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giovedì 3 marzo 2016

#SENZA_TAGLI / Diversità culturale, una testimonianza (Marisol Barbara Herreros)

Tra le tante cose Umberto Eco ha detto che uno scrive su quello che conosce, o almeno  così dovrebbe essere. Curzio Maltese ha scritto che Sergio Saviane alcuni anni fa voleva convincerlo a fare causa a Beppe Grillo perché sosteneva che Grillo rubava battute dai loro articoli e le infilava nei suoi spettacoli. Questo per dire che s'impara da tutto e da tutti, ci si ispira, ci si identifica, ci si riconosce, se si ha l'intelligenza e la curiosità sempre pronta ed aperta a raccogliere delle idee che passano ad essere proprie.

E' molto più facile quando sei giovanissimo, e meglio ancora quando sei bambino. In quella epoca della nostra vita siamo una vera e propria spugna e la capacità di apprendere dagli altri e dal mondo che ci circonda è notevole. Non per niente si afferma scientificamente che i primi tre anni della vita di un essere umano sono importantissimi per la formazione dell'individuo. Mano a mano che cresciamo, insieme alla nostra sete di apprendimento crescono le barriere che ci impediscono di guardare al mondo privi di pregiudizi e ci vanno conformando alla società nella quale viviamo.

L'accettazione del mondo altrui, è più facile quando i modi ed i costumi vengono introdotti a piccole dosi, quando il tutto viene inserito in quella che è la cosiddetta normalità di ognuno.
Il medio ambiente ovviamente è il primo a suggerire comportamenti e forme di vita. Se nasciamo e viviamo in Africa è evidentemente molto diverso al nascere e vivere in Olanda, o in Russia, o in Guatemala, o in Italia. Considerazioni di una banalità sconvolgente, che però dimentichiamo completamente quando valutiamo i fatti giorno per giorno.
Essendo io stessa una emigrata, ancora ricordo quando lasciai il mio paese (Cile) a 24 anni e senza sapere che non sarei più tornata a viverci, dunque  so bene di cosa parlo. Avevo vissuto a Londra per un paio di anni studiando.

La prima volta che ho “visto” una società tanto diversa dalla mia, avevo solo 16 anni, quando ho avuto la possibilità di stare in San Salvador, Guatemala e Panama per circa due mesi. Non tanto in termine di tempo, ma in quanto un abisso in termine sociale che mi ha fatto capire, o meglio che mi ha dato la prima scossa, per cominciare a chiedermi il perché di tante cose. La consapevolezza, semmai sia arrivata, è arrivata molto più tardi...
Geograficamente, questi paesi centroamericani non sono così distanti dal mio, ma culturalmente si, in quella epoca lo eravamo. Stiamo parlando di anni nei quali i viaggi non erano alla portata di tutti, erano più lunghi e principalmente i mezzi di comunicazione erano così diversi che era tutto vissuto ad un ritmo diverso, la velocità era decisamente bassa. Internet non esisteva, neanche i cellulari, con tutto che quello significa.
Un bambino di oggi, nasce guardando il mondo a livello globale, nella maggior parte dei casi almeno nel mondo avanzato. Intrinsecamente, voglio dire che hanno una visione più ampia del mondo.

Dopo, è venuta Londra, da Santiago del Cile direttamente alla vecchia Europa negli anni nei quali la città era il centro del mondo a livello di musica pop, moda, e quant'altro. Anche se credo non abbia mai perso totalmente il suo fascino sotto questo punto di vista. Avevo solo 19 anni, dunque la mente rapida ed agile per imparare, guardare, curiosare, sperimentare, al meglio.
E lì ho sentito per la prima volta veramente, lo sguardo dell'altro che ti vede come un diverso, che si interroga a quale gruppo tu appartenga e ti accetta molto più volentieri nel momento nel quale tu cominci a parlare come lui, a vestirti come lui, ad assomigliare molto di più ad uno dei tanti.  Per me, questo non fu difficile essendo bianca, capelli castani, piuttosto normale e senza nessuna caratteristica fisica determinante. Voglio dire, se non parlo, oggi per la strada tutti pensano che sia Italiana perché a forza di vivere a Roma da tanti anni, mi vesto e comporto come una tipica Italiana media. In quella epoca, dopo un po' di mesi nei quali il mio guardaroba si aggiornava con la stessa celerità con la quale parlavo sempre meglio la lingua, passando dalla solita gonna scozzese un po' per bene portata da casa alle minigonne di Mary Quant, comprese le hotpants, e dei lunghi stivali, per la strada potevo passare per una qualunque adolescente europea.

Il fatto di essere visto come uno diverso dal gruppo, di sentire la differenza, ti fa riflettere! Ti fa capire tante cosa che solo con l'esperienza del vissuto o di una gran curiosità puoi solamente capire. E per questo è importante la cultura. Perché leggendo, informandoti, puoi conoscere sempre di più e non è necessario aver vissuto in Africa per mettersi empaticamente nei panni di un bambino che vive e cresce lì, o in qualsiasi altra parte del mondo.

Quando trovo delle persone, poche per la verità, che sono nate e cresciute nella stessa città, nella stessa casa, mi sorprendo molto. E quando la gente del quartiere mi si avvicina amichevolmente credendomi una di loro per parlare male della gente di colore, o dei romeni, o di qualsiasi altro tipo di persona che si vede diversa da “noi”, rispondo sempre molto gentilmente ma altrettanto seccamente di essere extracomunitaria anche io, anche se legalmente non lo sono più da un pezzo avendo il passaporto e cittadinanza Italiana. Ma, è utile per far capire. 

*** Marisol Barbara HERREROS, cilena nazionalizzata italiana, esperta di marketing, caporedattrice di 'caosmanagement', La diversità e la cultura, 'caosmanagement, febbraio 2016, qui


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