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mercoledì 24 giugno 2015

#MOSQUITO / Papalagi, l'uomo bianco e il tempo (Tuiavii di Tiavea)

Non ho mai capito bene questa cosa e penso appunto che si tratti di una grave malattia. “Il tempo mi sfugge!” “Il tempo corre come un puledro impazzito!” “Dammi un po’ di tempo!” Questi sono i lamenti più abituali che si sentono dall’uomo bianco. Io dico che deve essere una strana sorta di malattia; perché, anche supponendo che l’uomo bianco abbia voglia di fare una cosa, che il suo cuore lo desideri veramente, per esempio che voglia andare al sole o sul fiume con una canoa o voglia amare la sua fanciulla, così si rovina ogni gioia, tormentandosi con il pensiero: “Non ho tempo di essere contento”. Il tempo è lì, con tutta la buona volontà, lui non lo vede. Nomina mille cose che gli portano via il tempo, se ne sta immusonito e lamentoso al suo lavoro che non ha alcuna voglia di fare, che non gli dà gioia e al quale nessuno lo costringe se non se stesso (…) 
Che cosa ne fa alla fine il Papalagi del suo tempo? (…) 
Io credo che il tempo gli sfugga come una serpe sfugge da una mano bagnata, proprio perché lui cerca di tenerlo così stretto. Non gli lascia modo di riprendersi. Gli sta appresso e gli dà letteralmente la caccia con le mani tese, non gli concede alcuna sosta perché possa stendersi al sole. Il tempo deve essergli sempre accanto, deve dirgli e cantargli qualcosa. Ma il tempo è silenzioso e ama la pace e la calma e lo stare distesi su una stuoia. Il Papalagi non ha compreso il tempo, non lo riconosce per quello che è e perciò lo maltratta in quel modo con i suoi rozzi costumi (…) 
Dobbiamo liberare il povero, smarrito Papalagi dalla sua follia, dobbiamo ridargli il suo tempo. Dobbiamo distruggere la sua piccola macchina del tempo (l’orologio) e annunciargli che dal levarsi al calare del sole c’è molto più tempo di quanto un uomo può aver bisogno.

*** TUIAVII DI TIAVEA, un saggio capo delle Isole Samoa, Papalagi, Editore Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2010, citato anche da Domenico De Masi, Tag. Le parole del tempo, Rizzoli, 2015.
Il libro è stato pubblicato nel 1920, in Germania, da Erich Scheurmann, un artista tedesco amico di Herman Hesse, all'insaputa di Tuiavii, e contiene i discorsi tenuti da Tuiavii ai samoani dopo un suo viaggio in Europa. 
Secondo la versione di Scheurmann, Tuiavii, venendo a contatto con gli usi e costumi dell'uomo bianco (chiamato 'papalagi' nella lingua di Samoa), se ne allontanò subito sbigottito e, una volta rientrato in patria, tentò di mettere in guardia il suo popolo dal fascino perverso dell'Occidente.
Ampiamente diffuso nel contesto delle culture alternative degli anni '70 e '80, il libro tende ad essere visto al presente come una contraffazione letteraria (una variazione sul tema del "buon selvaggio") ad opera del presunto traduttore Erich Scheurmann, ma viene comunque citato spesso a proposito del tema della "relatività culturale" e per il fenomeno dello "spaesamento".


Su Papalagi,

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