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giovedì 9 aprile 2015

#VIDEO #FILASTROCCHE / Rodari legge Rodari



Gianni RODARI, 1920-1980, giornalista, scrittore, poeta, pedagogista 
Rodari legge Rodari: 3 filastrocche
(1) - Un signore con tre cappelli
(2) - Il dittatore
(3) - Un tale di Macerata
video, 2min08

Per informazioni su Gianni Rodari:

(1) - Un signore con tre cappelli
Ho conosciuto un tale,
un tale di Vignola,
che aveva tre cappelli
ed una testa sola.

E girava, girava
per il monte e per il piano
con un cappello in testa:
gli altri due uno per mano.

Un giorno che pioveva
incontrò un poveretto
che in testa non portava
né cappello né berretto.

-Ecco, - disse quel tale, -
il mondo è tutto sbagliato:
a me tre cappelli,
e a lui il capo bagnato...-

E andando per la sua strada
mentre fischiava il vento
quel signore con tre cappelli
era molto malcontento.


(2) - Il dittatore
Un punto piccoletto,
superbioso e iracondo
“Dopo di me – gridava -
verrà la fine del mondo!”

Le parole protestarono:
“Ma che grilli ha pel capo?
Si crede un Punto – e – basta,
e non è che un Punto – e – a – capo”.

Tutto solo a mezza pagina
lo piantarono in asso,
e il mondo continuò
una riga più in basso.


(3) - Un tale di Macerata
Ho conosciuto un tale,
un tale di Macerata,
che insegnava ai coccodrilli
a mangiare la marmellata.

Le Marche, però,
sono posti tranquilli,
marmellata ce n’è tanta,
ma niente coccodrilli.

Quel tale girava
per il monte e per la pianura,
in cerca di coccodrilli
per mostrare la sua bravura.

Andò a Milano, a Como,
a Lucca, ad Acquapendente:
tutti posti bellissimi,
ma coccodrilli niente.

È ancora lì che gira,
un’impiego non l’ha trovato:
sa un bellissimo mestiere,
ma è sempre disoccupato.

4 commenti:

  1. Quel tale di Macerata mi fa venire in mente un assioma fondamentale per capire qual'é il "giro del fumo" in economia, ma anche nella politica e nella società: il presupposto per l' identificazione di qualsiasi lavoro o attività é avere un cliente. Pertanto, prima di chiedere a qualcuno "cosa fa" é bene chiedere (e chiedersi) " se ha un cliente". Quindi il lavoro E' il cliente.Punto.

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  2. Sì. Un po' mi conosci e sai che non posso che condividere, per chiunque lavori, il 'focus' sul cliente.
    Certo, se non c'è cliente, non c'è lavoro. Almeno quel 'lavoro pagato' che in genere intendiamo 'tout court' per lavoro.
    Però, già che ci sono e proprio perché un po' mi conosci, fammi andare un passo oltre e dire ciò che tu non hai detto e non volevi dire, ma che la facile e dominante 'mistica del cliente' ci ripete tutti i giorni.
    Quella per cui si arriva ad affermare, ancor oggi, rozzamente e oscenamente, che 'il cliente ha sempre ragione' (mentre è vero che ha sempre delle ragioni: plurale).
    Quella che trasforma l'essere 'orientati al cliente' in essere 'sdraiati sotto' il cliente.
    Quella insomma che tende a pervertire il 'marketing' in 'marketting'...
    Tante volte si serve meglio il cliente dandogli torto e spendendo tempo per spiegargli il perché.
    Oppure lo si rispetta dicendogli di no.
    Tanto il mondo è grande e c'è sempre chi è disposto a compiacere e colludere.
    E clienti 'seri' si trovano. O comunque si possono 'generare'.

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  3. Musica per le mie orecchie caro Massimo! Il raddoppio della "t" di "marketing" sintetizza mirabilmente il mio pensiero in materia, che mi piacerebbe potesse estendersi "al di qua" del cliente " utilizzatore finale" e diventare una linea guida anche per i tanti rapporti fornitore/cliente che costituiscono l'essenza di un' organizzazione: I famosi "clienti interni" per i quali si arriva ad affermare, altrettanto rozzamente e oscenamente, che 'il cliente non ha mai ragione' (e per le ragioni, che ha sempre, si cerca scaricarle su un altro "fornitore")

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  4. Citando i 'clienti interni', mi inviti a nozze, caro Paolo...
    Penso che nessuno, nella mia pluridecennale attività di consulenza e formazione, mi possa addebitare l'uso di questa espressione. Ne ho dette tante (e anche inventate molte...). Ma questa no, neppure una volta. E me ne vanto. Perché ho sempre trovato mistificante e turlupinante rivolgersi a colleghi e collaboratori chiamandoli 'clienti'.
    Certo, ho sempre riconosciuto l'indispensabilità, per tutti, e specie chi opera in azienda, quando e mentre si agisce, di 'pensare all'altro': perché dovrebbe essere ormai evidente come il sole (ma pare che il sole troppi ancora non lo vedano) che 'con-viviamo' (più che 'viviamo') in contesti sempre più interdipendenti, dove l'output di ognuno è l'input dell'altro.
    Questo tuttavia non significa trasformare tutti in clienti di tutti. Anche perché i clienti (per non parlare dei fornitori) si possono cambiare, finanche gestire in chiave di usa-e-getta. Ma le persone, che lavorano con te e contribuiscono a fare la storia della tua impresa, no. O almeno non si dovrebbe. O non si dovrebbe fare con la facilità e la leggerezza con cui si faceva anche quando c'era l'art 18. E figuriamoci ora.
    E infatti chi si è riempito, e tuttora si riempie, la bocca di 'clienti interni', non ha remore a 'sputarli' fuori 'ad nutum', quando non gli servono più, considerandoli di serie B (o anche Z) rispetto ai tanto decantati 'clienti esterni'. O comunque, al di là dei proclami pubblicitari buoni per i gonzi che ci credono, non si crea problemi di coscienza ad attuare politiche di vero e proprio sfruttamento intensivo, come appunto fanno note multinazionali del retail: disposte a 'uccidere' qualunque 'cliente interno' pur non non perdere, o conquistare un nuovo, 'cliente esterno'.

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