ma non spensierato
Chi conosce quanto Paolo Iacci va scrivendo da anni, su riviste e in libri, attorno ai temi dell'impresa e delle organizzazioni di lavoro, sa cosa attendersi dai suoi nuovi piccoli saggi, che ormai hanno cadenze di uscita ravvicinate e regolari. 
E ogni volta non si rimane delusi. Per i contenuti: capaci sempre di allargare e approfondire l'ottica, vuoi ritornando con nuove angolature su questioni magari già toccate, vuoi aggiungendo nuovi sguardi e spunti originali alle tematiche aziendali di fondo. E ancor più per il taglio e lo stile di scrittura.

Anche quest'ultimo volumetto, L'alfabeto del leader, non fa eccezione. Poco più di un centinaio di pagine che filano via piacevolmente, senza mai una caduta di interesse, distribuite in capitoletti rapidi e gustosi, aventi ognuno per focus un termine che ha come iniziale una lettera dell'alfabeto, dalla a alla zeta: un 'gioco' per proporre uno stimolo problematico che è occasione per (ri)parlare di management, organizzazione, lavoro, società.

Paolo Iacci conferma qui la sua capacità di trattare con leggerezza problemi complessi, senza cedere a facili semplicismi e stimolando il pensiero di chi legge. 
Una frequente e accattivante aneddotica e, qua e là, guizzi di ironia e di irriverenza sanno indurre nel lettore sorrisi non superficiali e aiutano a meditare su certe utili provocazioni, anche amare, che ci rammentano le troppe carenze della cultura imprenditoriale e organizzativa di oggi e, forse, un pericoloso degrado che dovrebbe preoccuparci. 
Tutto ciò, anche se il tono complessivo resta misuratamente sereno. 
L'autore, infatti, manager di lungo corso in ruoli di responsabilità e da sempre coinvolto nell'associazionismo professionale, è un 'osservatore partecipante' di peso della realtà di impresa, nella quale si è mosso anche in posizioni di leadership: conosce dunque bene, e non nasconde, limiti e ombre del contesto sociale e lavorativo, ma non ha perso lo sguardo 'lungo e largo' che sa vedere anche il positivo, né ha smesso quella fiducia di fondo che è necessaria per cogliere le potenzialità di miglioramento.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

«
(...) l'aria che talvolta si respira nelle nostre imprese, anche di là dalla crisi, è derivante da un estraniamento profondo, da un mancato riconoscimento reciproco tra lavoratore e «istituzione azienda». (...)
Viviamo in una società che ha smesso di credere nella crescita, che ha subito un capovolgimento di attese ed è come rattrappita: l'attendismo è ormai diventato stallo. La gente capisce che è finita l'era del welfare capace di dare tutto a tutti. Sa che si sta entrando in un'epoca di grande selettività. Reagisce con un misto di depressione e di rabbia, ma una rabbia che non produce un propulsivo conflitto sociale. Invece di sbocchi costruttivi, abbiamo così un malessere diffuso, condito di mugugni e velleitarismi. In un momento così delicato la situazione è ulteriormente complicata dalla crisi del meccanismo di formazione delle élite dirigenti e da una sorta di dissociazione tra la testa della società, che appare come impotente, e il corpo sociale, che reagisce con freddezza e crescente distacco. Una base sociale «fredda», disorientata, impaurita, statica, deve essere guidata da una classe dirigente «calda», animata cioè da un grande progetto, da un anelito forte, etico, politico, economico. Così è stato nel nostro dopoguerra e negli anni del boom economico, così purtroppo non è oggi. La crisi accorcia e schiaccia l'orizzonte delle strategie personali. Oggi, a differenza del passato, si è perduta l'idea del futuro. D'altronde, è il futuro stesso, come idea, a essere passato di moda, reso inattuale da un presente infinito. Dalla tendenza irresistibile a guardare indietro, a discutere di un passato che non passa mai. Dobbiamo al contrario recuperare la voglia di guardare avanti. Occorre una classe dirigente, anche nelle nostre imprese, che si prenda la responsabilità del futuro. (Paolo Iacci, "L'alfabeto del leader, Guerini Next, 2016)

L'imprenditoria italiana sta massacrando la fascia dei dirigenti, sempre meno numerosi e sempre più intimoriti. Non sempre però questa si sostituisce con la capacità di esercitarne le medesime funzioni. Stiamo assistendo, tra gli altri fenomeni, anche a una profonda crisi di managerialità. Questa rafforza il senso di estraniamento che si respira tra i lavoratori. Manca il senso del futuro, del progetto, e di una classe dirigente che lo possa prima sognare e poi realizzare. (Paolo Iacci, "L'alfabeto del leader, Guerini Next, 2016)


Il dibattito manageriale sulla resilienza delle organizzazioni sembra sottovalutare che i fattori che contraddistinguono le organizzazioni resilienti sono gli stessi che caratterizzano le strutture che più di altre mostrano di essere in grado di perseguire un ideale eudemonico. Si superano meglio le crisi se non si è soli, ma si hanno legami, sostegni di familiari, amici, rapporti sociali. L'isolamento e la solitudine indeboliscono, il «capitale sociale» rafforza. Bisogna crescere restando capaci di progredire: quest'osservazione riguarda anche certi imprenditori che, al contrario, a un certo punto della loro avventura imprenditoriale si fermano, vivono di rendita, convinti di aver raggiunto il massimo.
Costoro avranno sviluppato uno stile di vita non eudemonico e delle organizzazioni non resilienti. Reagiscono meglio, infatti, quanti sono appassionati alle cose che fanno, mantengono curiosità, entusiasmo, «sense of humour», voglia di studiare e imparare, fanno esercizio fisico e hanno fede. Soprattutto, guardano avanti cercando la soluzione dei problemi senza attardarsi a cercare cause e attribuire colpe: sguardo rivolto al futuro e non al passato. Una ricerca americana condotta su un campione di manager USA mostra che gli «ottimisti» (chiamiamoli così per brevità) hanno soltanto il 20% di probabilità di sviluppare gravi malattie, mentre in coloro che non hanno un senso di «auto-efficacia» (propendono cioè a credere di non potercela fare e aspettano che altri risolvano i loro problemi) questa probabilità sale all'85%. (Paolo Iacci, "L'alfabeto del leader, Guerini Next, 2016)
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In Mixtura le mie recensioni a
* Paolo Iacci, "L'arte di strisciare", Guerini Next, 2015, qui
* Paolo Iacci, "Il teorema del caffè", Guerini, 2014, qui

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