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domenica 16 agosto 2015

#LIBRI PIACIUTI / Il pensionante, di Georges Simenon (recensione di M. Ferrario)

Georges SIMENON, Il pensionante, 1934, Adelphi, 2015
traduzione di Laura Frausin Guarino
pagine 167, € 18,00, formato ebook € 9,99

Uno dei tanti romanzi brevi di Simenon: uno degli infiniti gioielli che fanno da contorno alla serie degli ineguagliabili Maigret. 

Cambiano le trame, restano stile e atmosfera: la cura minuziosa dei dettagli; il racconto banale e rilassato, ma anche per questo avvincente, della quotidianità; il colore in bianco-nero che fotografa, talvolta con nitore preciso e talaltra con sfumature distratte, città, campagne, esseri umani. Il tutto avvolto da una tonalità che, quando non è di mistero, è comunque, spesso, di stravaganza: in molti casi grigia, addirittura cupa. 
E' come se l'autore ti invitasse a entrare in un film di anni fa: tu, ormai conoscendo la sua bravura, compri a scatola chiusa, non sai se attratto più dalle storie o dal clima che sei sicuro di ritrovare; ti accomodi in poltrona e ti accingi a goderti un fotogramma dopo l'altro. Anche quando succede poco o nulla, ti senti preso dallo scorrere lento della pellicola: ti ci abbandoni e i personaggi smettono di essere di celluloide (in questo caso, di carta) e te li 'senti' accanto, corporei e vivi: in genere con quei loro vizi ordinari, grevi, foschi, sgradevoli, che spesso portano anche all'omicidio.

Come in questa storia di un pensionante bizzarro, Élie Nagéar, di cui si sa praticamente tutto sin dall'inizio. Prima di finire nascosto nella pensione, che è il luogo principale della vicenda, ha ucciso per soldi un olandese su un treno con una chiave inglese appena comprata: un gesto intenzionale, certo, ma in fondo neppure tanto meditato, quasi più accaduto che pianificato. L'assassinio non gli frutterà nulla, il denaro finirà bruciato, le indagini (peraltro 'lontane', e come indipendenti, dal cuore del romanzo) produrranno uno scioglimento scontato, a parte il guizzo finale su un personaggio non secondario. 

Il racconto ruota sulla pensione e sulle figure che la abitano e che si trovano, senza volerlo, invischiate nella vicenda: l'affittacamere, soprattutto, che cede ad una relazione quasi materna con lo strano uomo che gli è capitato in casa; le due figlie dell'affittacamere, e in particolare Sylvie, l''entreneuse' e provvisoria amante di Élie Nagéar, che gli ha suggerito il nascondiglio dalla madre; gli altri (pochi) pensionanti, stranieri e studenti, indaffarati a combattere contro il freddo delle stanze e i soldi della pigione che faticano a racimolare. 
La pensione diventa, per  Élie Nagéar, la dolce prigione volontaria da cui si rifiuta di scappare: anche contro l'evidenza del procedere degli eventi che lo spingerebbero a fuggire, lui resterà sempre più imbozzolato tra l'intimità della sua camera e lo spazio comune della cucina, in cui, da privilegiato, continuerà a consumare i suoi pasti preparatigli con occhio di riguardo dalla vecchia affittacamere.

Poco più di due ore per una lettura indolente, che però non infiacchisce, anzi alimenta, la voglia di procedere e di arrivare in fondo. E ti fa gustare, ancora una volta, la sapienza narrativa di Simenon.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

«
Aveva incontrato Sylvie a bordo della Théophile Gautier due settimane prima. Lei tornava dal Cairo, dove probabilmente aveva fatto l’entraîneuse in un locale notturno; lui andava da Istanbul a Bruxelles per cercar di concludere un affare: doveva vendere certi tappeti, del valore di un milione, che erano fermi alla dogana. 
I tappeti non erano suoi. Quell’affare si trascinava da mesi, e se n’erano occupati venti intermediari, a Pera, ad Atene e persino a Parigi, tanto che non si sapeva più di preciso a chi appartenesse la merce e quale fosse la parte di ciascuno. 
Élie Nagéar si era fatto avanti sostenendo di avere delle conoscenze a Bruxelles, e si era mostrato così convincente da ottenere un anticipo sulla sua commissione. 
L’accordo era che se avesse venduto i tappeti, gli sarebbero spettati duecentomila franchi! 
Sylvie viaggiava in seconda classe. Fin dal primo giorno aveva avuto intorno quattro o cinque uomini e la sera restava sul ponte fino alle due o le tre del mattino. (Georges Simenon, Il pensionante, 1934, Adelphi, 2015, traduzione di Laura Frausin Guarino)

«Papà rientra?». 
«Non prima di sera. Fa il turno sul treno per Ostenda. Lo aspetterai, vero?». 
«Oggi no. Ma ritornerò». 
La madre la squadrava, diffidente. La sorella, seduta su una sedia, con la gonna rialzata sulle cosce magre, si provava le calze nuove. C’era un odore di minestra, un borbottio regolare di acqua che bolle, di stufa che tira bene. 
«Hai tutte le camere occupate?». 
«Non hai visto il cartello? Ce n’è una libera, quella del pianterreno, la più cara, naturalmente. In questo momento i forestieri sono al verde. Prendi il signor Moïse: viene a studiare in cucina per risparmiare il carbone! Prepara la tavola, Antoinette. Mangeremo prima che tornino i pensionanti...». 
«Fai anche pensione completa?». 
«Ce ne sono due che mangiano a mezzogiorno. Gli altri mi chiedono dell’acqua calda per farsi il caffè o cuocersi delle uova e riducono la camera che è uno schifo...». 
La signora Baron era tarchiata, con il sedere basso. Antoinette, meno alta e più minuta della sorella, aveva lineamenti irregolari e occhi chiari sempre ridenti. (Georges Simenon, Il pensionante, 1934, Adelphi, 2015, traduzione di Laura Frausin Guarino)

Non ci fu un momento esatto in cui decise. No! Tirò qualche boccata dalla sigaretta. Il fumo aveva un sapore particolare, quello che sentiva quando era raffreddato. Lanciò una rapida occhiata alle tende che lo separavano dal corridoio. 
La chiave inglese aveva assunto la temperatura della sua mano. Il treno correva a tutta velocità nella campagna. Senza neppure alzarsi del tutto, ancora seduto sul bordo della cuccetta, Élie alzò l’attrezzo, lo tenne un attimo sospeso, il tempo di prendere di mira il centro del cranio, e colpì con tutte le sue forze. 
Successe allora qualcosa di così inaspettato che per poco Élie non scoppiò in una risata nervosa. Le palpebre di Van der Coso si alzarono lentamente. Apparvero le pupille. E nella luce azzurrina balenò uno sguardo stupito, semplicemente lo sguardo di un uomo che si chiede perché lo abbiano svegliato. Eppure un rivolo di sangue, facendosi strada fra i capelli, già raggiungeva la fronte! 
Cercò di muoversi, per vedere cosa stava succedendo. Élie colpì di nuovo, due volte, tre volte, dieci volte, tanto gli facevano rabbia quegli occhi attoniti e calmi che lo fissavano. 
Si fermò solo perché era senza fiato, non ne poteva più. La chiave inglese gli sfuggì dalle mani sudate. Si sedette, girato verso il finestrino, e riprese a respirare normalmente. Nello stesso tempo stava con l’orecchio teso, con tutti i nervi tesi. C’era ancora un altro respiro, oltre al suo, nello scompartimento? Sperava di no. Non aveva voglia di ricominciare. Gli faceva male il polso. (Georges Simenon, Il pensionante, 1934, Adelphi, 2015, traduzione di Laura Frausin Guarino)
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