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lunedì 17 agosto 2015

#LIBRI PIACIUTI / Il Vicolo della Polvere Rossa, di Qiu Xialong (recensione di M. Ferrario)

Qiu XIALONG, Il Vicolo della Polvere Rossa, 2010, Marsilio, 2013
traduzione di Fabio Zucchella
pagine 206, € 16,50, ebook 7,99

Libro di qualche anno fa (2010), questo di Qiu Xialong, che merita di non essere dimenticato. E non solo perché costituisce una felice 'divagazione' rispetto alle trame consuete dell'autore: un cinese espatriato negli Usa all'epoca del drammatici incidenti di Tienanmen, noto soprattutto per la serie di polizieschi di cui protagonista è l'ispettore Chen Cao. Ma perché il  tessuto della narrazione, stavolta, intreccia, in modo aperto e solare, una vicenda collettiva priva di enigmi, ma altrettanto seducente.

In questo romanzo, di fatto un insieme di racconti che hanno come motivo di raccordo il vicolo della Polvere Rossa di Shangai e come personaggi i suoi variegati e coloriti abitanti, se mancano il mistero e l'indagine, abbondano però i piccoli episodi, 'gustosi', che toccano il 'popolino' cinese e richiamano la storia della Cina, dalla presa del potere del partito comunista nel 1949 fino a questi ultimi anni, in cui il socialismo (o ciò che così ancora si vuole chiamare) si mescola con i nuovi valori di ricchezza, anche sfacciata, di un capitalismo camuffato, ma arrembante. 
I residenti del Vicolo hanno l'abitudine, la sera, di ritrovarsi in strada per una conversazione allargata a tutti e qualunque fatto, appena accaduto o rievocato dal passato, diventa spunto per un racconto. Ogni racconto un breve capitolo. E ogni capitolo, preceduto da un veloce inquadramento degli avvenimenti storici, accaduti anno dopo anno, nella grande vicenda del comunismo cinese, descrive, con tocchi precisi e affettuosa complicità, alcune figure che in qualche modo fanno parte del Vicolo o vi hanno avuto a che fare. Si tratta di personaggi 'piccoli' rispetto alla grande Cina,  ma 'grandi' e fondamentali per il Vicolo: e che comunque raccontano della Cina, rispecchiandola, meglio di qualunque saggio di storia e politica. 

Sono davvero tante le figure che rimangono impresse. Ad esempio, l'operaio-poeta: prima 'inventato' e portato alla fama dalla propaganda maoista cui serviva un cantore della classe proletaria e poi, quando muta il vento politico e da una fazione si passa all'altra, dimenticato e addirittura ostracizzato. Oppure l'infermiera partita per la guerra di Crimea: prima onorata come eroina e poi indicata come possibile traditrice e segnata come oggetto di vergogna da tutti gli abitanti del Vicolo. O, ancora, il vecchio direttore di una fabbrica statale: comunista indefesso della prima ora, mai toccato dal dubbio pure quando verrà messo al bando per uno dei soliti cambi di politica, e con un figlio che ha imparato l'arte del fare (e arraffare) soldi, senza remore morali e ricorrendo anche alla corruzione, secondo la moda degli ultimi anni.

Colpisce lo stile colorato, metaforico, decisamente 'orientale' («Fei era disperato come una formica che corre su un 'wok' sul fuoco»; «come dice Confucio, il tempo scorre come l’acqua. E i ricordi vengono a galla come alghe soffocanti»). E affascina il modo ampio, placido, paziente, ma puntuale e sempre accurato di narrare e descrivere, con quel sentimento di simpateticità verso i personaggi che non cede anche quando l'autore fa emergere, con puntualità penetrante, i tratti più gretti e meschini.
Insomma. Un affresco, allo stesso tempo caldo e lucido, che fotografa, con pennellate impressive, sessant'anni di storia di un Paese tuttora protagonista della storia del mondo: mai guardato dall'alto, attraverso l'obiettivo di un grandangolare che abbraccia, ma rimpicciolisce, bensì ricostruito dal basso, con lo zoom gettato sui dettagli di tanta umanità spicciola e proprio per questo quanto mai 'vera'.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

«
In Cina le cose erano cambiate, come una palla multicolore che un giocoliere fa passare da una mano all’altra. Adesso la gente traeva dei benefici dal fatto di provenire da una famiglia ex nera, tanto che alcuni vennero risarciti per le perdite subite durante la Rivoluzione Culturale. Altri riuscirono a ristabilire i contatti con i parenti d’oltremare, il che significò una ragguardevole quantità di denaro dall’estero. Anche Grande Ciotola aveva uno “zio ricco” negli Stati Uniti. Era difficile capire cosa Qian vedesse in lui, ma non cosa Grande Ciotola vedesse in lei, perché era proprio carina. Si spinse addirittura a presentarla ai vicini. 
Durante il secondo anno della loro relazione, i ragazzi iniziarono a parlare di matrimonio, ma Bacchetta di Bambù cominciò a lamentarsi nel vicolo. «La famiglia di Qian non ha nulla. Sono proprio dei proletari rivoluzionari. Dobbiamo essere pronti a tutto.» 
Si diceva che neppure la famiglia di Qian fosse contenta. A parte il problema delle origini di quegli altri, dov’era la camera nuziale dei ragazzi? La famiglia di Grande Ciotola era sempre stipata nel bilocale. Nella migliore delle ipotesi, la giovane coppia avrebbe dovuto occupare una delle due stanze. 
«Sposarsi con una famiglia di capitalisti» disse in tono ammonitorio Vecchio Qian alla ragazza, «è come sentire il profumo del pesce senza però mangiarne la polpa.» 
«C’è gente che proprio non riesce a resistere a quel profumo!» affermò Bacchetta di Bambù all’ingresso del vicolo, pestando il piede come un personaggio di un balletto. (Qiu Xiaolong, Il Vicolo della Polvere Rossa, Marsilio, 2013)

Dopo il 1949, nel nuovo sistema di classi socialista suo nonno era stato inquadrato come lavoratore, e così suo padre. Negli anni settanta, quando Dong era piccolo, questa tradizione proletaria significava ancora parecchio. Dong stesso diventò una Piccola Guardia Rossa, un membro della Lega Giovanile Comunista e, in seguito, un tecnico delle telecomunicazioni di Shanghai con un lavoro ben retribuito in un’azienda statale: una ciotola di riso di ferro. 
Era un termine che derivava appunto dall’antica tradizione cinese di mangiare il riso in una ciotola, anche se non sempre i cinesi erano stati in grado di nutrirsi. Quando qualcuno perdeva il lavoro, spesso si diceva metaforicamente che aveva perduto o rotto la sua ciotola di riso. Dopo il 1949, quando venne istituito il sistema delle aziende statali, i lavoratori non venivano mai licenziati – indipendentemente dalla loro produttività – fino alla pensione, che dava diritto anche all’assistenza sanitaria. Tutto ciò veniva considerato come una conquista del sistema socialista, e definito “una ciotola di riso di ferro”, nel senso che era dato per scontato, come una ciotola di ferro che appunto non si rompe mai. 
Nel corso della riforma economica di metà anni ottanta, quando la gente iniziava ad avere attività commerciali in proprio, chi aveva una ciotola di riso di ferro non aveva preoccupazioni. La possibilità che questi nuovi “imprenditori” potessero guadagnare qualcosa di più non era nulla, in confronto a tutti i benefici della ciotola di riso di ferro. Inoltre, nessuno poteva sapere se in Cina queste novità avrebbero funzionato. (Qiu Xiaolong, Il Vicolo della Polvere Rossa, Marsilio, 2013)

Quando Xue arrivò a Shanghai, come da copione firmò un accordo con l’amministrazione per una joint-venture nel distretto di Huangpu. Ciò avrebbe creato almeno duecento nuovi posti di lavoro. Fece anche una consistente donazione alla scuola elementare che aveva frequentato. In cambio, la scuola rinominò in suo onore la biblioteca, che prese il nome di Biblioteca Zhiming. 
Il culmine della visita di Xue sarebbe stato in Vicolo della Polvere Rossa. Si presentò con un gran numero di buste rosse nella sua ventiquattrore. Per la gente del vicolo, si disse. 
Il comitato di quartiere suggerì un banchetto al ristorante Xinya, ma Xue insistette per un ristorantino in Fujian Lu, vicino all’ingresso laterale del vicolo. La cosa non era poi così sorprendente. Doveva averne abbastanza di ristoranti a cinque stelle. 
«È il vicolo dei miei sogni» disse Xue, mentre il vino si increspava nella sua coppa. 
«Sì, è il tuo vicolo, ma non soltanto quello, è anche la tua terra» disse il compagno Jun sollevando la coppa. «Siamo tutti orgogliosi di te, Xue.» 
«Non è nulla, come dice un antico detto cinese» fece Xue. «Alla fine una foglia cade sulle sue radici.» (Qiu Xiaolong, Il Vicolo della Polvere Rossa, Marsilio, 2013)
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