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martedì 23 giugno 2015

#LIBRI PREZIOSI / Elogio del politeismo, di Maurizio Bettini (recensione di M. Ferrario)

Maurizio BETTINI, Elogio del politeismo 
Quello che possiamo imparare oggi dalle religioni antiche 
Il Mulino, 2014, 
pagine 155, € 12,00, ebook € 7,99

Un'analisi fine e documentata, mai noiosa ma sempre fluida, coinvolgente e stuzzicante, di cosa siano state le religioni antiche, in particolare quelle dei greci e dei romani, anche in rapporto ai tre monoteismi di cui il cristianesimo fa parte, insieme con islamismo e ebraismo.

Si ha conferma della flessibilità di questi culti 'plurali', della loro facile disponibilità ad accogliere nuove divinità dai popoli vinti, del rispetto per gli dei sconosciuti, della loro capacità di interpretare il divino in modo duttile, curioso, aperto. E si impara che anche i termini usati per definire queste religioni (politeismo, idolatria, idoli, paganesimo) sono prodotti 'nostri, figli della nostra troppo sicura, e quindi violenta, visione del mondo: prodotti autoreferenziali, segnati dalla autocentratura dogmatica che ci abita.

Un libro che sarebbe bene disturbasse le nostre sicurezze. E ha tutto per riuscirci: approccio piano, supporti documentali, esposizione chiara, scorrevole, convincente. Ma, come sappiamo, anche il tutto non basta, se siamo 'noi' a non essere pronti a farci disturbare e invece restiamo orgogliosamente convinti di avere sempre la Verità in tasca (con la maiuscola), quando addirittura non crediamo di dover brandire e imporre il nostro Dio, con le armi e con le insegne addirittura della croce, al mondo intero.

Il titolo è azzeccato: si può restare monoteisti, ma non si può, a mio parere, non condividere l'elogio di queste 'altre' modalità di vivere il sacro: più 'quiete' e rilassate, in armonia con gli altri e la natura; oggi diremmo più 'ecologiche' e meno impregnate di quella 'hybris' che rende l'uomo monoteista, quasi necessariamente, un fondamentalista e un integralista.

Dopo di che, per carità: nessuna lode ingenua e acritica di un passato tutta pace e armonia. Da ogni secolo di storia trabocca violenza e la violenza neppure oggi sembra averci abbandonato. Viene comunque da riflettere sul fatto che tutte le volte in cui si è proclamata ai quattro venti, con la boria di chi si crede invincibile, la presenza di Dio al nostro fianco (ieri noi occidentali, sotto lo stendardo del famoso 'Gott mit uns'; oggi anche altri, che inneggiano ad 'Allah che è grande'), abbiamo sterminato interi popoli e commesso genocidi, nel nome di un unico Dio: così bestemmiandolo (se si è credenti). E facendoci subito dopo, con compunzione, il segno della croce.

*** Massimo Ferrario, per Mixtura

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(... ) il monoteismo ebraico implica una scelta di carattere esclusivo. Il dio di Israele è un dio unico, geloso, che non sopporta la presenza di altri dèi «di fronte a lui» e come tale chiede ai propri fedeli di optare: non si possono adorare più dèi, come appunto avveniva in Egitto o nell’antica Mesopotamia, ma uno solo. In base a questo schema, la relazione fra religioni diverse viene posta in termini di «vero» e «falso»: la religione che pratica il popolo di Israele è vera, le altre sono semplicemente delle false religioni. Professarle costituisce una colpa, che sarà punita con severità dal dio geloso. (Maurizio Bettini, Elogio del politeismo, Il Mulino, 2014)


(...) chiunque non può che restare colpito di fronte al fatto che gli antichi non abbiano mai fatto guerre per affermare una religione sull’altra, come invece hanno fatto nei secoli successivi cristiani e musulmani (Maurizio Bettini, Elogio del politeismo, Il Mulino, 2014)

Non sottovalutiamo questa differenza di fondo fra politeismi e monoteismi. Proprio tale atteggiamento, infatti, sta alla radice di uno dei fenomeni che, come già dicevamo, più colpiscono quando si osservano comparativamente le civiltà del mondo classico e quelle che sono nate con l’avvento dei monoteismi. Ossia il fatto che, pur essendo la violenza più che presente nei rapporti fra queste società, ad esse però sono rimasti sostanzialmente estranei conflitti o guerre a carattere religioso. La ragione di questa rimarchevole assenza ci si presenta adesso più chiara. Se da un lato, come già abbiamo detto, a prevenire il conflitto religioso è di per sé la caratteristica plurale degli dèi – se già le nostre divinità sono molte, non c’è ragione per negare o combattere l’esistenza di quelle degli altri – dall’altro a renderlo definitivamente inoffensivo provvede la possibilità di «interpretare» addirittura come propri un dio o una dèa appartenenti a un’altra cultura. A questo punto il conflitto di carattere religioso non ha più né spazio né motivo per manifestarsi. Il fatto è che nelle culture politeiste gli dèi degli altri erano percepiti non come una minaccia all’unica verità del proprio dio, ma come una possibilità: o addirittura come una risorsa. (Maurizio Bettini, Elogio del politeismo, Il Mulino, 2014)
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