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lunedì 3 agosto 2015

#SENZA_TAGLI / Lavoro, fra vent'anni (Domenico De Masi)

Vaclav Havel diceva che il comunismo ha perso ma il capitalismo non ha vinto perché il comunismo sapeva distribuire la ricchezza ma non la sapeva produrre mentre il capitalismo sa produrre la ricchezza ma non la sa distribuire. In realtà il capitalismo, oltre alla ricchezza, non è capace di distribuire nemmeno il potere, il sapere, le opportunità e le tutele. E soprattutto il lavoro.
Sulla questione lavoro vi è una caparbia resistenza al cambiamento da parte degli economisti, dei giuslavoristi e dei capi del personale.
Queste tre categorie sociali si stanno macchiando di una colpa gravissima perché, inchiodati a interpretazioni e soluzioni obsolete, stanno provocando il collasso d’intere generazioni e, per questa via, finiranno col gettare la società in una conflittualità incontrollabile.

Il Fondo monetario internazionale ha dichiarato che ci vorranno quasi venti anni perché l’occupazione in Italia, (che oggi è pari al 13% in totale e al 42% tra i giovani) possa tornare ai livelli del 2007 (quando era del 6.1% in totale e al 20% tra i giovani). A prescindere dal fatto che Keynes avrebbe considerato insostenibile anche una disoccupazione del 6,1% e che solo la nostra endemica incapacità di creare posti di lavoro ci ha cinicamente assuefatti a masse così scandalose di disoccupati, ma chi ci garantisce che, entro il prossimo ventennio, saremo capaci di creare i 932.000 posti in più che ci riporterebbero alla situazione (comunque insoddisfacente) del 2007?

Economisti, giuslavoristi e capi del personale si ostinano a sottovalutare la variabile tecnologica, sempre più labour saving, per cui produrremo beni e servizi in quantità sempre maggiore con impiego sempre minore di lavoro umano esecutivo. Questa liberazione dal lavoro esecutivo non è una disgrazia ma una conquista di civiltà: è lo sbocco naturale della millenaria lotta dell’uomo contro il dolore, la miseria e la fatica. Può risolversi fisiologicamente nella ridistribuzione del lavoro in modo che tutti i lavoratori esecutivi abbiano più tempo libero; o può risolversi nell’assurdo modo attuale, privilegiato dagli economisti, dai lavoristi e dal capi del personale, per cui il padre lavora dieci ore al giorno e suo figlio resta completamente disoccupato. Invece si potrebbero rapidamente riassorbire gli attuali 4 milioni di disoccupati se solo si riducesse la settimana lavorativa da 40 a 36 ore.

Il Fondo Monetario Internazionale, in sintonia con il nostro Governo, affida la soluzione del problema a una fantomatica crescita e a riforme strutturali collegate solo lontanamente con il problema occupazionale. Ma insiste soprattutto sull’esigenza di incrementare la produttività, cadendo in un ossimoro che non perdoneremmo neppure al più stupido dei nostri esaminandi. Aumentare la produttività significa produrre più cose con meno apporto umano. Dunque consentirebbe di ridurre l’orario, non certo di creare nuovi posti di lavoro.

Un’ultima riflessione. Già oggi in Italia gli under 19 inattivi sono due milioni. Creare un’intera lost generation esclusa dal lavoro significa commettere una colpa mortale che non resterebbe impunita. Costringere alla disoccupazione un’intera generazione significa innescare la più micidiale bomba a orologeria, destinata a deflagrare o in un cruento conflitto sociale o in una società inebetita dall’inerzia.

*** Domenico DE MASI, sociologo e saggista, Fra vent'anni, 'Linkedin.com/pulse', 30 luglio 2015, qui

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