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mercoledì 11 febbraio 2015

#SPILLI / Rischio e azzardo, decisionismo e decisionalità (Massimo Ferrario)

Traggo questa citazione da un top manager statunitense assai famoso, spesso scopiazzato e quasi sempre osannato:
«Ho sempre trovato che se agisco avendo a disposizione il 75% degli elementi, di solito non me ne pento. Sono le persone che aspettano che tutto sia perfetto che ti fanno diventare matto.» 
(Lee IACOCCA, top manager statunitense, citato da Brian Tracy, consulente statunitense di sviluppo umano, e Campbell Frase, consulente e coach staunitense, 'oaching per l’imprenditore e il professionista, 2005, Nlp Italy - Alessio Roberti Editore, 2006).

Un amico cui ho riportato la frase sopra segnalata ha commentato: «anche il 55% può essere sufficiente».
Gli ho risposto che è vero: anche il 55% può bastare. 
In taluni casi.
Dipende ovviamente dalla criticità della decisione: dal suo impatto strategico e dalle conseguenze economico-finanziarie della stessa. Talvolta, la percentuale di elementi 'rassicuranti' deve forse andare anche oltre la soglia del 75% indicata da Iacocca. 

Quel che è certo è che non si può eliminare il rischio. Quindi, al 100% di rassicurazione non si arriva. A un 'certo punto', occorre 'saltare'. Ma non nel vuoto: avendo le maggiori probabilità di mettere i piedi a terra 'dall'altra parte'. 
Come si usa dire, il rischio va 'minimizzato': il che significa che è sano e doveroso calcolarlo e renderlo più basso possibile, tuttavia non può essere azzerato. E se uno, più o meno consapevolmente, insegue l'azzeramento, non deciderà mai.
Però è pur vero che occorre mantenere ben chiara la distinzione tra 'rischio' e 'azzardo'. Il secondo non è (non dovrebbe essere) di manager e professional, ma solo di chi gioca al casinò. Dove ci si affida alla fortuna, che muove la pallina della roulette.

Il pericolo di oggi, in molti casi, mi pare sia quello di colludere con la pulsione (malata) di una frenesia decisionista contrabbandata per efficacia e velocità di azione. 
Se questo accade, il risultato è l'acting out. Si sostituisce il pensare con l'agire. Confondendo decisionismo con decisionalità

Piace a molti. Specie a quelli che hanno dimenticato come si fa a pensare. Ponderando i pro e i contro. Analizzando e ascoltando il contesto. Stimolando il dissenso. Discutendo, per vagliare la scelta, con chi la pensa diversamente. 
Una 'fatica'. 
Ma necessaria, se si vuole che le decisioni siano 'fondate': non durino lo spazio del momento e non si debba, un minuto dopo, ridecidere per correggere quanto deciso. Nella logica (patologica) che mira nella sostanza, al di là delle dichiarazioni retoriche, allo 'sfangarsela': tanto 'domani è un altro giorno si vedrà'.

Forse saper decidere oggi significa anche saper resistere. Al fascino ammaliante dei decisionisti e di chi li applaude. 
Evitando così di confondere il mito vincente di chi deve decidere con la sindrome del coatto. 

*** Massimo Ferrario, Rischio e azzardo, decisionismo e decisionalità, per Mixtura

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