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domenica 20 settembre 2015

#MOSQUITO / Denaro, il generatore simbolico di ogni valore (Umberto Galimberti)

Aristotele, nell'Etica a Nicomaco, scrive che il denaro non può generare ricchezza perché il denaro non è un bene, ma solo il simbolo di un bene. Questa tesi fu ripresa anche da Tommaso d'Aquino che la tradusse con «pecunia non parit pecuniam», in ciò confortato anche dall'indicazione che si legge nel Vangelo di Luca (6, 13) dove è scritto: «Mutuum date nihil inde sperantes»: prestate il denaro senza attendere necessariamente la restituzione. E questo in base al principio della carità cristiana. 
Nel Settecento, con la nascita dei primi trattati di economia di David Ricardo e Adam Smith, si stabilì che il valore di un bene non consiste nella sua capacità di soddisfare un bisogno (valore d'uso), ma nella sua capacità di scambiarsi con altri beni (valore di scambio). Questa capacità viene decisa da due assi cartesiani: la domanda e l'offerta, dal cui incontro dipende il valore di un bene. Il discorso sembra razionale, anzi addirittura matematico, quindi inconfutabile. Anche se Marx, un secolo dopo, considerava che se il denaro diventa la ‘condizione universale’ per soddisfare i bisogni e produrre i beni, allora il denaro non è più un ‘mezzo’, ma il primo ‘fine’, per conseguire il quale, si vedrà se soddisfare i bisogni e in che misura produrre i beni.
A seguito di questo capovolgimento, che i filosofi chiamano ‘eterogenesi dei fini’, il mercato diventa il grande regolatore della vite umane, contro il quale nessuna rivoluzione è possibile perché, come ci ricorda Hegel, la rivoluzione è praticabile quando in conflitto ci sono due volontà: quella del servo e quella del signore, ma il mercato non ha volontà (sono due assi cartesiani, quindi una formula matematica non turbata da alcuna volontà). Il mercato è nessuno, anche se il filosofo Romano Màdera ci ricorda che «Nessuno, come ci ha insegnato Omero, è sempre il nome di qualcuno», ma questo qualcuno non è identificabile. E allora con chi possiamo prendercela? 
Questo Nessuno, che ignora il monito di Aristotele e anche l'indicazione evangelica (le due fonti: grecità e tradizione cristiana che hanno fondato l'Occidente) porterà al suo tramonto la nostra civiltà, e con l'Occidente, probabilmente tutto il mondo in via di occidentalizzazione, perché se il denaro, da valore di scambio, diventa il generatore simbolico di tutti i valori, la vita si contrae e si rattrappisce, perché, come ormai è a tutti evidente, ci sono sempre meno condizioni per vivere.
E siccome la rivoluzione è impossibile, la cultura del denaro come supremo valore diventa pervasiva e non riguarda più solo la finanza, ma anche il comportamento di tanta povera gente che affolla le tabaccherie per acquistare i biglietti delle varie lotterie, o tentare improbabili guadagni alle slot machine. 
Rimedi? Non se ne vedono quando un modello teorico (le regole del mercato) diventa così pervasivo da determinare i comportamenti di ciascuno di noi. Siamo diventati complici. 

*** Umberto GALIMBERTI, 1942, filosofo e psicologo di matrice junghiana, Quando è il denaro  a dare valore alla vita, da ‘risponde Umberto Galimberti’, ‘D’, 1 settembre 2012
https://it.wikipedia.org/wiki/Umberto_Galimberti




In Mixtura i contributi di Umberto Galimberti qui
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2 commenti:

  1. Mi pare fondamentale l’ultima frase. Manca un modello teorico, quindi l’unico rimedio è progettare un nuovo modello teorico di riferimento, un nuovo paradigma, un nuovo modello sviluppo che non sia solo sostenibile ma anche bello e affascinante. Il nostro modello che adesso è in crisi e di cui vediamo tutti i limiti, è stato bello e affascinante (è per questo che ha anche funzionato).
    La cosa positiva è che ci sono tutte le basi e le conoscenze per progettare e costruire un nuovo modello teorico: gli studi sulla complessità, sulle scienze sociali, sull’evoluzione, sulla fisica quantistica creano un modo tutto nuovo di rapportarsi ai problemi e alla loro misurazione, valutazione, controllo, ecc. La cosa deprimente è che troppo spesso si continua a decidere e a progettare in base a conoscenze, vecchie e sorpassate o a stereotipi e pregiudizi ampiamente dimostrati come falsi.

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  2. Caro Stefano, il problema (mi permetto di correggere anche Galimberti) non è una nuova teoria da progettare.
    Sono i valori che abbiamo introiettato. E che ormai si sono impadroniti di noi.
    Con 'questa' cultura (ancor più praticata che teorizzata) non si partorisce nessuna nuova teoria.
    E neppure si riesce a rifiutare l'unica teoria-pratica oggi esistente.
    Forse qualcosa accadrà nel medio lungo periodo. Ma, come diceva qualcuno, nel medio lungo periodo siamo morti tutti. E non solo, purtroppo, chi come me ha una certa età.
    Naturalmente spero (ardentemente) di sbagliarmi.
    Anche egoisticamente, oltre che per senso di soliderietà verso l'umanità in generale: ho tre nipotini che insieme non arrivano a 5 anni...;-)

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