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giovedì 14 aprile 2016

#MOSQUITO / Leadership, purché non sia tossica (Guido Sarchielli)

Anche a livello microsociale, ovvero nei singoli ambienti di lavoro, spesso emerge questa condizione di leadership tossica. Gli psicologici hanno messo in evidenza i tratti significativi della tossicità del comando sottolineando che esso presuppone un ambiente nel quale prevalgono: chiusura delle relazioni, formalismo comunicativo, ambiguità degli obiettivi importanti da raggiungere, incertezza nelle strategie, intolleranza per le diversità delle persone e dei loro punti di vista, insensibilità per le emozioni lavorative, clima di pessimismo, prevalenza del controllo autoritario. Tale ‘terreno di coltura’ fa emergere dirigenti tossici che frustrano colleghi e collaboratori, tendono a paralizzare l’impegno degli altri, a creare danni con la loro insensibilità psicosociale, arroganza e condotta vendicativa. Spesso essi risultano incoerenti nelle loro condotte, sono inaffidabili e tendono a non assumersi le responsabilità connesse con la loro posizione lasciando soli i collaboratori proprio quando servirebbe sostenerli, motivarli, correggerli, guidarli. Mostrano, inoltre, una debole integrità morale essendo mossi da un’eccessiva ambizione di riuscire a raggiungere i propri scopi anche adottando comportamenti machiavellici e non trasparenti.

L’atmosfera di cinismo che accompagna i ruoli dirigenziali, seppure per fortuna non costituisca un tratto comune e automatico della leadership, sembra ormai considerata come un indicatore di patologia organizzativa. Esso ha spinto gli studiosi a ricercare modelli alternativi di leadership e a rivalutare, nella formazione e scelta dei leader, dimensioni valoriali, deontologia, credibilità, passione, fiducia, altruismo e virtù di cittadinanza organizzativa. Infatti, di fronte al managerialismo rampante e agli espedienti amorali adottati spesso da chi riveste posizioni di comando per gestire il proprio potere di posizione, sta emergendo da qualche anno una prospettiva teorico-pratica centrata sulla cosiddetta leadership autentica. Di che si tratta? Ci si riferisce a un processo nel quale le capacità posi-tive e gli standard morali del leader in un contesto organizzativo favorevole convergono nell’innalzare la consapevolezza sia del leader che dei collaboratori.

Un leader è autentico nella misura in cui adotta comportamenti etici, sinceri, genuini ed è sul serio confidente nello scambio con i suoi interlocutori. Si mantiene in cerca di questa autenticità relazionale nel lavoro quotidiano basandosi sulla consapevolezza di sé (dei pregi e dei difetti), su ottimismo e autoefficacia, sull’intenzione di rifiutare strategie opache, sconfinanti nell’ipocrisia, nella doppiezza o nell’inganno e manipolazione, e di promuovere reciprocità, interdipendenza, ascolto e riconoscimento del valore degli altri. Si è potuto osservare che un leader autentico rappresenta un capitale psicosociale per l’organizzazione. Infatti, tende ad aumentare la sua credibilità e la fiducia dei collaboratori, legittimando non solo una loro elevata identificazione con gli obiettivi da raggiungere, ma incentivando sentimenti di partecipazione alla causa comune, coinvolgimento organizzativo e migliori risulta- ti operativi. 

*** Guido SARCHIELLI, psicologo, docente di psicologia del lavoro e dell’organizzazione all’università di Bologna, La leadership tossica. Molti dirigenti… ma quanti leader autentici?, rubrica ‘psicoscopio’, ‘Psicologia contemporanea’, maggio-giugno 2011.

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