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venerdì 9 ottobre 2015

#RITAGLI / Management Diversity, e over55 (Claudio Storti)

Nel grande dibattito teorico sul Managing Diversity ritengo utile riprendere alcuni dati di base che a volte mi sembra si perdano per strada, correndo il rischio di essere troppo didascalico e sintetico.

Sappiamo che tutti coloro che sono diversi, in quanto, per quanto riguarda le imprese occidentali, non sono uomini, bianchi, sani, eterosessuali e intorno ai quaranta anni, fanno paura. Paura che viene esorcizzata mediante stereotipi volti a dimostrare che sono soggetti meno capaci e, quindi, oggetto di discriminazioni (dirette o indirette). (...)

Tra le numerose esperienze realizzate con Studio DUO (Donne e Uomini nelle Organizzazioni) sulla inclusione e valorizzazione delle differenze vorrei soffermarmi sull’attività svolta nei confronti degli over 55, a partire dalle recenti scoperte delle neurobiologie sui soggetti anziani.
Le discriminazioni relative a tali soggetti partono dal ben documentato declino neurologico e cognitivo che avviene con l’età, anche se è di esperienza comune che molti individui anziani hanno responsabilità professionali ed esecutive di alto livello, conducono multinazionali, raggiungono risultati altissimi nell’ambito della creatività artistica e scientifica e nell’area del comando.

Tutto ciò è possibile in quanto nel cervello anziano avvengono numerose altre cose:
* la memoria (in particolare quella che viene chiamata memoria generica) permette di risolvere in modo attendibile problemi di routine impegnando meno risorse, compresa una minore irrorazione di sangue;
* la capacità di svolgere un compito ben padroneggiato con minori risorse metaboliche è una grande fonte di protezione contro le aggressioni neurologiche al cervello;
* i “modelli” che ci costruiamo negli anni grazie ai ricordi generici permettono di trovare soluzioni rapide a una vasta gamma di problemi. Gli scienziati chiamano questa misteriosa capacità cognitive expertise.

Operando insieme, l’espansione del modello e l’esperienza senza sforzo fanno aumentare la quantità di spazio cerebrale assegnata a compiti cognitivi molto familiari, e fanno diminuire le esigenze metaboliche necessarie per l’efficace espletamento di quei compiti. Le competenze relative all’ambito lavorativo si riflettono nella cosiddetta “conoscenza implicita”, la conoscenza procedurale utile nella soluzione dei problemi quotidiani che si presentano sul posto di lavoro.

Una persona dotata di “saggezza” ha, inoltre, la capacità di riconoscere un numero di modelli insolitamente elevato, ciascuno comprendente una lunga serie di situazioni importanti. In tal modo può prendere decisioni intuitivamente, ossia utilizzando la condensazione di precedenti esperienze analitiche.
Il dono della saggezza è una ricompensa, non un diritto. Bisogna guadagnarselo. E allo stesso modo bisogna lavorare per acquisire competenza. Molto dipende dalle organizzazioni e dalla loro capacità di coinvolgere nei processi di cambiamento. Molto fanno gli stessi dipendenti al di fuori del lavoro: le donne, ad esempio, gestendo le complessità della conciliazione; gli uomini attraverso molteplici hobby dai motori ai modellini di aereo.

Per utilizzare questo dono abbiamo provato a sperimentare alcune politiche gestionali volte a favorire il trasferimento della competenze professionali ma anche organizzative, attivando forme di mentoring; o ancora meglio di reverse mentoring che permette di addestrare al cambiamento giovani e diversamente giovani; in alcune aziende là dove è possibile, facendo lavorare giovani e meno giovani nello stesso ufficio; e ancora mettendo su team misti, anche dal punto di vista generazionale.

L’incontro generazionale permette, inoltre, di valorizzare le diversità degli over 55 insieme a quelle  dei giovani, e qui si aprirebbe un altro tema di gestione delle differenze generazionali.
Per questo pensiamo che il Diversity Management abbia senso se inteso come insieme di politiche di gestione e sviluppo volte alla inclusione ed alla valorizzazione delle differenze e sia di importanza strategica per le imprese perché non è vero che:
* per promuovere la diversità non bisogna pensare a ciò che ci rende diversi; numerosi esperimenti hanno dimostrato che l’inclusione è più efficace nei gruppi dove si è sollecitata l’attenzione alle differenze;
* se sorgono dei problemi per noi c’è poco da fare perché dipendono dal sistema o da persone cariche di pregiudizi; il rapporto con soggetti diversi va vissuto non si risolve solo con regole e norme astratte; tutti vivono le condizioni lavorative nello stesso modo.

*** Claudio STORTI, formatore e consulente, Inclusione e valorizzazione degli over 55, 'Bicocca Training and Development Centre', 6 ottobre 2015

LINK, articolo integrale qui

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