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sabato 25 aprile 2015

#FAVOLE & RACCONTI / Il Barbone e il Presidente (M. Ferrario)

Un barbone entra nella Sede Centrale della Più Grande Banca del Paese. 
Attraversa il grande androne con le pareti affrescate e il soffitto altissimo, segnato ai lati da preziose colonne imponenti di marmo. Procede un po’ intimidito, guardandosi in giro. 
Subito, due vigilanti lo bloccano: i suoi vestiti un po’ strappati e raffazzonati fanno capire che non si tratta di un “normale” cliente. Eppure, la persona – che è pulita nell’aspetto e in perfetta salute - sembra intenzionata a non fare nulla di “anormale”: non cerca di vendere nessuna chincaglieria e non chiede elemosina.

«Dove vai?», gli domandano in modo brusco. 
«Voglio parlare con il Presidente». 
«Con il Presidente?», lo scherniscono. 
«Sì, con il Presidente di questa banca». 
«Già, e magari hai anche un appuntamento…!». 
«No. Però debbo parlare con lui. E lui mi riceverà. Se vuole vedere depositati i miei soldi nella sua banca, prima mi deve ricevere». 
«Perché tu saresti un cliente di questa banca?!». 
«Non lo sono ancora. Però forse i dieci milioni che debbo investire potrebbero farmi diventare cliente di questa banca». 
E così dicendo, il barbone mostra una borsa sdrucita, piena di bigliettoni da cinquecento.

I vigilanti non credono ai propri occhi: guardano e riguardano nella borsa, poi arrossiscono, tentano un sorriso e gli chiedono di attendere solo un secondo. 
Uno dei due si stacca per parlottare con un funzionario allo sportello, che subito si presenta ossequioso al barbone.

«Buongiorno, signore. Sono a sua completa disposizione. Se mi vuole seguire in un ufficio appartato, le darò tutta la consulenza che le serve e cercherò di soddisfare ogni sua esigenza».
Il barbone sorride. «Non mi serve la sua consulenza. Voglio che lei mi faccia parlare con il Presidente». 
Il funzionario appare imbarazzato: «Be’, certo, se lei lo ritiene indispensabile… Però, sa, il Presidente, il nostro Presidente, vede…». 
«Immagino quello che lei vuole dirmi: che il “suo” Presidente riceve solo per appuntamento e solo persone di un certo rango». 
Il funzionario annuisce, leggermente sollevato: pensa che il barbone abbia capito. 
E il barbone riprende: «Io ho qui dieci milioni da depositare. Se il Presidente mi riceve, questi dieci milioni possono essere depositati qui da voi. Altrimenti, li depositerò altrove. E farò sapere al “suo” Presidente di chi è stata la responsabilità».

Il funzionario, terrorizzato anche solo all’idea, si arrende. Si inchina al barbone, cerimonioso, e lo prega di seguirlo.
Salgono insieme nove piani di ascensore. 
Il funzionario supera la barriera di tre segretarie di alta direzione, che alla vista del barbone hanno un moto di visibile disgusto. 
Ogni volta deve spiegare e rispiegare, pregare e ripregare. Ma l’argomento dei dieci milioni è decisivo. 
E alla fine, ottiene l’autorizzazione: il Presidente, annuncia l’ultima segretaria, accetta l’incontro.

Il barbone è invitato a entrare nell’ampio e lussuoso ufficio del Presidente, mentre il funzionario, che si aspettava di essere ammesso al colloquio, viene congedato in malo modo.
«Mi è stato detto che lei voleva assolutamente vedermi», esordisce il Presidente. «Spero abbia una ottima ragione. Il mio tempo è denaro».
«Anche il mio, Presidente. E infatti, ho già perso troppo tempo in questa banca per poterla incontrare. Non so se investirò qui i miei dieci milioni».

Il Presidente era stato avvertito dalle segretarie, ma non per questo aveva superato la sorpresa. 
«Dieci milioni, ha detto?». 
«Infatti. Tondi tondi. Almeno per ora. E in contanti». 
Nel rispondere, il barbone aveva posto la borsa sulla scrivania e ne aveva aperto lentamente la zip, facendone occhieggiare il contenuto.
Alla vista dei bigliettoni, il Presidente ha un luccichìo negli occhi. 
Non si trattiene: «Incredibile!». 
«Incredibile che un barbone abbia questi soldi, vero?», lo incalza il barbone. 
«Be’, no, non volevo dire questo, immagino che lei… signore, sì, insomma, non sempre l’apparenza… Anzi, mi scuso anche a nome della mia banca se per caso i miei funzionari non l’hanno… Tuttavia, a questo punto, pur senza voler essere indiscreto… sa, anche per il buon nome della banca, sarebbe importante che io sapessi…». 
«L’origine di questi soldi, vuol dire? Strano: non sono persone come lei che affermano che il denaro non ha odore…?». 
«Per carità, signore, non volevo… lei è libero di…». 
«Non si preoccupi, nessuna gaffe. Non ho problemi a dirle come ho raccolto questi soldi e per la verità mi aspettavo la domanda. Sì, io faccio scommesse». 
«Scommesse?». 
«Esatto». 
«Ma molti le fanno e non tutti diventano milionari. Anzi, si possono perdere dei patrimoni interi». 
«Vero. Se si fanno scommesse sbagliate. Io faccio solo scommesse giuste. Cioè scommesse che si vincono».

Il Presidente teme di intuire: l’interlocutore non sarà un barbone, ma certo è uno poco sano di mente. Tuttavia decide di stare al gioco: in fondo, quei soldi nella sua borsa non sono un’allucinazione. 

Quindi chiede: «E quale sarebbe, ad esempio, una scommessa giusta, secondo lei?».
«Finalmente sta arrivando al sodo, Presidente», sorride il barbone. «Una scommessa giusta è appunto la scommessa che voglio fare con lei. Sono venuto qui apposta per proporgliela».
Il Presidente guarda il barbone con atteggiamento di sfida: «Sentiamola». 
«Mi sono informato: la sua fama, nel mondo dei grandi dirigenti, è di essere un duro, un mastino, uno che non guarda in faccia nessuno pur di raggiungere i risultati. E una espressione volgare, ma che so piace molto ai tipi come lei, per descrivere simili uomini, è quella di persone che ‘hanno le palle quadrate’. Bene. Io scommetto che lei le ha davvero, le ‘palle quadrate’».

Il Presidente ormai non ha più dubbi: di fronte a lui c’è una persona che ha problemi psicologici. Eppure, è incuriosito e anche un po’ compiaciuto di quanto sta sentendo. 
«Guardi, signore… lei sta scherzando… Sì, so di questa mia immagine, e credo che sia vero che io, come lei dice, ‘ho le palle quadrate’. Ma questo è appunto un modo di dire. Non vorrà pensare che io… davvero… insomma… lei capisce…». 

Il barbone si mostra indispettito: «Mi ha accolto augurandosi che io non le facessi perdere tempo. Bene, mi pare che invece sia proprio io a perdere tempo con lei. Era lei, mi sembra, a voler sapere quali genere di scommesse io faccio. Bene: io le sto rispondendo con una proposta. Scommetto uno dei miei dieci milioni, che sono nella borsa, che ‘le sue palle sono quadrate’. Decida: ci sta o no?».

Il Presidente deglutisce, strabuzza gli occhi, crede di non aver capito. 
Si schiarisce la voce: «Un… milione??». 
Il barbone risponde con uno sbuffo: «Ha sentito benissimo, Presidente: un milione. Se lei è davvero convinto che ‘le sue palle non sono quadrate’, non ha motivo di temere: il milione sarà suo. E questa, per lei, sarà una scommessa giusta. Altrimenti il milione sarà mio. Allora: sì o no?». 

Il Presidente si arrende: è troppo curioso di vedere la conclusione di questa storia assurda. 
«A questo punto, cosa vuole che le dica: ci sto. Ma la avverto, signore, che sarà peggio per lei. E’ chiaro che questa scommessa lei non la potrà vincere. E le confesso che questo mi può perfino spiacere, perché forse sarei disposto a pagare anche più di un milione per avercele davvero, ‘le palle quadrate’. Purtroppo, però, ‘le palle quadrate’, come sanno tutti, sono solo una immagine, una metafora. Comunque… affare fatto: scommetto un milione che ‘le mie palle, ovviamente, non sono quadrate’».

Il barbone sospira: «Finalmente, Presidente. Meglio tardi che mai». 
E prosegue: «Adesso le chiedo solo una cosa. Poiché la scommessa è rilevante e impegnativa, pretendo un testimone. Domattina, alle dieci in punto, torno da lei con il mio avvocato. Tutto rimarrà tra noi tre, nel chiuso di questa stanza: insieme verificheremo e l’avvocato registrerà chi è il vincitore della scommessa».

Il Presidente, sempre più confuso, acconsente. 
Comincia a provare un po’ di tenerezza per l’interlocutore: la sua ingenuità lo porta addirittura a proporre un testimone!

***
La notte trascorre in modo opposto per Presidente e barbone. 
Il primo si ritrova ogni ora in piedi a controllare nel bagno di casa, del tutto irrazionalmente, la sagomatura di quanto è oggetto della scommessa, mentre il secondo, sereno e del tutto dimentico del milione in palio, fa baldoria con gli amici, bevendo birra fino all’alba per le strade della città.

Alle dieci di mattina, avviene l’incontro previsto, alla presenza dell’avvocato. 

Il barbone svela all’avvocato la ragione della sua presenza, chiedendogli innanzitutto di ascoltare, come testimone, il contenuto esatto della scommessa concordata il giorno precedente con il Presidente. 
Il barbone solennemente conferma: «Scommetto un milione che ‘le palle del Presidente, qui presente, sono quadrate’». 
Lo stesso fa il Presidente: «Scommetto un milione che ‘le mie palle non sono quadrate’».

L’avvocato sbarra gli occhi e sembra voler dire qualcosa, ma  il barbone lo zittisce con un cenno imperioso. E a questo punto invita il Presidente ad abbassare i pantaloni. 

Il Presidente ha qualche imbarazzo, ma poi, al pensiero della vincita assicurata, supera ogni pudore. Ed esegue: velocemente, da perfetto manager decisionista, si slaccia la cintura e fa cadere in un colpo solo i pantaloni in fondo alle gambe. Poi, altrettanto rapidamente, fa scendere gli slip. 
Il barbone scruta, in modo calmo e studiato, accertandosi che anche l’avvocato veda quello che lui sta vedendo. Ma l’avvocato non ha bisogno di essere invitato a guardare. Ha gli occhi tesi e dilatati, la fronte che si sta riempiendo di gocce di sudore, e non si sta perdendo un fotogramma di quanto succede.

L’osservazione da parte del barbone prosegue attenta e minuziosa, e sembra non finire mai. 
Finché il barbone, scuotendo la testa, tira un sospiro che potrebbe essere interpretato di preoccupazione. E chiede al Presidente se, oltre a “guardare”, può adesso anche “toccare”: per rendersi meglio conto e chiudere così il suo esame.
Il Presidente, tranquillizzato dall’andamento dell’analisi, glielo concede.
«Sì, ma faccia presto, per favore. Va bene che in palio c’è un milione, ma questa situazione, lei capisce, non è molto simpatica… E poi, vorrei non si dimenticasse che anche il mio ruolo… il mio status…». 

Il barbone compie l’ultimo atto. E tocca
Anche prendendo definitivamente nelle mani l’oggetto della scommessa. 

In quel preciso momento, mentre il barbone, volgendo la testa all’avvocato, riconosce a voce alta che l’oggetto tenuto nelle sue mani non ha forma quadrata, l’avvocato emette un grido che trapassa le mura della stanza. E sviene, cadendo pesantemente al suolo.

Il Presidente, spaventato, getta lo sguardo a terra. 
Poi, mentre tutto affannato cerca di riavvolgersi i pantaloni rimasti a metà, per avvicinarsi all’avvocato e prestargli soccorso, urla in faccia al barbone: «Ma cosa è successo al suo avvocato?».
«Oh, niente. Non si preoccupi: si riprenderà subito. E’ per la scommessa.». 
«Per la scommessa? Non mi dirà che il suo avvocato è stato così stupido da credere che lei potesse davvero vincere questa scommessa…!». 
«L’avvocato è un suo grande estimatore». 
«Lo ringrazio. Ma era ovvio che le mie palle non potessero essere quadrate. Lei ha perso, naturalmente, e io voglio il mio milione». 
«Già, Presidente. Ho avuto piena dimostrazione che lei non ha ‘le palle quadrate’. Eccole il suo milione».
«Lo ammetta: la sua scommessa, stavolta, non era giusta».
«Dipende. Sono in credito con l’avvocato di cinque milioni: che me li darà appena si sarà riavuto. 
Con lui avevo fatto una scommessa: stamattina alle dieci dovevo riuscire ad avere in mano le palle, quadrate o no, del Presidente della Più Grande Banca del Paese».

*** Massimo Ferrario, 2000-2015 - Riscrittura e riadattamento di una storiella di autore anonimo. Pubblicato anche in “Mixtura 2001”, Dia-Logos, Milano, dicembre 2000.

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