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mercoledì 24 febbraio 2016

#SPILLI / Barare, sì ma quanto? (M. Ferrario)

(via LinkedIn)

Per la verità non ne avevo bisogno: è stata soltanto una conferma.
Ma ciò non toglie che sia stata spiacevole.

Ho visto l'immagine qui sopra, inserita in LinkedIn da un 'cacciatore di teste', accompagnata da queste righe: «La crisi occupazionale e la conseguente iper-competizione fra i jobseeker ha alzato l'asticella delle "bugie bianche" contenute nei CV per renderli più attraenti. Se siete Candidati quale limite non vi sentite di superare? Se invece siete Recruiter quale siete disponibili ad accettare?».

Sono davvero 'vetero': oltre che per il grigiore tendente al bianco dei capelli, soprattutto per le convinzioni, anche valoriali, da cui mi ritrovo condizionato. 

Dunque: il problema del barare è stato superato. Perché non è (più) un problema.
Cioè: raccontare frottole è comportamento acquisito e accettato. 
Del resto, dobbiamo essere realisti: se vogliamo essere 'vincenti'.

Si mettano (pudicamente?) delle virgolette al verbo barare; si chiamino 'bugie bianche' le panzane; si spruzzino di inglese i jobseeker;  si prenda come giustificazione la crisi economica, e voilà, il gioco è fatto. 
Tutto a posto. Tutto up-to-date.

Il 'politicamente corretto' si è mangiato l'etica. 
E si è eticamente corretti anche essendo scorretti.
Bastano le virgolette. 
E del resto, etica cos'è? Ancora lì siamo? Con queste fissazioni da vecchi moralisti fuori dal mondo?

Superata la soglia dell'ammissibilità del barare, e quindi scontato che barare si può (forse perfino si deve: in attesa della prossima tappa, quando si dirà che è bello), la domanda diventa: ma quanto si può? 
Perché oltre un certo limite, si intuisce, il barare può essere controproducente: l'effetto ti ritorna addosso e non conviene più.
Solo questo è il lato (potenzialmente) negativo del barare: non altro.

Prendo atto del punto cui siamo. 
Non mi strappo i capelli: anche perché sono costretto a tenermi cari i pochi che mi sono rimasti.

Non posso però non pensare, con tenerezza, a chi ama e pratica il vizio del gioco. 
Un vizio, appunto, dicevano una volta.
Ora mi pare una virtù
I bari, al tavolo da gioco, anche oggi restano bari: barano una volta e finiscono fuori dai tavoli da gioco. 
Lì, ieri come oggi, il problema non è quanto hai barato, ma se hai barato.
C'è un'etica, lì. 
Mica sono professional o manager.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

5 commenti:

  1. Caro Massimo
    il problema dell'Etica in azienda è quanto mai vivo e sentito. Da ex selezionatore posso solo dare il consiglio di essere se stessi. Chi mente, lo fa in primis a se stesso e corre il rischio di trovarsi poi nel posto sbagliato

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  2. (1) - Intanto un grazie grosso così per essere intervenuto sul blog...;-)
    Spero ovviamente che questo tuo commento sarà il primo e non l'ultimo.
    (2) - E poi, consenso pieno: dici ciò che penso da una vita. E mi parrebbe così ovvio. Invece...
    (3) - Permettimi solo un dubbio: non sarei così sicuro che il tema dell'etica sia così sentito in azienda. E' sentito da molti. Ma molti non sono necessariamente la maggioranza.
    E del resto viviamo tempi, in azienda e fuori, in cui chi richiama l'etica passa per moralista.
    Siamo come siamo, anche come 'società civile', appunto per questo. E l'impresa non è un segmento isolato dal contesto.

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  3. Inutile dire che sono d'accordo con la tua forma di pensare e mi sento davvero "vetera". Mi spingo un po' più in là e sapendo che Marco Rapetto ha ragione, credo comunque che molta gente si menta in primis a se stessaper giustificare quello che non è proprio giustificabile mai, la mancanza di onestà. Ma, forse onestà è una parola troppo vetera?

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  4. E' la sindrome del ciclismo. Che spazio, che visibilità, che risonanza hanno gli ottimi ciclisti che non si doppano se buoni o meno buoni ciclisti barano doppandosi?
    L'etica è un valore sociale, con confini sociali. La risposta deve essere sistemica.
    Ho rinunciato, dopo trent'anni di esperienza e di competenze acquisite, ad operare nella comunicazione perché una comunicazione corretta, cioè che rifletta i comportamenti, quindi, in un certo qual modo, etica è sostanzialmente impossibile, diciamo una coincidenza rarissima, in particolare se deve farti guadagnare di che vivere. Ed ora, se mi dovessi chiamare, userei il nome di Don Chisciotte.

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  5. Vero, Luca. Tutto vero.
    Ma io non demordo: se andassi in bicicletta non mi doperei o smetterei di andarci. Ma qui la bicicletta è il nostro vivere: non possiamo rinunciarci. E quindi bisogna continuare a pedalare. Resistere: come diceva qualcuno, ripetendolo tre volte. E farlo senza retorica e senza moralismo.
    Io non ho il bene innato e nessuno può dirsi innocente: temo il purismo, che porta al puritanesimo e al fondamentalismo delle inquisizioni. Ma temo anche chi dice, quasi con orgoglio, che siamo tutti puttane (insultando le puttane: che vendono il corpo ma non l'anima, come certi intellettuali e consulenti).
    Non so se ormai chi combatte il malaffare, o la mancanza di etica, è Don Chisciotte.
    Dipende da quanti vogliono ancora combattere. Credo che qui conti la quantità.
    Se saranno sempre meno, saranno Don Chisciotte. Se riusciranno a diventare maggioranza, soprattutto isolando i drogati del vincere e fare affari e truccare la carte, non saranno Don Chisciotte.
    E comunque ripeto cose dette e ridette (ma in cui credo): meglio perdere che perdersi.
    Non è, per me, una frase ad effetto. E non c'è nessun eroismo nel fare ciò che si sente di dover fare.

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