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sabato 16 aprile 2016

#FAVOLE & RACCONTI / L'inferno e il cielo (M. Ferrario)

Il Signore della Valle era abituato ad avere tutti ai suoi piedi. 
Ogni suo desiderio, non solo doveva essere esaudito senza eccezioni, ma non poteva essere ritardato. 'Subito' era la parola che più volte ripeteva quando esigeva che gli venisse portato qualcosa. 
E ormai i suoi sudditi avevano capito che le minacce non erano solo minacce. Chi aveva tentato di ritardare l'esecuzione dei suoi ordini era stato trafitto dalla spada che il Signore della Valle portava sempre alla cinta: una spada dalla lama aguzza e affilata, che ogni tanto lui roteava nell'aria a sottolineare che le sue volontà non dovevano essere contrastate.

Un giorno il Signore della Valle decise che avrebbe interrogato il Vecchio Monaco del monastero. Aveva appena ascoltato l'esperto di corte, che gli aveva parlato della differenza tra 'cielo' e 'inferno'. Ma non era rimasto soddisfatto e infatti lo aveva cacciato dal palazzo, togliendogli titolo e onori.
Chiamò il Primo Cortigiano e comandò che gli venisse approntata la scorta che lo avrebbe accompagnato nella salita al monastero. Subito, naturalmente.
Il Primo Cortigiano provvide. Subito. 

E tutti, subito, partirono per il monastero. 

Quando vi arrivarono, dopo aver percorso uno stretto e ripido sentiero in mezzo al bosco, con il Signore della Valle comodamente seduto sulla portantina dorata, il Vecchio Monaco era in meditazione. 
Il fratello portinaio del monastero disse che era impossibile disturbarlo e che avrebbero dovuto attendere almeno sino a metà pomeriggio. 
Ma, naturalmente, il Primo Cortigiano, anticipando la volontà del suo padrone, insistette, spiegando che l'incontro doveva realizzarsi subito: era un ordine del Signore della Valle e, come tutti dovevano sapere, anche al Monastero, nessun ordine suo poteva essere disatteso. 

Il portinaio era deciso a far rispettare la regola del monastero, ma lo stesso Signore della Valle interruppe ogni discussione: sguainò la spada, la avvicinò al collo del portinaio e con la punta fece uscire dalla gola una stilla di sangue. 
«Forse non mi conosci, uomo. Ma io non tollero che vengano frapposti ostacoli a ciò che voglio. Esigo di parlare con il Vecchio Monaco. Subito. Va' da lui e digli che lo aspetto qui, ai miei piedi. Altrimenti la tua gola, che ora ho appena scalfito, proverà il filo della mia lama. E non potrai nasconderti all'interno del monastero, perché io e i miei uomini sfonderemo il portone e ti troveremo». 

Il portinaio non poté che obbedire. 

Passarono non più di cinque minuti: che al Signore della Valle parvero un'eternità. 
Gli uomini erano pronti a violare l'entrata del monastero: attendevano solo l'ordine.
Quando apparve il Vecchio Monaco.

Era visibilmente contrariato, ma non rinunciò al saluto tradizionale, chinando il capo e congiungendo le mani. 
«Non so chi tu sia, signore. Mi hanno detto che hai urgenza di parlarmi e che tutti da queste parti ti chiamano Signore della Valle. Spero tu abbia una ragione ben valida per aver rotto il mio momento di meditazione: forse lo ignori, ma la meditazione è sacra per ogni essere umano che voglia vivere la sua umanità nella Via. Tu, anche per come hai trattato il mio fratello portinaio, mi sembri essere assai lontano dal conoscere sia l'umanità che la Via» 

Il Signore della Valle trasecolò: nessuno aveva mai osato rivolgersi a lui in questo modo. 
«Ti voglio in ginocchio, Vecchio Monaco. Subito. E non ti azzardare più a parlarmi nel modo in cui mi hai appena parlato». 

Il Vecchio Monaco sorrise. 
«Non sono solito obbedire a nessuno, anche perché a nessuno consento di comandarmi. Né credo giusto che un uomo si inginocchi ai piedi di un altro uomo. Ormai da milioni di anni ogni essere umano si è alzato da terra e procede eretto. Questa è ormai la nostra postura e tutti dovremmo ricordarlo: sia chi chiede, sia chi accetta di tradire l'evoluzione e di tornare ominide. Io conosco solo la Via cui inchinarmi. La cerco, con umiltà, pazienza e benevolenza, e mi sforzo di obbedire alle sue leggi. Non altro».

Il Signore della Valle sguainò la spada, pronto a colpire.
«Fingo per ora di non aver sentito le tue parole insultanti. Ti ricordo, monaco, che io ho piena potestà sulle terre e gli uomini di questo paese. Anche il tuo monastero è sotto il mio imperio: lo posso distruggere quando e come voglio. E con questa spada ti trafiggerò all'istante se non otterrò risposta soddisfacente alla domanda che mi ha condotto sin qui. Ti dicono saggio. Dammene dimostrazione. Rispondimi, subito: cos'è l'inferno e cos'è il cielo?». 

Il Vecchio Monaco fissò senza paura la spada che lo puntava. 
Era sereno. 
La sua anima comunicava, con una intensità mite come il sole dei primi giorni di primavera e dura come l'acciaio dell'incudine di un fabbro, un sentimento tranquillo, colmo di pace e di fermezza. 
E un sorriso paziente gli addolciva le labbra. 
«Puoi ammazzarmi, tu che ti credi Signore della Valle. La morte appartiene alla vita. Riguarda tutti. Anche te. Quando ti raggiungerà, non avrai spada per combatterla: la sua spada vincerà. Dunque la tua spada non mi fa paura. E se non mi sottrarrò alla tua domanda, non sarà per obbedire a quanto mi comandi con inutile violenza. Lo farò perché sono solito rispondere sempre, con cortesia, a chi mi interroga. Del resto dire cosa è cielo e cosa è inferno non è difficile».

Il Vecchio Monaco, in silenzio, tenne gli occhi fissi sulla spada puntata su di lui. 
Poi, in maniera lenta e plateale, avvolse con lo sguardo l'intera scorta, soffermandosi in particolare sulle spade degli uomini, pronte per essere estratte e a colpire.

Il Primo Cortigiano, abituato a usare ogni premura verso il padrone e ad assecondarlo nei suoi desideri ancora prima che venissero espressi, era sulle spine.
E non si trattenne:
«Allora, Vecchio Monaco, vuoi rispondere al Signore della Valle?»

Il monaco non lo degnò di uno sguardo.
Lasciò trascorrere volutamente qualche secondo. 
Poi, sempre con calma, fissò direttamente negli occhi il Signore della Valle:
«Vuoi davvero sapere cos'è l'inferno, uomo che ti credi onnipotente? Basta che tu guardi. Se non dentro di te, dove evidentemente, almeno finora, non hai visto nulla, almeno attorno a te. Qui, in questo momento, prova ad avere occhi. Guarda la tua spada che mi stai puntando addosso. Guarda le spade dei tuoi uomini pronte ad essere sfoderate. Guarda tutto questo. La risposta ce l'hai: è facile. E' questo, l'inferno». 

Il Signore della Valle fece un ghigno. 
Stava per reagire, ma non trovò dentro di sé le solite parole sprezzanti con cui di solito rispondeva. 
Fu invaso da una emozione sconosciuta. Strana. Misteriosa. Mai sperimentata.
E improvvisa.
Rimase in piedi, immobile, a rimirare la lama della sua spada, sguainata. 
Poi roteò gli occhi a osservare, come fosse la prima volta che vedeva, ogni singolo uomo della scorta e le loro spade, chiuse nei foderi ma pronte a essere brandite. 
Infine, ributtò gli occhi sulla spada che continuava a impugnare.
Quella con cui troppe volte aveva trafitto sudditi e nemici e che troppe volte aveva dovuto ritrarre dai loro corpi lorda di sangue.
E la vide con occhi nuovi. Colpita proprio in quel momento dai raggi di sole del mezzogiorno che la rendevano scintillante, aveva perso ogni sfavillio: non era che un misero ferro, strumento di morte.
Osservò la sua spada a lungo, nel silenzio prolungato, assoluto, di tutti. 
Era visibilmente provato, scosso, emozionato. 

Il Primo Cortigiano si accorse dello stato del suo padrone. 
Gli si avvicinò, premuroso.
Con un fazzolettino di lino.
Per tergergli le goccioline di sudore che gli stavano imperlando la fronte.
«Qualcosa non va, mio Signore?».
Un gesto di fastidio gli fece capire di allontanarsi.

Il Signore della Valle, per la prima volta nella sua vita, era turbato. 
Immobile. In piedi. 
Con la spada ancora sguainata a un passo dal monaco: che lo fissava, impassibile e tranquillo. 
Guardava il Vecchio Monaco, ma non lo vedeva.
Aveva lo sguardo bloccato, gli occhi spalancati, persino le palpebre si dimenticavano di aprirsi e chiudersi. 
Gli era accaduto di vedere ciò che non aveva mai visto. 
Non era avvenuto subito. Come tutto quello che sempre pretendeva gli accadesse. 
C'era stato bisogno di tempo. Molto tempo.
Anche se furono secondi, furono secondi infiniti.
Come se il tempo si fosse bloccato. Sospeso. E non finisse mai.
Però, a un certo punto, lo vide.
Vide tutto.
Ed era, sì, l'inferno.

Alla fine si scosse, come svegliatosi da un brutto sogno. 
Mosse il capo.
Si passò una mano sulla fronte sudata.
Sbatté più volte le palpebre.
Riprese coscienza di dov'era: il monastero, il Vecchio Monaco, la scorta.
Si rese conto che era lì, in piedi, nel silenzio generale, la spada sempre puntata sul monaco.
Il Primo Cortigiano, visibilmente preoccupato. I suoi uomini fermi, attoniti, che si guardavano l'un l'altro come per capire cosa stesse accadendo.  
Vide se stesso. Vide loro. Vide il Vecchio Monaco: che non aveva smesso di sorridere. Vide, davanti al monastero, il portinaio a cui aveva punto la gola: ancora impaurito e in ansia.
Vide, ma soprattutto, come non gli era mai accaduto, 'sentì' tutto.
E allora, prima, abbassò la spada. 
Poi, come se la spada gli scottasse, e con l'orrore di chi si trovi a impugnare un oggetto disgustoso finitogli non si sa come in mano, gettò l'arma lontano da sé.
Fu un tiro preciso, millimetrico, intenzionale.  
Ai piedi del Vecchio Monaco.

Fu in quel momento che il monaco disse:
«Ecco, questo è il cielo».

*** Massimo Ferrario, L'inferno e il cielo, per Mixtura, 2016, inedito - Rielaborazione creativa di uno spunto raccolto da una famosa e breve favola zen (anche riportata in Jörg Zittlau, Gandhi per i manager. L'altra strada per un successo illuminato e pacifico, 2003 traduzione di Chicca Galli, Ponte alle Grazie, 2015).

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