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lunedì 21 marzo 2016

#LINK / 'Nativi digitali', contro (Giovanni Boccia Artieri)

La definizione di Marc Prensky ha finito per contrapporre adolescenti e adulti. Traducendosi spesso in un rifiuto a capire. Ma oggi è richiesto un atteggiamento diverso. E radicale. Dobbiamo diventare (tutti quanti) dei cittadini digitali. Il punto di partenza è costruire una narrazione diversa sul rapporto tra genitori e figli nel digitale. Se ne è parlato al festival Famiglia punto zero al Maxxi di Roma

È così. Nel tempo abbiamo costruito una narrazione consolatoria sugli adolescenti e Internet. Quella che ruota attorno alla definizione di “nativi digitali”. A coniare il termine (digital natives) fu Marc Prensky nel 2001 riferendosi agli studenti d’oggi: «Sono tutti “madrelingua” del linguaggio digitale dei computer, videogiochi e Internet».

Ma si tratta di una narrazione generalista, basata su caratteristiche e abilità alle quali gli adulti, definiti per contrapposizione digital immigrants, non accedono. Tutti gli adolescenti sono uguali di fronte al digitale e hanno la medesima competenza liguistica? Niente affatto. È un modo di guardare alle giovani generazioni, ormai entrato nel sentire comune, che in fondo ci deresponsabilizza: “loro ne sanno”, hanno conoscenze e abilità, sono adatti al digitale per nascita. Crea una distanza tra noi (immigrants) e loro (native). E, spesso, in una rinuncia a capire. Cosa che, eventualmente, facciamo con gli occhi degli adulti, concentrandoci su pericoli e limiti.

Forse è venuto il momento di chiederci, piuttosto, che rapporto esiste tra adulti e adolescenti, tra genitori e figli, tra educatori e alunni nel digitale. (...)

*** Giovanni BOCCIA ARTIERI, docente di sociologia dei media digitali e Internet studies all’Università di Urbino Carlo Bo, Contro i nativi digitali, 'pagina99', 20 marzo 2016

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