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domenica 14 giugno 2015

#MOSQUITO / Web, ok navigare ma collegare (Anna Oliverio Ferraris)

Nella vita reale e nella lettura c’è un inizio e una fine, con rapporti chiari di causa ed effetto. Nei videogiochi no, sul web ipertestuale neppure. E c’è una tendenza ad affidarsi completamente a queste tecnologie, pensando che non sbagliano e lavorano meglio del nostro cervello. Il pericolo è di applicare procedure, invece di fare collegamenti e sintesi. 

*** Anna OLIVERIO FERRARIS, psicologa dell’età evolutiva, intervistata da Riccardo Staglianò, ‘la Repubblica’, 19 agosto 2003.

8 commenti:

  1. D'accordo chei l pericolo è di applicare procedure, invece di fare collegamenti e sintesi.

    Ma Nella vita reale c’è un inizio e una fine, con rapporti chiari di causa ed effetto?
    Siamo davvero sicuri?
    Forse il web è più simile alla vita reale prorio perchè è tutto collegato e non ci sono rapporti chiari di causa-effetto.

    A proposito di inzio e fine, mi viene in mente questo verso della Szymborska:

    ogni inizio infatti
    è solo un seguito
    e il libro degli eventi
    è sempre aperto a metà

    Stefano Pollini

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  2. Se non potessimo fare collegamenti e sintesi non capiremmo nulla: di noi, della realtà.
    La multicausalità, l'interdipendenza, il cambiamento non impediscono di mettere dei punti. Anzi.
    Basta sapere che sono punti spesso mobili. Qualche volta dei punti a capo. Più frequentemente dei puntini di sospensione.
    Ma dobbiamo usare tutta la punteggiatura disponibile: comprese virgole e l'ormai sconosciuto, e invece importantissimo, punto-e-virgola.
    Ma non neghiamo che le cose hanno un inizio e una fine. Poi alcune ricominciano, in nuova veste. Ma non tutte. E i 'nuovi inizi', quando ci sono, sono appunto 'nuovi'. Se non sono 'fuffa'. Come spesso è del 'nuovo che avanza': nel senso di semplicemente 'avanzato' e rivestito con il fiocchetto seducente per i gonzi e i boccaloni.
    Uno dei problemi che viviamo, e che ci rendono ottusi, è proprio la capacità sempre più debole di 'intelligere': cioè di 'mettere insieme', senza 'mandare insieme' (tipo maionese impazzita), i dati di realtà. Mantenendo distinzione, ma cogliendo anche le contaminazione e le ibridazioni. Però senza fare poltiglia di tutto.
    Il rischio che viene dal web è proprio quello di avere in testa un grande calderone. Un rischio che corriamo 'noi', naturalmente: il web, come sempre è uno strumento. Dipende da noi come lo usiamo. E da quanto siamo capaci di alimentare il nostro 'pensiero critico'.
    Il quale pensiero, peraltro, se non è critico, non è pensiero.

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  3. D'accordissimo. La mia riflessione era appunto che nella vita reale è difficile fare collegamenti, intravedere un senso che spesso si scopre o si crea solo a posteriori; dove i rapporti di causa effetto non sono spesso chiari.
    Viviamo immersi in una sovrabbondanza di stimoli, informazioni, fatti, problemi che a volte fatichiamo a "intelligere". A volte qualche teoria ci aiuta a mette ordine ma la realtà è sempre più ricca di ogni teoria.
    Ecco, da questo punto di vista questo caos che è la vita, in cui a volte riusciamo a mettere della punteggiatura - e spesso invece è solo un gran calderone in cui fatichiamo a trovare un senso - assomiglia abbastanza al mondo del web.

    Sul tema della necessita di fare distinzione senza fare poltiglia di tutto, mi trovo perfettamente in sintonia. Una parola che ha assunto solo un significato negativo che non ha nell'etimologia è appunto "discriminare". Bisogna discriminare! Cioè distinguere, non mettere tutto assieme, saturando il pensiero.
    Su questo tema, quello della saturazione del pensiero che impedisce il pensiero critico ti segnalo questo testo scarcabile di Ugo Morelli: "Verso il sesto assunto di base. Uno studio su conformismo e saturazione". http://www.ugomorelli.eu/doc/versoilsestoassuntodibase.pdf .

    Stefano Pollini

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  4. Grazie Stefano: del commento e della segnalazione del testo di Morelli.

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  5. Ti ringrazio se poi mi puoi dare una tua opinione su quel testo.
    Grazie.

    ciao
    Stefano

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  6. Mi tiri per i capelli, Stefano. E per cortesia, ti rispondo.
    Ho scorso l'articolo di Ugo Morelli (di cui peraltro mi è capitato di scorrere anche altro altre volte). Ma, confesso, l'ho fatto con qualche fastidio: e molto sorvolando. Come sempre quando fatico a capire.
    Colpa mia, naturalmente. Che mi irrito quando il linguaggio si fa criptico e (per me inutilmente) difficile.
    Ad esempio, a parte tanti libri (saggi corposi in diverse dicipline e ben lontani dallo stile all'Alberoni), ho letto molto Jung: che non è certo un autore 'leggero'. Però, almeno al 90% Jung mi pare capibile da tutti. E parlo, oltre che di un mio insuperato riferimento culturale, di uno che lasciato detto qualcosa, mi pare (anche se nessuno oggi se lo fila...).
    Ma a parte questo.
    Credo che il tuo invito fosse a leggere i paragrafi sulla 'saturazione'. Per quanto credo di aver colto, ok: la saturazione, correlata o meno con il conflitto estetico, evidentemente crea problemi. Se hai la sensazione di essere invaso da una pienezza sovrabbondante di dati, stimoli, fatti, ti difendi e ti zittisci: non vai più a caccia di nulla, né crei, né cerchi di diventare te stesso ('angoscia della bellezza' o meno: quel fenomeno che non ha inventato Pagliarani, ma che gli viene sempre attribuito, anche per il titolo di un suo libro). Magari pure perché, per questo diventare, avresti bisogno, forse anche, di essere meno saturo e più 'mancante'.
    Ma mi fermo. Ho già detto troppo e sicuramente ho travisato lo scritto.
    Colpa mia, ripeto. Che sono un po' duro di comprendonio. Specie quando la 'pancia' non mi aiuta la 'testa'...

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  7. Grazie mille. Non pretendevo certo una risposta così veloce e immediata!!!
    E' consolante che anche per un addetto ai lavori come te i testi di Morelli risultino fastidiosamente difficili. Non sono l'unico!
    Grazie ancora di tutto e di questo blog sempre ricchissimo di spunti.

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  8. Ugo Morelli è in buona compagnia, purtroppo.
    Ma (e ora lo abbandono e parlo in generale) fammi aggiungere una breve considerazione su questo tema.
    Io credo che sia buona cosa non cadere nel 'semplicismo'. Se la realtà è complessa (come è), va etimologicamente 'abbracciata' tutta e non violentata 'facendola semplice': il che vuol dire cadere, appunto, nel 'semplicismo riduzionista'.
    Però.
    Aggiungere alla complessità esterna, già complicata di per sé, una complicazione tutta interna a noi e non risolta (in gran parte dovuta a una visione arzigogolata, forse pure per insufficiente 'digestione' dei concetti che vogliamo esprimere), mi pare a dir poco indebito. E ancora di più mi sembra colpevole se abbiamo un ruolo di 'mediatori culturali'.
    'Farla facile' è sbagliato: si corre il rischio di non capire e di non far capire. Ma pure 'farla difficile' è scorretto: le idee che abbiamo in testa vanno prima 'pulite' e poi esposte. A meno che si voglia fare del terrorismo intellettuale, creando una relazione inutilmente 'sopra-sotto' e costruendoci così un piedistallo di supposta autorità.
    Esistono fior di personaggi che hanno lasciato il segno nella storia della cultura, scrivendo con chiarezza e facendosi capire da chiunque abbia un minimo di basi e strumenti per capire. Ad esempio: in passato, a conferma dell'autorità conquistata, c'era chi spesso veniva usato, anche per chiudere sbrigativamente ogni discussione, col famoso 'ipse dixit'. Era uno che scriveva in modo chiaro e comprensibile. Potremmo rileggerlo e imparare da Aristotele.

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