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mercoledì 20 aprile 2016

#LIBRI PIACIUTI / "Uomini nudi", di Alice Giménez-Bartlett (recensione di M. Ferrario)

Alice Giménez-Bartlett, "Uomini nudi", 2015, Sellerio, 2016
traduzione di Maria Nicola
pagine 330, € 16,00, ebook € 9,99

Una trama di monologhi a mosaico: originale, stuzzicante, amara
E' una inedita Alice Giménez-Bartlett quella che ci si offre dalle pagine di Uomini nudi, il romanzo premiato nel 2015 in Spagna con il prestigioso Premio Planeta. 

Non è la prima volta che la scrittrice spagnola mette da parte i protagonisti dei suoi raffinati polizieschi (l'ispettrice Pedra Delicado e il viceispettore Fermin Garzón) e si avventura 'in campo aperto', oltre la struttura narrativa rassicurante tipica delle indagini criminali, per cogliere commedie e drammi dell'esistenza umana. 
Ma ciò che stavolta colpisce, oltre la trama, è lo stile davvero originale con cui è tenuto insieme il racconto: un mix di monologhi, alternati a dialoghi, che scavano nelle dinamiche relazionali dei quattro personaggi della storia, fornendo volta a volta al lettore i loro occhi e i loro vissuti nel vivo degli accadimenti, dentro un processo di continua autoanalisi realizzato in presa diretta. 

La vicenda ruota attorno a un quartetto: due donne, Genoveva e Irene, e due uomini, Iván e Javier. 
Le donne sono ricche borghesi di mezza età, con matrimoni rotti alle spalle. Sole, ma ancora attraenti. Insoddisfatte e dedite a quei vizi che i soldi consentono di alimentare per compensare ciò che non si sa essere. Il che significa, sostanzialmente, poter comprare quel che si vuole: dagli abiti firmati agli uomini con cui fare sesso e trascorrere una serata in compagnia. 
I due uomini, ambedue con infanzie amare e famiglie assenti alle spalle, sono appunto tra gli oggetti in vendita.
Iván è un simpatico buzzurro, ignorante ma non stupido, con una 'cultura pratica' rozza, ma a suo modo 'intelligente' e comunque per lui indispensabile come una bussola per chi naviga il mare. Ha scelto senza problemi esistenziali il mestiere di spogliarellista e di escort come strumento per condurre la 'bella vita', fuori dalla routine soffocante delle otto ore di chi è costretto a 'dipendere' e con la libertà, per lui impagabile, di poter spendere e spandere quanto vuole.
Javier era un insegnante precario prima di essere licenziato da una scuola privata finita dentro la crisi economica. Poi, abbandonato dalla donna con cui conviveva anche in seguito alla perdita del lavoro, dopo aver conosciuto Iván e aver stretto con lui un'amicizia ambivalente, a tratti traballante, ma solida e sincera nella sostanza, si è lasciato passo dopo passo scivolare dentro l'ambiente lavorativo dell'amico, fino a ritrovarsi prima stripper e poi anche lui prostituto. Ma è un mestiere che non riesce ad accettare e che non cessa di spaccargli l'anima. E la conoscenza di Irene, avvenuta in occasione di una delle sue tante 'prestazioni' pagate, con l'innamoramento, tra il reale e il fantasticato, che ne consegue, segno comunque di un bisogno di affetto che reclama un'altra vita, sarà la miccia che determinerà una soluzione inattesa.

Fin qui, in estrema sintesi, la presentazione del quadro in cui si sviluppa la vicenda: meno semplice e più originale di quanto appaia, perché i fatti che in dettaglio costruiscono il racconto ci restituiscono uno spaccato lucido e per certi versi inquietante dei tempi attuali: anche nel libro, infatti, come spesso nella realtà, la cifra prevalente della commedia non impedisce di intuire, sotto di essa, il peso del dramma incombente.

Certo, reggere la particolare scelta narrativa, pressoché tutta affidata al susseguirsi dei monologhi introspettivi di ogni componente del quartetto, può essere un'impresa non facile: nel continuo gioco alternato dei vari 'punti di vista' e 'punti di sentimento', infatti, il rischio 'dietro l'angolo' è la perdita di attenzione da parte del lettore, anche per un possibile senso di confusione creato dall'affastellarsi dei diversi mutamenti di ottica psicologica.
Invece, il risultato è tutto l'opposto.
L'abilità eccezionale della scrittrice nel dosare lo scavo dei pensieri e delle emozioni dei quattro personaggi, interrompendo e mescolando le loro voci nei momenti 'giusti', unita a un linguaggio chiaro e mai pesante (colloquiale, brioso, concreto, immediato, a tratti anche divertente) garantisce una tensione costante: il flusso dei fatti, pur nella logica lentezza di un processo che vuole essere mostrato 'in fieri' e che si intreccia 'a mosaico', procede scorrevole e intrigante, senza cadute di tono o attimi di noia.
Non solo: ma con questa modalità, ognuna delle quattro figure viene ricostruita in ogni sfaccettatura, con quella problematicità e con quella complessità di carattere e di anima che fanno di ogni essere umano, appunto, un essere umano.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura
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«Calcola che il lavoro non è altro che un modo per farsi entrare i soldi nelle tasche, fra’, nient’altro. Crederai mica alla favoletta che farti il culo ti dà la dignità e ti rende uomo? Tutte balle. L’unica cosa che ti dà la dignità è avere soldi da spendere. Il tuo problema è che ti hanno tirato su male, tu non vedi le cose come bisogna vederle. La vera sfiga nera sai qual è? È avere un lavoro che ti pagano una miseria. Se sei in quelle condizioni allora sì che ti puoi sparare un colpo in testa. La maggior parte della gente è messa male, fra’. Passano la vita a faticare per un cazzo di stipendio che non gli basta nemmeno per comprarsi i calzini nuovi. È quando sei senza soldi che non hai la dignità, Javier, ti si chiudono tutte le porte in faccia, sei uno schiavo e un morto di fame. Tutti ti trattano peggio di una merda. Quello sì che è un problema brutto, fra’! E non venirmi a dire che ti senti inutile alla società. Ma quale cazzo di società, quella che butta la gente come te in mezzo a una strada? Vallo a raccontare a un altro! Io non ci perderei nemmeno un’ora di sonno a pensare alla società». Pratico, cinico ed esatto come un’equazione. (Alice Giménez-Bartlett, "Uomini nudi"2015, Sellerio, 2016)

E poi, che pesantezza la famiglia, sempre la stessa solfa. Non lo capisco. La gente cambia, no? Si evolve! E invece la famiglia rimane lì, uguale a se stessa. Ripetono sempre le stesse frasi, raccontano sempre le stesse storie, fanno sempre le stesse domande, roba che ormai la sai a memoria. Figli, nipoti e compagnia bella. Sembra che l’unica novità siano gli acciacchi: questo l’hanno operato di ernia del disco, l’altra ha il colesterolo alto... Una barba! Tutte le volte che mi ritrovo in mezzo a loro mi sembra di invecchiare di colpo. Esco dalla festa e zac! Dieci anni di meno. Meno male che c’erano un paio di amici miei e grazie al vino e ai gin tonic siamo riusciti a sopravvivere fino alla fine. Altrimenti me ne tornavo a casa con una depressione da cavallo. A me il parentado, anche preso col contagocce, mette addosso una claustrofobia tremenda. Sembrano quelle figure dei libri che leggevamo da piccoli: papà anatroccolo, mamma anatroccolo e gli anatroccolini dietro. Tutti fatti con lo stampino, tutti così bravini, così scialbini, così normali. (Alice Giménez-Bartlett, "Uomini nudi"2015, Sellerio, 2016)

Se dicono «la mamma è sempre la mamma», qualcosa di vero ci sarà pure. Solo che la mia come mamma era una ciofeca. Anche lei mi avrà voluto bene, ma chissà quando. Forse c’è stato un giorno che mi ha guardato tutta orgogliosa dicendo: «Guarda un po’ questo marmocchio, l’ho fatto io». Ma un giorno e poi basta non vale. Mi ricordo di una volta che un prete mi ha detto: «Devi dire grazie a tua madre che ti ha messo al mondo. È a lei che devi la vita. A lei e a Dio». Ma io ho pensato: se una madre è come una gatta, che ti partorisce e poi ti molla dove capita, di cosa devo dirle grazie? E di Dio poi, non ne parliamo, sempre a starti addosso per darti il castigo se ti comporti male. Ma che vadano tutti a farsi fottere! (Alice Giménez-Bartlett, "Uomini nudi"2015, Sellerio, 2016)
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