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venerdì 24 luglio 2015

#LIBRI PIACIUTI / La cura Schopenhauer, di Irvin Yalom (recensione di M. Ferrario)

Irvin D. YALOM, La cura Schopenhauer, Neri Pozza, 2005
traduzione di Serena Prina
pagine 479, € 13.50, formato book € 8.99

La scoperta improvvisa di una macchia nera sulla pelle; una biopsia e il responso che non lascia scampo: melanoma maligno, poco più di un anno di vita. 
Anche uno psicoterapeuta sessantenne navigato come Julius, il protagonista di questo romanzo, professionalmente attrezzato e psicologicamente equilibrato, non può non accusare il colpo. E infatti all'inizio barcolla, tra una crisi di angoscia e l'altra. Poi, proprio grazie agli strumenti acquisiti con la professione e alla solidità di una visione della vita maturata negli anni, decide di proseguire l'attività di terapeuta. E il gruppo di pazienti che sta conducendo diventa, anche per lui, una terapia, mentre lui diventa, per tutti, un esempio 'sul campo' di come si può affrontare la morte vivendo fino in fondo la vita. La storia raccoglie il film di queste dinamiche: descritte con partecipazione, puntualità ed efficacia, nei dettagli delle diverse sedute. 

L'autore, un esperto e famoso psichiatra statunitense, si trova ovviamente a suo agio nel restituirci trama e atmosfera di un gruppo in terapia e il lettore ha modo di vivere, sia pure come silenzioso osservatore, quasi fosse seduto in cerchio con gli altri sette pazienti, cosa significa relazionarsi in una situazione di intenso confronto: aprirsi, dare e ricevere feedback, scontrarsi, comunicare emozioni e sentimenti, fare i conti con  la ricerca di una maggiore autenticità di se stessi e degli altri, trovare un equilibrio più consapevole superando i propri personali problemi di sofferenza. 

Fin qui tutto farebbe pensare alla ricostruzione di un caso di studio, buono per addetti ai lavori. Invece la vicenda, per quanto realistica, aspira al romanzo e del romanzo in effetti ha gli ingredienti: una storia, un protagonista 'forte' (lo psicoterapeuta), dei personaggi (i pazienti) ben caratterizzati, che hanno vicende e problemi da raccontare e che con le loro interrelazioni 'fanno accadere' nuovi fatti. 
Ma il taglio romanzato si intreccia, in un gioco di ammirevole equilibrio, con quello più saggistico che sintetizza la vita e il pensiero di Schopenhauer: il filosofo di cui è innamorato, e prigioniero, Philip, il paziente avuto in terapia individuale da Julius vent'anni prima e che rappresenta uno dei suoi più cocenti fallimenti professionali. Rintracciato da Julius stesso, nonostante si dica guarito dalla 'cura Schopenhauer' (al punto da aver deciso di diventare consulente filosofico), Philip ha accettato di far parte del gruppo terapeutico e qui giocherà un ruolo chiave nell'evoluzione della vicenda. 

Una lettura gustosa e imperdibile per chi unisce alla sensibilità e all'attrazione per la psicologia il piacere della riflessione filosofica sulle questioni ineludibili del vivere e del morire. Uno stile che cattura per chiarezza, semplicità, scorrevolezza. Un passo lento, ma mai noioso, e che comunque produce un 'movimento' che non smette di incuriosire e invita a non staccare. Un modo accattivante di farci conoscere un grande filosofo (assai discutibile sul piano umano: e qui appunto assai discusso), facendoci entrare, 'in diretta', dentro una storia di 'cura' psicologica. 

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

«
«... ti darò la lezione di psicoterapia numero uno, e lo farò gratis. Non sono le idee, né la visione, né i mezzi concreti quello che davvero importa nella terapia. Se uno, alla fine di una terapia, interroga i pazienti a proposito del processo, che cosa ricorderanno questi pazienti? Mai le idee: è sempre la relazione. Raramente rammenteranno una intuizione importante offerta loro dal terapeuta, ma con passione ricorderanno la loro relazione personale con il terapeuta stesso. E sto anche azzardando l’ipotesi che la cosa possa essere vera persino per te. Perché ti ricordavi così bene di me e davi valore a quello che era avvenuto tra di noi al punto che oggi, dopo tutti questi anni, arrivi a rivolgerti a me per avere una supervisione? Non certo per via di quei due commenti, per quanto provocatori possano essere stati, no, io credo che sia per via di un qualche legame che sentivi nei miei confronti. Credo che tu possa persino nutrire un qualche profondo affetto nei miei confronti, e proprio perché la nostra relazione, per quanto possa essere stata difficile, era significativa, adesso ti stai di nuovo rivolgendo a me nella speranza di trovare una qualche forma di abbraccio». (Irvin D. Yalom, La cura Schopenhauer, Neri Pozza, 2005)

Questo incontro, come gli ultimi tre o quattro, era stato affascinante. I suoi pensieri tornarono ai gruppi di pazienti malate di cancro al seno che aveva condotto tanti anni prima. Quante volte quelle pazienti, una volta superato il panico dell’essere condannate a morte, avevano affermato di essere entrate in un periodo d’oro della loro vita. Alcune dicevano che vivere con il cancro le aveva rese più sagge, più appagate, mentre altre avevano rimesso ordine tra le priorità della loro esistenza, erano diventate più forti, avevano imparato a dire no ad attività che non avevano più valore per loro e sì a cose cui tenevano davvero, come voler bene alle loro famiglie e ai loro amici, osservare la bellezza che le circondava, assaporare il mutare delle stagioni. Ma che peccato, si erano lamentate in molte, che avessero imparato a vivere solo dopo che i loro corpi erano stati attaccati dal cancro. 
Questi cambiamenti erano così sensazionali – in effetti una paziente aveva affermato: «Il cancro cura le psiconevrosi» – che in un paio di occasioni Julius aveva maliziosamente fornito a un gruppo di suoi studenti soltanto la descrizione dei cambiamenti psicologici che si erano verificati, e aveva poi chiesto loro di che tipo di terapia si trattasse. Come erano rimasti sconvolti gli studenti quando avevano saputo che non era stata una terapia o un trattamento medico a fare la differenza, ma il confrontarsi con la morte. Doveva moltissimo a quelle pazienti. Che esempio erano state per lui nel momento del bisogno. Che peccato che non potesse dirlo loro. Vivi nel modo giusto, rammentò a se stesso, e abbi fede che così usciranno da te cose buone anche se non lo saprai mai. (Irvin D. Yalom, La cura Schopenhauer, Neri Pozza, 2005)
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Sempre nel blog, un'altra mia recensione a Irvin Yalom, Il dono della terapia, Neri Pozza, 2014, qui

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