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sabato 15 agosto 2015

#FAVOLE & RACCONTI / Circolo vizioso (M. Ferrario)

Una signora di almeno una settantina d'anni è seduta in aeroporto, nella saletta di attesa del gate. Sta aspettando la chiamata del volo per Tel Aviv. Ha appena concluso una settimana in Italia: ci mancava da anni e aveva desiderio di rivedere i parenti.
Accanto a lei si è appena accomodato un giovane. Alto, biondo, occhi azzurri. E' intento a leggere un quotidiano: sul sedile in mezzo a loro, una ventiquattrore e una borsa per il computer. Vicino, il solito trolley.
La signora fissa l'uomo da almeno cinque minuti.
Lui se ne è accorto: ha alzato il viso dal giornale, sorridendole con gentilezza, ma anche mandandole un implicito messaggio interrogativo. Poi si è rituffato a leggere.

La signora non resiste.
«Scusi se la disturbo, ma anche lei è sul volo per Tel Aviv?».
L'uomo, gentile, interrompe la lettura e conferma: ha un accento straniero. In effetti, non era così scontato: dispersi tra le varie poltroncine, altre persone guardano i monitor per altre destinazioni di gate vicini

La donna anziana, confortata dalla disponibilità del giovane, azzarda: «Sbaglio o lei viene dal NordEuropa?».
Il giovane annuisce: «Sì, ha indovinato: sono svedese. Forse si vede dal fisico...».
La signora ormai non si trattiene. E anche incoraggiata dal fatto che l'uomo sta ripiegando il giornale, dà inizio a un breve scambio.
«Be' sì, il fisico in genere non mente. Però sento che lei parla un italiano perfetto...»
«Grazie, signora, lei è troppo gentile. So che il mio accento è terribile, ma insomma cerco di farmi capire».
«Ci riesce benissimo, lasci che glielo dica. Io invece sono italiana. Ma ormai da anni abito in Israele perché sono ebrea. Sono stata qui in Italia per trovare i parenti». 
Fa un attimo di pausa.
Poi riprende: «E magari è ebreo anche lei, vero?».

All'altoparlante viene annunciato l'imbarco. Il giovane si è alzato e si è messo a tracolla il computer, mentre la donna continua a stare seduta. 
«Dobbiamo andare, mi pare. Lei non viene?»
«Sì sì certo, sa io sono di sicuro meno pratica di lei di aerei e quindi, se non le dispiace, la prendo come guida da qui all'imbarco. Si vede che lei è un uomo d'affari abituato a viaggiare...».

Il giovane ha capito: ormai non può sfuggirle.
«Sì, direi che sono tra quelli che possono vantare il record delle miglia di volo per viaggi internazionali... ».
Fa una pausa. Poi, si accorge di non aver completato la risposta.
«Comunque, lei prima mi chiedeva... no, non  sono ebreo.»

La signora e il giovane consegnano insieme le loro carte di imbarco alla hostess. Al giovane cade l'occhio sul numero del sedile assegnato alla donna: è vicino al suo. Manda un pensiero poco benevolente al destino, ma decide di contrapporgli la tattica usata molte volte: la lettura ineludibile di carte urgenti per l'appuntamento previsto appena sbarcato.

Solito saluto di benvenuto delle hostess all'imbocco dell'aereo.
Corridoio, sistemazione dei bagagli a mano (e il giovane naturalmente provvede a collocare sopra e sotto i sedili la valigia e la borsa della donna), cinture allacciate in attesa della partenza.
L'uomo estrae subito un po' di documenti dalla ventiquattrore.

La donna si è abbandonata nella poltrona accanto all'uomo.
Trascorrono alcuni minuti.
Il comandante annuncia che stanno per decollare.
La vecchia chiude gli occhi finché l'aereo non si è alzato definitivamente dal suolo.
Li riapre solo quando è sicura che il volo si è stabilizzato.

«Che dice, ormai possiamo slacciarci le cinture?»
L'uomo lascia passare qualche secondo concentrato sulle carte, come per comunicare la sua indisponibilità a conversare; poi controlla il messaggio luminoso e glielo indica col dito.
«Sì, pare di sì...».
E si riconcentra, in modo plateale, nello studio dei documenti.

Ma lei non demorde.
Con aria complice, gli tocca il braccio e gli sussurra: «Sa, a me può dirlo.»
L'uomo ha la mente su certi grafici. Non capisce.
«Cosa, scusi?».
«Che lei è ebreo». 
Lui ha un attimo di sconcerto. Una fissazione, pensa. Si sforza di sorridere: «Certo, signora, glielo direi se lo fossi. Ma non lo sono.»
Tuttavia lei sembra non aver ascoltato. Segue i suoi pensieri e riprende a voce alta, determinata:
«Perché, sa, come le dicevo prima, io sono ebrea e lo so che viviamo tempi in cui occorre stare attenti, ma non bisogna avere paura di dire ciò che si è: se si è ebrei, lo si dice. Io sono del parere che non sta mai bene camuffarsi. Anche se, purtroppo, sapendo cosa è accaduto in passato... sì insomma, c'è pure da capire chi ha ancora qualche timore...».

Il giovane comincia a infastidirsi, ma si impone di restare calmo e cortese. 
«Signora, mi scusi, ma ora, se permette, avrei da prepararmi per la riunione che mi aspetta a Tel Aviv. Le ho già detto e glielo ripeto: non sono ebreo. Se lo fossi non avrei nessuna difficoltà a dirlo. Ma non lo sono. Tuttavia, se vuole che le dica che sono ebreo, allora ok, glielo dico: sono ebreo.»

La signora si illumina. Inforca gli occhiali e si drizza, impettita, nella poltrona: in modo da poter fissare meglio il giovane al suo fianco. 
Lo guarda a lungo.

L'uomo cerca di far finta di nulla.
Poi cede: vuole continuare a mostrarsi educato, ma la voce gli esce un po' alterata. Contraccambiando lo sguardo della donna, domanda: «C'è qualche cosa che non va?»
La vecchia sorride, tranquilla. 
«No, assolutamente».
Scuote solo un po' la testa. 
Il giovane se ne accorge e teme di essere stato troppo brusco.
«Signora, se ho detto qualcosa che l'ha disturbata, mi scusi...»
Lei lo tranquillizza. 
«No no, per carità... E' che, anche a guardarla bene, proprio non si direbbe che lei sia ebreo».

*** Massimo Ferrario, per Mixtura. Riscrittura di un testo anonimo.

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